01/02/2019
Elena Carnevali
Pizzetti, Bordo, Librandi, Viscomi, Morani, Pezzopane, Rotta, Fiano, Martina, Siani, Schirò, Bazoli, Andrea Romano, Enrico Borghi, Sensi, Fassino, Bruno Bossio, Rizzo Nervo, Ciampi, Del Basso De Caro, Braga, Scalfarotto, Gariglio, Fregolent, Di Giorgi, Carla Cantone, Ungaro, Moretto, Gribaudo, Mauri
2-00254

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:

   negli ultimi giorni il giornalista de La Repubblica Paolo Berizzi, autore del libro NazItalia e di importanti indagini sull'area dell'estremismo nero, è stato nuovamente destinatario di pesanti minacce da parte di militanti neofascisti e neonazisti e ultrà di estrema destra (dopo quelle subite nell'ultimo periodo da diversi gruppi, in particolare Forza Nuova, Do.Ra., Mab);

   in particolare, gli ultimi episodi sono di sabato 26 gennaio 2019 dopo la sua partecipazione, per motivi di lavoro, al funerale dell'ultrà varesino Daniele Belardinelli rimasto ucciso negli scontri tra tifosi a margine della partita Inter-Napoli (già al termine di tale funerale Berizzi veniva puntato e avvicinato minacciosamente da militanti neonazisti del gruppo Do.Ra.; solo grazie alla presenza di personale Digos e funzionari della questura si sono evitate conseguenze peggiori);

   il coraggioso inviato de La Repubblica ha ricevuto sui social numerose minacce di morte, estese anche alla sua famiglia, persino l'augurio di «documentare presto il funerale della madre», di avere una morte con «molto dolore e pena», di «essere portato in un box...» e di vedersi «strappare la lingua»;

   nei mesi scorsi si sono moltiplicati a Bergamo, città in cui vive il giornalista Berizzi, episodi di minacce gravi che dopo il danneggiamento della sua auto (con l'incisione sulla carrozzeria di svastiche, simbolo SS e un crocefisso) hanno addirittura riguardato blitz neofascisti contro la casa di Berizzi, imbrattata con scritte ingiuriose, minacce, svastiche; altro episodio ha investito la testata online Bergamonews con attacchinaggio notturno di volantini nei quali Berizzi veniva definito «vergogna di Bergamo»;

   durante le varie iniziative sul territorio nazionale di presentazione del libro NazItalia, nel quale si documenta la fitta rete dell'estremismo nero, Berizzi ha subìto blitz di squadracce neofasciste che lo hanno pesantemente contestato con striscioni infamanti; in occasione di quest'ultima presentazione, militanti di Forza Nuova sono entrati addirittura in sala a scopo intimidatorio e hanno scattato delle fotografie al giornalista;

   per proteggere il giornalista Paolo Berizzi è stata disposta la vigilanza generica (Vgr) da parte delle forze dell'ordine. Tale dispositivo garantisce il passaggio più volte al giorno di mezzi di polizia nel luogo di dimora della persona sottoposta a tutela, un servizio reso con grande perizia dagli agenti, che però lascia scoperte la gran parte delle ore del giorno, nelle quali per altro il giornalista — inviato — si trova in giro per lavoro e per svolgere le sue inchieste;

   i gruppi neofascisti hanno dimostrato più volte di avere accesso ai luoghi di lavoro e addirittura all'abitazione di Berizzi, facendo temere per la sua incolumità fisica –:

   se il dispositivo di vigilanza succitato sia adeguato a proteggere Paolo Berizzi da queste pesanti minacce o se serva un ulteriore apparato di scorta;

   quali altre iniziative intenda intraprendere per proteggere l'incolumità di una voce libera che esercita con coraggio il giornalismo di inchiesta.

 

Seduta del 15 febbraio 2019

Illustrazione di Elena Carnevali, risposta del Sottosegretario di Stato per il Lavoro e le politiche sociali Claudio Durigon, replica di Filippo Sensi

ELENA CARNEVALI: Grazie, Presidente. Sottosegretario Durigon, dopo la Turchia e anche l'Ucraina, con quindici e quattordici segnalazioni, l'Italia e la Russia sono tra i Paesi con il più alto numero di allerte nel 2018, in tutto sono tredici. Questo è un dato allarmante che è stato riportato solo tre giorni fa da questo rapporto annuale, che è preparato da dodici organizzazioni che gestiscono la piattaforma del Consiglio d'Europa per la protezione del giornalismo e per l'incolumità dei giornalisti. È una situazione di crescente violenza contro la stampa che il Consiglio d'Europa definisce particolarmente grave e che dovrebbe essere un monito preoccupante, perché si prende di mira soprattutto chi fa informazione e, spesso, chi rischia la propria vita.

Secondo questo rapporto, peraltro, si dice anche che questo crescente numero di minacce e di segnalazioni è arrivato dopo che si è insediato questo nuovo Governo a partire da giugno. Inoltre, si sottolinea che i due Vicepremier, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, esprimono regolarmente sui social un linguaggio ostile nei confronti dei media e, addirittura, si è arrivati all'idea di minacciare anche di togliere la protezione a Roberto Saviano, piuttosto che, spesso, un attacco al giornalismo e alla libera stampa.

Noi, tra i tanti giornalisti, qui ci prendiamo cura di Paolo Berizzi, un giornalista bergamasco, un giornalista della testata de la Repubblica, autore del libro “NazItalia” e di importanti indagini soprattutto sull'area dell'estremismo nero, che è stato minacciato da parte di militanti neofascisti e di ultrà di estrema destra, in particolare, da Forza Nuova, Do.Ra. e Mab.

Il 26 di gennaio, dopo una sua partecipazione per motivi di lavoro al funerale dell'ultrà varesino che è rimasto ucciso negli scontri a margine della partita Inter-Napoli, Paolo Berizzi viene puntato e avvicinato e solo grazie all'intervento e alla presenza della DIGOS e dei funzionari della questura sono state evitate delle conseguenze molto gravi.

Il coraggioso inviato de la Repubblica ha ricevuto anche sui social numerose minacce, estese non solo a lui, ma anche alla sua famiglia, con l'augurio di documentare presto il funerale della madre, di avere una morte con dolore e pena, di essere portato in un box e di vedersi strappare la lingua. Anche nella nostra città, a Bergamo, in cui il giornalista vive sono state tante le minacce: dal danneggiamento della sua auto a scritte molto ingiuriose, minacce, svastiche sotto la propria casa, alla presa di mira di una testata giornalistica di Bergamo, BergamoNews, con un attacchinaggio notturno di volantini nei quali Berizzi veniva definito “la vergogna di Bergamo”.

Al giornalista Paolo Berizzi era stata - dico “era stata” - disposta la vigilanza generica da parte delle forze dell'ordine: un dispositivo che gestisce e garantisce il passaggio più volte al giorno di mezzi della polizia sul luogo di dimora della persona sottoposta a tutela. Un servizio reso con molta perizia dagli agenti che, però, lasciava scoperto il giornalista per molte ore del giorno.

Bene abbiamo fatto - e ringrazio, peraltro, il Comitato per l'ordine e la sicurezza di Bergamo, la prefettura e la questura, che ha inviato, poi, un rapporto al Ministero - a presentare questa interpellanza sia alla Camera che al Senato per segnalare se non fosse il caso di rivedere l'attuale vigilanza generica, dove - noi sappiamo già che la risposta ci verrà data - è stata poi destinata e, quindi, può usufruire attualmente di una scorta.

Io penso che, di fatto, questo sia il motivo di fondo, oltre alla preoccupazione nei confronti del giornalista Paolo Berizzi, di questa interpellanza che vogliamo ampliare: siamo in una condizione, anche in merito a questo rapporto, di doverci fare carico, innanzitutto, di cambiare il linguaggio, l'ostilità nei confronti di chi garantisce un'informazione libera e documentata e di garantire la protezione e l'incolumità dei giornalisti. Questa è la ragione dell'interpellanza che abbiamo presentato al Governo.

CLAUDIO DURIGON, Sottosegretario di Stato per il Lavoro e le politiche sociali. Presidente, onorevoli deputati, come è noto, la valutazione delle situazioni di potenziale esposizione al pericolo individuale è effettuata in attuazione della legge n. 133 del 2002, sulla base di valutazioni tecniche operate da un duplice livello: quello locale, nell'ambito della riunione tecnica di coordinamento delle forze di polizia, presieduta dal prefetto, con la partecipazione dei vertici provinciali delle forze di polizia, che forniscono gli elementi informativi raccolti in sede istruttoria, e quello centrale, a cura dell'Ufficio centrale interforze per la sicurezza personale presso il Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, cui spetta il coordinamento di elementi raccolti in sede locale con eventuali ulteriori dati e la conseguente adozione delle definitive determinazioni in merito.

Venendo al caso segnalato dagli interpellanti, si rappresenta che l'esposizione al rischio del dottor Paolo Berizzi è stata costantemente monitorata dalla prefettura di Bergamo, in particolare, nelle riunioni di coordinamento delle forze polizia dell'8, del 24 e del 31 gennaio scorso. È stata svolta un'approfondita analisi della posizione del giornalista destinatario, nel mese di febbraio 2017, di un servizio di vigilanza generica radiocollegata.

All'esito delle valutazioni effettuate è stato proposto dall'Ufficio centrale interforze per la sicurezza personale l'applicazione di una misura di protezione ravvicinata in relazione all'ampia campagna denigratoria avviata nei confronti del giornalista dopo la pubblicazione di reportage sull'estrema destra e della presentazione del suo ultimo libro “NazItalia”. Sono stati, inoltre, oggetto di esame i commenti intimidatori postati sul web indirizzati al dottor Berizzi da appartenenti a gruppi di estrema destra e formazioni ultras, dopo che lo stesso aveva partecipato quale inviato del giornale la Repubblica ai funerali del tifoso Daniele Belardinelli svoltisi in provincia di Varese. In quell'occasione il giornalista, avvicinato da una trentina di appartenenti al sodalizio di estrema destra Do.Ra., si è potuto allontanare in sicurezza con l'intervento della Polizia di Stato presente sul posto.

Con nota del 1° febbraio 2019, l'Ufficio centrale interforze per la sicurezza personale, condividendo la proposta formulata dalla prefettura di Bergamo, ha disposto nei confronti del dottor Paolo Berizzi l'istituzione di un dispositivo di quarto livello, che sarà eseguito dal personale dell'Arma dei carabinieri, fermo restando il dispositivo di vigilanza generica radiocollegato già in atto.

 

FILIPPO SENSI: Grazie, Presidente. No che non siamo soddisfatti della sua risposta, signor sottosegretario, e la mia non è una formula di rito come si conviene tra maggioranza e opposizione secondo una liturgia che rispettiamo come fosse un gioco delle parti. No, la sua risposta non ci soddisfa, non è etimologicamente abbastanza perché, purtroppo, la questione delle minacce e delle aggressioni, delle intimidazioni e delle violenze, non solo verbali, subite dai giornalisti nel nostro Paese non può essere evasa come non fosse un'urgenza democratica. Non so se il sottosegretario ci ascolta, ma non ci ascolta.

Mi permetta, signor sottosegretario, per il suo tramite, Presidente, il Governo che lei rappresenta in quest'Aula non sembra sentire questa urgenza e, anzi, a mio modo di vedere, contribuisce ad aggravare, talvolta lasciando correre comportamenti offensivi, altre volte, molto più spesso, rendendosi responsabile diretto di un incanaglimento del clima nei confronti di chi svolge la professione di giornalista.

Vede, signor sottosegretario (lo dico a lei, Presidente), c'è chi ritiene che proprio nella ragione fondante di una delle due forze della maggioranza, il MoVimento 5 Stelle, ci sia il seme di un fastidio, di un'intolleranza, di una scarsa capacità di sopportazione nei confronti della libera informazione. Della Lega eviterò oggi di parlare perché non è educato parlare degli assenti; Durigon non vale perché è di Latina. Certo, gioca un suo ruolo il potere. Lo dico per il suo tramite, Presidente: ora siete a Palazzo Chigi, siete al Governo del nostro Paese, e si sa, chi sta al potere, chi oggi rappresenta l'establishment (un tempo si sarebbe detto la casta) di solito mal tollera la critica, il giudizio spesso sferzante, l'inchiesta, lo scrutinio, l'esame, l'analisi. Non è una novità di questo Governo, ma certo questo Governo sembra non brillare per pazienza (usiamo questo eufemismo) nei confronti della stampa, che esercita il proprio lavoro di setaccio sui provvedimenti, le dinamiche, i protagonisti di questa stagione politica.

Non è solo il potere dunque a rendere segnatamente il MoVimento 5 Stelle così renitente, tanto recalcitrante all'autonomia di giudizio dei giornalisti: è qualcosa di più profondo e costitutivo, se posso dire, e riguarda quella che oggi viene chiamata la disintermediazione, l'allergia, peggio anzi, la radicale alterità nei confronti di qualsiasi forma di mediazione di tipo sociale, economico e politico. Sono tendenze beninteso che agiscono in tutto l'Occidente, e non solo, e non solamente in forma negativa, ci mancherebbe; ma che trovano nei 5 Stelle, a mio modo di vedere, quasi una ragione sociale identitaria di questo partito: l'ostilità nei confronti della stampa, l'aggressività nei confronti del sindacato, la sufficienza nei confronti della magistratura, lo svilimento della competenza, le “manine”, i burocrati, sono tutte facce dello stesso fenomeno. Noi siamo i portavoce del popolo, anzi noi siamo il popolo: un frame che veniva richiamato proprio ieri in quest'Aula, contraddittoriamente rivendicato. E dunque qualsiasi mediazione, qualsiasi filtro, qualsiasi interfaccia tra il popolo e il potere che non sia la nostra - consentitemi la brutalità - tradisce il popolo, lo confonde, indebolisce, complica, e per ciò stesso va superato, va fiaccato, va messo in crisi, va posto in questione, talvolta sbeffeggiato, ridicolizzato, rimosso, se possibile; reso in maniera plateale ed evidente, grazie ad esempio ad un uso della rete e dei social network su cui ci sarebbe davvero molto da parlare da capire per comprendere la stagione che stiamo vivendo e l'onda sulla quale sono montati per arrivare al potere - invito tutti a leggere l'interessante articolo apparso ieri sulla rivista americana Wide a tal proposito - additato insomma come un nemico, un nemico del popolo per l'appunto, un nemico della democrazia così intesa.

Se questi sono i presupposti, signor sottosegretario (lo dico sempre tramite lei, Presidente), e ne abbiamo giorno dopo giorno esempi di ogni tipo da parte di questo Governo: liste di proscrizione dei giornalisti cattivi, insulti personali e di categoria, pressioni intollerabili sulle testate, episodi di esclusione, provando a fare terra bruciata attorno al giornalista colpevole di avere scritto qualcosa di sgradito o di avere fatto la domanda spiacevole. Se questi sono i presupposti, dicevo, non c'è davvero di che stupirsi di quanto assai poco credibile poi risulti la risposta del Governo circa lo stato di condizionamento e di intimidazione in cui si trovano ad operare oggi i cronisti e le testate già colpite da tagli mirati, selettivi, operati dal vostro Governo.

Intimidazione, dicevamo: il caso di Paolo Berizzi sollevato dalla collega Carnevali in questa interpellanza è paradigmatico, ma purtroppo tutt'altro che solitario nel nostro Paese. Penso alla vita blindata - lo ha detto la collega Carnevali - che si trovano a vivere giornalisti come Paolo Borrometi o Federica Angeli; penso alle reiterate minacce ed aggressioni subite da Daniele Piervincenzi, prima ad Ostia con Edoardo Anselmi e l'altro ieri in Abruzzo con Sirio Timossi e David Chierchini; al collega de l'Espresso Federico Marconi assieme al fotografo Paolo Marchetti, colpevoli di documentare le celebrazioni e il memoriale di Acca Larentia; ad Andrea Palladino e Andrea Tornago, a Federico Gervasoni, questi ultimi come Berizzi nel mirino della destra neofascista e neonazista per le loro inchieste sulle reti finanziarie, le coperture e le connivenze. Sono solo alcuni dei quasi 4 mila giornalisti minacciati dal 2006 ad oggi, 3.122 concentrati solo a partire dal 2011, con un tasso di impunità per chi minaccia del 98,3 per cento, secondo le statistiche di Ossigeno per l'informazione, una piattaforma preziosa che denuncia le pressioni e le violenze che spesso deve subire chi nel nostro Paese fa questo lavoro; con un tasso di impunità per coloro i quali si macchiano di questi reati altissimo, pari al 90,1 per cento.

E' questo, signor sottosegretario (lo dico sempre attraverso di lei, Presidente) il punto che sto cercando di argomentare: se questi sono i dati impressionanti delle condizioni in cui versa la libertà di stampa in Italia…

Lo dico con senso della misura: ho letto stamattina l'intervento di Senaldi, abbiamo il senso delle proporzioni; però anche la consapevolezza di come basti poco. Se è questa l'aria che tira per chi fa le domande scomode, per chi non si fa bastare la propaganda dei potenti di turno, per chi illumina i lati oscuri del nostro Paese, dalla criminalità organizzata ai gruppi neofascisti, com'è possibile che il Governo italiano, la maggioranza, invece di aiutare i giornalisti, invece di sostenere il loro lavoro, invece di metterli in condizioni di svolgere la loro professione, li additino come nemici, li insultino, minaccino di lasciarli da soli, di non proteggerli, di togliere loro la scorta? La scorta come metafora e non come costo: metafora di protezione, di cura, di riguardo.

Pochi giorni fa, signor Presidente (il Partito Democratico lo ha ricordato in quest'Aula, lo ha fatto adesso Elena Carnevali), nel Rapporto annuale del Consiglio d'Europa sulla protezione del giornalismo e la sicurezza dei giornalisti l'Italia è risultata tra i Paesi dove i rischi e le minacce alla libertà di stampa sono diventate più preoccupanti. Significativo, Presidente, che il rapporto del Consiglio d'Europa fra tutti si concentri su quattro Paesi: l'Italia, la Russia di Putin, la Turchia di Erdoğan e l'Ungheria di Orbán. Ripeto: la Russia, la Turchia e l'Ungheria, una compagnia che ogni giorno di più diventa il recinto, la ridotta, l'angusto perimetro della nostra proiezione esterna, della nostra immagine in Europa e nel mondo. Questo in un contesto globale, dalla morte efferata di Ahmad Khashoggi, il giornalista del The Washington Post, alle intimidazioni nelle Filippine alla giornalista Maria Ressa, nel quale scrivere su una testata, andare in giro con la telecamera nei luoghi meno illuminati, denunciare alla radio le cose che non vanno può diventare un rischio per la propria incolumità, per la propria vita.

Se questo è quanto succede nel mondo ai giornalisti, se questo, Presidente, è quello che succede in Italia, con il suo lugubre primato tra i partner europei, non si stupisca, signor sottosegretario (sempre per il suo tramite), se non possiamo ritenerci soddisfatti della sua replica. Il nostro è un Paese nel quale la libertà di stampa, il pluralismo dell'informazione non solo non vengono considerati molto, troppo spesso un indicatore della qualità della nostra democrazia, ma addirittura nel quale vengono osteggiati, tollerati con degnazione se non con iattanza, vissuti come una molestia, come un fastidioso contrattempo, un rumore di fondo, un borborigmo, se non addirittura come una minaccia, come una inutile mediazione, in un contesto che predica la democrazia diretta (da chi? viene facile il calembour) come unica forma della democrazia, come una rappresentanza distorta, superflua, dunque nociva, per una maggioranza che troppo spesso sembra avere più a cuore Orwell (scelga lei tra La fattoria degli animali e 1984) che Rousseau.

Per quanto ci riguarda, Presidente (ed ho concluso), non ci stancheremo di denunciare questa cultura o incultura del sospetto nei confronti del giornalismo, questa colpevole distrazione di fronte a minacce e intimidazioni subite dai cronisti, questa aggressività che risulta tanto più odiosa in quanto esclude, addita, isola. Penso che l'Italia debba invece un sentimento di solidarietà e di vicinanza a chi si espone ogni giorno a riportare i fatti, a non chinare il capo, a non avere paura, a ricordarci, a ricordarvi che il potere passa, la ricerca della verità no.