17/09/2014
Giuseppe Fioroni
Marroni, Marco Di Stefano, Valiante, Fiorio, Paris, Bargero, Gribaudo, Mariani, D'Ottavio, Giulietti, Fassina, D'Attorre, Giorgis, Leva, Gianni Farina, Carlo Galli, Chaouki, Moscatt, Gullo, Migliore, Civati, Albini, Stumpo, Giuseppe Guerini, Carra, Benamati, Incerti, Gasparini, Lattuca, Zoggia, Grassi.
2-00683

 I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   le recenti dichiarazioni del Presidente del Consiglio e del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione rendono esplicite le intenzioni del Governo di prorogare ancora per un anno il blocco della contrattazione di contenuto economico, prolungando quanto previsto, in origine dall'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 e successivamente dal decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2013, in attuazione della previsione di cui all'articolo 16 del decreto-legge n. 98 del 2011;
   per la prima volta nella storia della Repubblica il contratto nazionale dei dipendenti pubblici e la loro retribuzione resta fissata a quella prevista dal contratto 2006-2009, sei anni senza rinnovo contrattuale e di adeguamento alle retribuzioni;
   nel comparto privato, nonostante la crisi e con la responsabilità di tutte le parti, si stanno rinnovando i contratti con innovazioni importanti e per niente scontate in tema di retribuzione, di produttività, di funzioni della contrattazione aziendale;
   è condivisibile la preoccupazione riguardo ai bilanci dello stato e alla dinamica della spesa pubblica. La spesa consolidata delle pubbliche amministrazioni ha infatti superato la soglia degli 800 miliardi di euro con una previsione per il 2014 di quasi 810 miliardi. Il contenimento della spesa è una priorità del Paese. La revisione dei bilanci e la ristrutturazione delle uscite comporta un impegno che non si può eludere. Tuttavia, la linea di rigore e la «politica della lesina», deve seguire un'analisi approfondita delle voci di spesa, secondo i criteri di una ben intesa spending review, e un'attenzione forte all'equità e alle esigenze della crescita economica;
    mentre l'aggregato della spesa pubblica aumenta progressivamente, la componente di spesa legata alle retribuzioni dei dipendenti pubblici è in costante flessione. Dal 2010, anno in cui è stato introdotto il blocco della contrattazione, al 2013 la spesa è scesa di 8 miliardi, consegnando al risanamento oltre mezzo punto in termini di rapporto spesa/Pil. Nel solo 2013, rispetto al 2012, la spesa per redditi da lavoro dipendente si è ridotta dello 0,7 per cento;
   le misure di forte limitazione al turn-over nei settori pubblici, dal 2006 al 2012 hanno fatto scendere i lavoratori pubblici di 310 mila unità. Una riduzione che ha alleggerito i costi del personale, senza tuttavia essere seguita da una necessaria razionalizzazione delle risorse umane e da una reale riorganizzazione dei servizi in base ai mutati bisogni di persone, imprese e comunità;
   rispetto all'Europa i numeri del pubblico impiego nel nostro Paese sono virtuosi, la quota di spesa pubblica sul PIL al netto degli interessi nel 2013 è stata pari al 45,55 per cento del PIL, circa un punto e mezzo sotto il livello medio dell'area euro;
   i dati di comparazione delle retribuzioni secondo l'Ocse evidenziano in Italia una spesa di quasi tre volte la media europea per i livelli più elevati della dirigenza e di contro registrano una penalizzazione per i funzionari italiani, personale per lo più laureato e comunque con professionalità medio-alta, con retribuzioni comparativamente più basse a livello internazionale;
   il problema della spesa pubblica, dunque, non è legato al costo del pubblico impiego ma a fattori di altra natura. A partire dal decentramento fallito risoltosi in un policentrismo anarchico che ha condotto all'irrigidimento della spesa corrente destinata ai costi di funzionamento della macchina pubblica, drenando risorse destinate ai servizi e alla innovazione, e ad un progressivo aumento del prelievo fiscale. Tra il 1997 e il 2014, i tributi centrali, pari al 78 per cento del gettito totale, sono aumentati del 42,4 per cento (in termini assoluti pari a 112 miliardi). I tributi locali, invece, hanno registrato un incremento del 190,9 per cento (pari, in termini assoluti, a + 69,5 miliardi di euro), con un gettito che nel 2014 sfiorerà i 106 miliardi di euro. La pletora di «apparati ombra» e la duplicazione di centri decisionali, oltre ad una conseguente frammentazione dell'azione amministrativa, spiegano altresì l'anomalia della spesa per acquisti di beni e servizi, un capitolo che pesa 132 miliardi l'anno, e quella delle oltre 10.000 società partecipate pubbliche che hanno generato perdite dirette per 1,2 miliardi;
   così procedendo il Governo sceglierebbe, ancora una volta, di colpire una categoria già fortemente penalizzata dalle misure di rigore adottate nell'ultimo quinquennio: i dipendenti pubblici, cittadini soggetti al pari di altri ad una insostenibile pressione fiscale (44 per cento), hanno perso in questi anni, per mancati rinnovi, una quota di reddito che va – a seconda dei comparti – dai 2.800 ai 5.600 euro. Cifre consistenti se riportate ai livelli retributivi medi che sono compresi fra i 26 e i 42 mila euro lordi e che, in questi anni, hanno subito una forte perdita del potere d'acquisto (-8,4 per cento fino al 2013). Effetti negativi, questi ultimi, non compensati dal bonus fiscale che non ha inciso in modo determinante, sia perché non ha sanato le perdite legate al mancato rinnovo, sia perché ha riguardato solo una parte dei dipendenti pubblici oltre ad essere stato assorbito dall'inasprimento fiscale;
   il Governo perseguendo nella medesima direzione, quella di un blocco contrattuale che continua a rinviare ulteriormente il riassetto complessivo del sistema della contrattazione pubblica, ovvero la revisione e l'aggiornamento di istituti contrattuali che vanno a sostegno di processi di innovazione tecnologica, organizzativa e di sviluppo, ha rinunciato ad uno strumento importante di modernizzazione della pubblica amministrazione. I reiterati tagli lineari agli organici hanno obbligato le amministrazioni ad una continua attività di revisione degli assetti organizzativi ma hanno di fatto impedito il consolidamento di procedure, competenze e professionalità, con inevitabili, negativi riflessi sulla quantità e qualità dei servizi erogati;
   le esigenze connesse agli obiettivi di bilancio devono in ogni caso essere perseguite con criteri di proporzionalità e ragionevolezza e nel rispetto del principio di eguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione e conformemente agli altri valori tutelati dalla Costituzione, a partire da quelli definiti dagli articoli 36 e 97. L'articolo 36 della Costituzione attribuisce infatti al lavoratore «il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro» e che è legittimo che i lavoratori abbiano adeguamenti contrattuali correlati all'andamento dell'inflazione. Inoltre, l'articolo 39 anche tenuto conto di quanto evidenziato dalla Corte Costituzionale (sentenze n. 142 del 1980 e n. 34 del 1985), esprime i due principi della libertà sindacale e dell'autonomia collettiva, garantendo ai cittadini la libertà di organizzarsi in sindacati e ai sindacati la libertà di agire nell'interesse dei lavoratori;
   il prolungamento della situazione di blocco della contrattazione a contenuto retributivo porta alla corresponsione di retribuzioni diverse a dipendenti che svolgono la medesima attività – ma che hanno maturato una progressione di carriera in momenti temporali diversi – e andrebbe valutata alla luce del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all'articolo 97 della Costituzione oltre che del principio di eguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione; e pertanto, accorre tenere conto del fatto che l'allungamento temporale della misura del blocco dell'adeguamento retributivo rischia di trasformare l'intervento eccezionale in una vera e propria deroga al meccanismo medesimo, da valutare attentamente rispetto alle previsioni costituzionali;
   appare, inoltre, necessario ricordare ancora che il regime delle proroghe dei blocchi contrattuali, imposto ormai da quattro anni escludendo l'intervento del Governo previsto per tutto il 2015, contrasta, secondo quanto stabilito dalla Corte costituzionale, con il carattere di eccezionalità e di temporaneità proprio di interventi urgenti. Una ulteriore proroga del blocco dei contratti, inoltre, si presenta significativamente punitiva per una sola categoria sociale – quella dei dipendenti pubblici – già fortemente colpita da un progressivo processo di oggettivo impoverimento –:
   quali azioni concrete il Governo intenda intraprendere per evitare la reiterazione di una norma che si presenterebbe con tutta evidenza iniqua e contraddittoria;
   perché si intenda rinunciare, per un altro anno, al rinnovo del contratto, principale leva di innovazione del welfare e del sistema pubblico;
   come si intendano affrontare le conseguenze recessive a livello macroeconomico di una compressione ulteriore dei redditi medio bassi di una così ampia categoria sociale.