15/09/2015
Gianni Cuperlo
Rosato, Luciano Agostini, Albini, Argentin, Baruffi, Bargero, Basso, Bazoli, Beni, Blazina, Brandolin, Bruno Bossio, Carra, Carloni, Carnevali, Castricone, Casellato, Cassano, Cenni, De Maria, Fabbri, Fontanelli, Gianni Farina, Fossati, Carlo Galli, Gandolfi, Gnecchi, Giorgis, Giuseppe Guerini, Guerra, Iacono, Laforgia, La Marca, Lattuca, Marazziti, Martella, Marzano, Malisani, Miotto, Murer, Pastorino, Pollastrini, Prina, Romanini, Rubinato, Scuvera, Speranza, Stumpo, Terrosi, Tullo, Zampa
2-01081

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che: 
a pochi giorni dalla morte di Aylan — 3 anni, siriano, in fuga dalla guerra — un altro battello è affondato davanti alla Grecia causando altre decine di vittime, per la metà bambini e tra loro dei neonati, a conferma che questa strage infinita non pare destinata a fermarsi; 
solo quest'anno — e si è a settembre 2015 — più di 430 mila migranti hanno sfidato il Mediterraneo per il loro viaggio della speranza. Vuol dire il doppio di quanti lo avevano fatto nell'intero 2014. A migliaia non hanno toccato la riva e di molti non si potrà mai recuperare il corpo. La maggior parte fugge dalla Siria. Molti da Pakistan, Iraq o dall'Afghanistan e dall'Africa. Il numero più alto percorre la via che conduce dalla Turchia alla Grecia. Altri sbarcano sulle nostre coste dopo una via crucis in territorio libico; 
l'Europa — anche grazie alle pressioni del nostro Governo — sta correggendo un'assenza prolungata e un egoismo colpevole, ma senza risolvere il tema di fondo di quali vie legali si possono utilizzare per chiedere asilo in Europa, migliaia di donne, uomini, bambini non troveranno alternativa al ricatto di criminali e scafisti; 
l'Italia ha il merito enorme di avere soccorso in mare migliaia di naufraghi. È un'opera di cui andare orgogliosi e che va proseguita fintanto che l'emergenza continuerà. Ma se si vogliono evitare nuove tragedie la sola soluzione — umanamente e politicamente saggia — è andare a prendere quanti hanno il diritto di mettersi in salvo prima che la loro vita sia comperata e mercificata da trafficanti senza principi –: 
se il Governo ravvisi a oggi la necessità di farsi promotore presso l'Unione europea di una intensa pressione politica e diplomatica finalizzata, in una collaborazione stretta con l'UNHCR, ad attivare dei canali umanitari sicuri e dei presidi nei Paesi di partenza ovunque ciò sia possibile — dalla Turchia al Libano, dalla Giordania alla Tunisia — così da procedere in un contesto di protezione a una prima selezione dei migranti in possesso del requisito di rifugiato e ai quali garantire visti umanitari per chi scappa dalla guerra e la certezza di non essere respinti dai Paesi di transito; se in tale contesto non ritengano necessario individuare dei criteri umanitari partendo dalla salvezza di donne e bambini in modo da evitare che altre creature o neonati debbano salire su una di quelle sciagurate imbarcazioni, e comunque con l'obiettivo di trasferire i profughi con diritto di asilo nei Paesi di sbarco in condizioni di sicurezza, stroncando un traffico odioso di esseri umani che solo quest'anno ha già fruttato alle organizzazioni criminali centinaia di milioni di dollari.

Seduta del 18 settembre 2015

Illustra Giovanni Cuperlo, risponde Bressa Gianclaudio (PD), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, replica Mario Marazziti

Illustrazione

Grazie, Presidente. Signor sottosegretario, io – come tutti noi che siamo in quest'Aula, credo – non so dire se un'immagine sia davvero in grado di deviare il corso della storia, però so che alcune settimane fa – molto se ne è parlato – l'immagine di una creatura di tre anni adagiata su una spiaggia della Turchia ha scosso la coscienza di milioni di persone in ogni parte del mondo, a conferma che una forza delle immagini esiste, come esiste – io credo – una potenza delle parole; ad esempio, quelle di Kinan, siriano anche lui, ma che di anni ne ha già compiuti tredici, e che davanti ad una telecamera ha detto semplicemente così: se voi – e quel «voi» era rivolto a noi – fate cessare la guerra, noi torniamo a casa nostra. 
Dieci parole capaci, per un istante, di disarmare buona parte della retorica sull'invasione dei profughi, perché poi la verità che abbiamo davanti è questa: chi imbocca la via di un viaggio senza certezze, chi espone se stesso e la propria famiglia ad un'avventura carica di rischi, ricatti e violenze, non lo fa per una libera scelta, lo fa per la ragione esattamente opposta: perché ogni altra scelta gli è stata preclusa, e perché dietro di sé non ha il ritorno ad una casa e ad una vita normale; alle sue spalle ci sono guerre, stragi, persecuzioni. Qualcuno li definisce, spesso, sui giornali, «disperati»: il termine rischia, però, di rovesciare la realtà, perché non è la disperazione, ma la speranza, che muove milioni di persone verso l'incognito. 
Ora, io non credo che in una sede come questa – per quanto poco frequentata stamane – serva rammentare i numeri, la dimensione di questa tragedia assurda e collettiva. Solamente quest'anno 430 mila migranti hanno sfidato il Mediterraneo e lo hanno fatto in condizioni quasi sempre disumane. Il nostro Paese, grazie alla generosità e professionalità della nostra Marina e di una rete di associazioni e volontari, ha messo in sicurezza decine di migliaia di donne, uomini, bambini: è un risultato di cui andare orgogliosi, anche dentro quest'Aula. Molti, moltissimi, noi ne abbiamo salvati, e in questo l'azione del Governo è apparsa coerente e tempestiva, e lo diciamo – lo ripeto – con una punta di orgoglio, ma sappiamo anche che non abbiamo potuto salvarli tutti e che, da gennaio ad oggi, quasi 3 mila donne, uomini, bambini, non hanno toccato la sponda della Grecia, della Turchia, o quella delle nostre coste. Un numero impressionante di corpi che non avrà mai una sepoltura. In questa cornice si è inserita la vicenda della Siria. La Siria è un grande Paese piegato da una guerra che ha già causato forse 250 mila vittime, è una nazione smembrata, dove il regime di Assad controlla ormai una quota parziale del territorio mentre Daesh prosegue la sua opera di distruzione, di terrore. Parliamo di un Paese che conta almeno sette milioni di sfollati, un milione in più solamente nell'anno in corso. Dodici milioni di persone soffrono uno stato di bisogno e quasi otto su dieci vivono in una condizione di povertà. L'esito è il fenomeno che ci investe con la sua piega morale: la fuga con ogni mezzo e in ogni modo di centinaia di migliaia di esseri umani. 
A fuggire oggi è la classe media, sono medici, ingegneri, artigiani, commercianti; dopo cinque anni di guerra cercano la salvezza da un regime che conoscono molto bene e da un califfato che sperano di non conoscere mai. Così la Siria, che però non è la sola base di una partenza di massa e naturalmente l'Occidente non può fingere di non sapere, né può stupirsi di cifre che improvvisamente fanno paura, ma la verità è che a vivere in un Paese diverso da quello dove sono nati erano 154 milioni di persone nel 1990, oggi i milioni sono divenuti 230, il 3 per cento della popolazione mondiale. Cresce anche il numero di chi è costretto a fuggire in cerca di salvezza, i profughi erano 60 milioni nel 2014, l'anno passato. Sarebbe stato all'epoca, dicono gli statistici, i demografi, la ventiquattresima nazione del mondo, con una crescita di 8 milioni rispetto all'anno precedente. Un aumento mai registrato prima, credo almeno nell'epoca moderna, e a scatenare l'incremento sono stati i conflitti in Siria, in Ucraina, nel Nord-Africa, cifre impressionanti a cui vanno sommati 10 milioni di apolidi. Ancora, la massa più grande dei rifugiati – lo si ricorda troppe poche volte, mi pare di poter dire – viene accolta da Paesi in via di sviluppo e tra questi i meno sviluppati, cioè Paesi poverissimi, ne accolgono il 25 per cento, un quarto del totale. La prima nazione di raccolta delle persone che fuggono da una guerra oggi è la Turchia, con un milione e seicentomila presenze, poi seguono il Pakistan, il Libano – il Libano è un Paese con cinque milioni di abitanti, un milione sono i profughi – l'Iran, l'Etiopia, la Giordania. Naturalmente questa esplosione di popolazioni in fuga ha delle ragioni geopolitiche, pesa la decomposizione degli Stati post-coloniali, tra il Medio Oriente, l'Africa, l'Europa sud-orientale. Sono solo dei cenni, signor sottosegretario, ma forse aiutano a capire le radici e le cause dei flussi migratori che si indirizzano oggi verso l'Europa e la conseguenza è che in poco più di un secolo questo nostro continente meraviglioso da soggetto che colonizzava è divenuto obiettivo privilegiato di centinaia di migliaia di ex colonizzati. Però noi sappiamo che quel viaggio della speranza verso l'Europa della pace e della sicurezza può durare anni e costare molto, ed è esattamente lì, in quello spazio e in quel lasso di tempo, che si alimenta un affare di miliardi. Qualcosa – lo ha descritto bene Lucio Caracciolo, il direttore di Limes– che congiunge economie informali e organizzazioni criminali potenti. Se posso dirla così, in tutto questo vi è anche la conferma che la globalizzazione non è un menu à la carte, per cui bene la libera circolazione delle merci, dei titoli, ma no a quella delle persone, degli esseri umani. Semplicemente il mondo non funziona così e ha fatto bene il Presidente del Consiglio a ripetere per mesi che questo non era un problema solamente dell'Italia, non lo è neppure solo dell'Europa. Questo oggi è forse il più drammatico e urgente dei problemi globali e se una ragione profonda vive nelle parole di Kinan, quel bimbo di tredici anni, questa tragedia la politica la deve affrontare anche con gli strumenti della politica appunto e della diplomazia, il che porta a dire che dopo l'accordo sul nucleare iraniano oggi la sfida è cercare un compromesso politico che riguardi tanto il teatro libico che quello siriano. 
Ma allora – e chiudo, venendo al merito dell'interpellanza, che quasi settanta colleghe e colleghi di gruppi diversi hanno rivolto oggi al Governo – finché quella fase di pacificazione non intervenga, e fintanto che altre donne e uomini non avranno altra via che quella di una fuga senza certezze e protezioni, come può la politica, come possono i Governi sovrani, come può l'Europa nel suo insieme non costruire le condizioni per evitare che altre creature, come Aylan, che altre donne e altri uomini trovino la morte, magari a poche miglia e a volte a poche bracciate dalla salvezza, la loro salvezza, ma in fondo anche la nostra salvezza ? Su questo, noi oggi interpelliamo il Governo, su un interrogativo che la civiltà dell'Europa non può aggirare, pena il venir meno della sua stessa ragion d'essere. 
La domanda è questa: chi oggi scappa da una guerra e da una morte possibile o probabile, come può arrivare legalmente – e ribadisco: legalmente – dall'altra parte del mare e chiedere asilo, se ne ha i requisiti e il diritto, all'Europa dei diritti e delle libertà ? L'ho accennato all'inizio: nelle posizioni più recenti di figure autorevoli come la Cancelliera Merkel o lo stesso Presidente Juncker ci sono i segnali di una nuova consapevolezza, con un'Europa finalmente più solidale e responsabile, ma nessuno ancora è in grado di garantire che altre vite non vengano stroncate in quegli infiniti viaggi della vergogna. E allora ? Allora, tra i compiti dell'Europa dovrebbe esserci l'impegno concreto a sottrarre chi fugge dal ricatto dei trafficanti di corpi. È giusto discutere di quote, di programmi di accoglienza e, quando serva, di rimpatrio, ma noi oggi interroghiamo il Governo su un punto di merito e cioè gli chiediamo se non ritenga che la priorità, non più rinviabile, sia rappresentata adesso dalla necessità di aprire immediatamente dei canali umanitari, dei corridoi sicuri in grado di evitare, nel senso di prevenire, la strage di altre creature innocenti. 
Ritiene il Governo che l'Italia si possa e si debba attivare presso l'Unione europea, l'UNHCR, le Nazioni Unite e altri organismi e associazioni internazionali per favorire visti umanitari rivolti a chi fugge da un conflitto – anche provvisori, se necessario – e per attivare dei presidi nei Paesi di partenza, ovunque ciò sia possibile, ragionevolmente e concretamente possibile – dalla Turchia, al Libano, alla Tunisia –, così da procedere, in un contesto protetto, a una selezione dei migranti in possesso del requisito di rifugiato, persone alle quali garantire la certezza di non essere respinti dai Paesi di transito o di destinazione ? In un contesto del genere, sarebbe possibile individuare anche dei criteri umanitari, partendo dalla messa in sicurezza di donne e bambini, così da evitare, una volta e per sempre, che altri neonati debbano più salire su una di quelle imbarcazioni della vergogna. Chiediamo al Governo se non consideri questo un impegno meritevole di un accordo, della verifica urgente di un accordo in sede comunitaria e di energie e risorse da investire in una fase iniziale di sperimentazione di un nuovo modo di concepire l'accoglienza e l'assistenza verso persone oggi abbandonate a un destino incerto e che, nella migliore delle ipotesi, la nostra umanità prova a soccorrere in condizioni difficilissime quando, troppo spesso, le tragedie si sono già consumate. 
Io mi permetto, signor sottosegretario, di aggiungere una sola nota, ed è questa: ancora una volta, com’è accaduto in altri momenti della storia, dal modo in cui un Paese o una comunità di Nazioni sceglie di proteggere e accogliere i migranti, derivano i tratti del livello di civiltà di quel singolo Paese o di quella comunità di Nazioni. Non è solo una questione legata al destino economico, anche se pochi giorni fa l'agenzia Bloomberg ha illustrato i contenuti di uno studio che certifica come solamente per mantenere in equilibrio la nostra bilancia previdenziale e i nostri sistemi previdenziali il nostro continente avrà bisogno, da oggi al 2020, di 42 milioni di nuovi cittadini europei. Tutto questo è vero, ma non esaurisce il tema del nostro grado di civiltà, civiltà che è stata messa a dura prova da quell'immagine, citata da molti, dalla quale anch'io mi sono permesso di partire stamane.
E allora, se mi è permesso, io vorrei concludere ricordando, a lei e a tutti noi, un episodio che è molto lontano nel tempo, nel tempo, però, e non nella cultura che lo ha sorretto allora e che ce lo restituisce oggi. Mi fa piacere citarlo anche perché tra i pochi presenti in quest'Aula alle mie spalle siede il presidente Speranza. 
All'inizio del Novecento, oltre un secolo fa, Giustino Fortunato, una delle figure più limpide del nostro meridionalismo, scriveva, dalla sua Basilicata, queste parole: «Nel solo mio comune di Rionero ogni anno si riversa poco meno di mezzo milione di lire da duemila suoi figli, in parte residenti in Argentina e a New York, ai quali dobbiamo ammirazione e riconoscenza». Non erano, dunque, profughi quelli di cui parlava Fortunato, ma «emigranti economici», come li chiameremmo noi oggi. E così proseguiva: «Il mutamento così rapido delle nostre condizioni economiche sarebbe inesplicabile se prescindesse da un fatto veramente grandioso, di cui ha ragione e va superbo il popolo d'Italia: parlo dell'emigrazione, elemento incalcolabile di civiltà e di benessere per il nostro Paese. Essa ha diminuito il numero degli omicidi, ha reso meno frequente l'abigeato, ha ridestato negli strati sociali medio-bassi il desiderio dell'alfabeto,» – che bella espressione: il desiderio dell'alfabeto – «ha annullato l'usura e ha permesso, a un gran numero di povera gente, di non crepare di fame e il pagamento delle imposte è possibile solo per opera degli emigrati». 
Però, è sulla conclusione, signor sottosegretario, che io richiamo la sua attenzione, perché forse è sulla conclusione, scritta più di un secolo fa, che merita riflettere, quando Giustino Fortunato dice che: «Anziché sognare imperi e colonie in Africa, pensiamo a proteggere e a difendere, sia alla partenza, sia nel viaggio e all'arrivo, le migliaia di nostri fratelli, i quali, non più rassegnati alla fame, volontariamente solcano il mare infido». Proteggere e difendere, alla partenza, nel viaggio e all'arrivo, contro un mare infido ! Era oltre un secolo fa – e ho concluso, Presidente – ma allora, come oggi, era la manifestazione elevata di un'umanità profonda, incoercibile, che mai avrebbe potuto divorziare da una coscienza civile. Forse, come succede spesso, anche la storia migliore può aiutarci ad illuminare la strada. Noi oggi con questa interpellanza, che rivolgiamo, tramite lei, al Governo del nostro Paese e all'Europa, vogliamo pensarlo e vogliamo crederlo.

Risposta del governo

Grazie, Presidente. È del tutto evidente che, al di là di quella che sarà la risposta sul piano delle iniziative e degli impegni, a livello diplomatico e di politica estera del Governo italiano, sul tema dell'immigrazione, l'impegno politico per un accordo in sede comunitaria e per la possibilità di attuare in Italia da subito, anche in forma sperimentale, quanto richiesto dagli interpellanti, la risposta non può che essere favorevole e positiva. Io credo che, in maniera molto puntuale, l'onorevole Cuperlo abbia, nella sua illustrazione, posto le questioni politicamente e, direi, culturalmente decisive sul perché la risposta non possa che essere positiva. 
Quando lui fa riferimento a un dato fondamentale, che invece rischiamo di vedere smarrito e che per molti mesi non è stato preso in considerazione dalla comunità internazionale per la gravità che esso rappresentava e, cioè, che non è la disperazione ma è la speranza quella che muove milioni di persone (60 milioni di profughi nel 2014), ciò ci pone, però, anche l'interrogativo sul fatto che, anche se è la speranza a muoverti, questi processi di migrazione, così vasti, tutto possono apparire meno che un'occasione che non può essere valutata per la gravità che questo fenomeno rappresenta, che non è un fenomeno che riguarda l'Italia e l'Europa ma è un fenomeno che riguarda l'intera comunità internazionale. 
A seguito di un dramma che colpì gli italiani immigrati in Svizzera cinquant'anni fa, la tragedia di Mattmark, Dino Buzzati, in un suo editoriale sul Corriere della Sera che intitolò «L'amara favola» dell'emigrazione, poneva tutte le questioni culturali alla base di quella che è la richiesta degli interpellanti. La speranza non può diventare tragedia e la misura di una cultura giuridica si definisce con la capacità che hai di annullare la paura del diverso, la paura dell'altro come la definiva Sartre e come Sartre considerava questa essere la misura della civiltà giuridica di un popolo e di una nazione. Credo che, da questo punto di vista, il Governo non debba sentirsi impegnato, ma debba essere determinato perché questo sia non un impegno politico astratto, ma una battaglia politica continua, perché questo tipo di cultura, il riconoscimento di questi che sono i fondamenti della cultura europea, questi sì i veri fondamenti della cultura europea, possano trovare ancora oggi concretezza e immediata applicazione. 
È di tutti la consapevolezza della tragedia che ogni giorno si consuma di fronte ai nostri occhi. Le migliaia di migranti che scappano dalla guerra e che intraprendono un cammino biblico e affrontano le insidie del mare per arrivare in Europa. L'immagine del piccolo Aylan, ma anche le parole che sono state ricordate di quel giovane siriano, non solo devono scuoterci, ma devono accrescere, non tanto la consapevolezza, ma la determinazione, che occorre agire. 
In tutti questi mesi l'Italia ha svolto un ruolo importante che rivendichiamo con forza. Come è stato ricordato, proprio la scorsa settimana, dal Ministro Gentiloni, intervenendo in quest'Aula, abbiamo innanzitutto salvato circa 130 mila vite umane in questi ultimi diciotto mesi, grazie anche alla nostra Marina e al lavoro dei nostri operatori umanitari. Abbiamo da tempo esercitato un'intensa attività politico-diplomatica per porre l'immigrazione fra le priorità dell'agenda europea, promuovendo, tra le altre cose, il vertice straordinario dell'Unione europea di cinque mesi fa sul tema dell'immigrazione. Di fronte a questa crisi migratoria credo che abbiamo contribuito in maniera determinante a far nascere in Europa la consapevolezza che occorra in primo luogo lavorare sull'accoglienza, per arrivare a un diritto d'asilo europeo che superi le regole di Dublino, e utilizzando nel contempo – al meglio e in chiave europea – le politiche di rimpatrio. L'accresciuta consapevolezza della crisi migratoria ha anche permesso di ampliare il dispositivo dell'agenzia Frontex nel Mediterraneo, in particolare l'operazione Triton. 
Per quanto concerne nello specifico l'idea – prospettata nell'interpellanza – di attivare presidi nei Paesi di partenza, così da procedere in un contesto di protezione ad una prima selezione dei migranti in possesso del requisito di rifugiato, faccio presente che anch'essa fa parte delle proposte che il Governo ha portato avanti a partire dal nostro semestre di Presidenza dell'Unione Europea. L'iniziativa, attualmente in corso di approfondimento nell'ambito dell'Agenda per le migrazioni presentata dalla Commissione europea, determinerebbe un'anticipazione della decisione sulla domanda di protezione internazionale, affidandone l'esame ad avamposti dell'Unione europea costituiti nei Paesi di transito dei migranti. Questi stessi avamposti, in cooperazione con l'UNHCR e l'Organizzazione internazionale delle migrazioni, potrebbero decidere, secondo preventivi accordi tra gli Stati membri, anche la destinazione del migrante.
In parallelo, il Governo ha dato la propria disponibilità a collaborare con l'UNHCR e le altre agenzie umanitarie per individuare, in Paesi particolarmente colpiti dai flussi migratori, persone eleggibili alla protezione internazionale che possano essere reinsediate in Italia e nell'Unione europea, con particolare attenzione alle categorie più vulnerabili. Tali iniziative, oltre a offrire prospettive di un futuro migliore ai rifugiati, costituiscono un modo per ridurre lo spazio di mercato dei trafficanti di esseri umani. Inoltre, esse rappresentano un concreto gesto di solidarietà verso i Paesi terzi in prima linea nella gestione dei flussi di rifugiati dalle aree di crisi. 
Dal 2010, infatti, il nostro Paese è impegnato nel reinsediamento in Italia di alcune centinaia di profughi iracheni e afgani. Inoltre, anche grazie al contributo del fondo europeo AMIF, sono attualmente in corso le procedure per il reinsediamento in Italia, in stretta collaborazione con l'UNHCR, di 450 cittadini siriani dal Libano e di 50 cittadini eritrei dal Sudan. Da ultimo, l'Italia ha risposto in maniera positiva alla raccomandazione con cui la Commissione europea ha proposto, nel quadro dell'Agenda europea sulla migrazione, di reinsediare in Europa 20 mila rifugiati in Paesi terzi su due anni. Ma anche tutte queste attività e questi numeri ci dicono che la tragedia dell'emergenza attuale è talmente più grande di quelli che sono gli impegni che abbiamo assunto che non si può che accrescere, come ripeto, non la consapevolezza, ma la determinazione che si deve e si può fare di più. 
Sempre in materia di reinsediamento, il Ministero dell'interno ha aderito ad un progetto denominato EU-Frank, finanziato con fondi FAMI e di cui è capofila l'Agenzia per l'immigrazione svedese. La finalità del programma è quella di sviluppare strumenti e strategie per aiutare gli Stati membri dell'Unione europea e gli Stati associati nella realizzazione di programmi nazionali di reinsediamento. L'avvio del progetto è previsto per il prossimo autunno e la durata sarà di cinque anni, fino al 2020.
Vorrei, infine ribadire quanto già detto dal Ministro Gentiloni sul piano illustrato recentemente dal Presidente Juncker. Si tratta di un risultato importante perché sancisce, innanzitutto, dal punto di vista culturale, il principio dell'impegno comune, perché avvia una ricollocazione significativa di 120 mila rifugiati, che si aggiungono ai quasi 40 mila già decisi alcune settimane or sono e, nel decidere la ricollocazione di questo totale di 160 mila, stabilisce che non si tratta di un meccanismo una tantum, ma di un meccanismo che può essere riattivato di fronte a crisi che possono ripresentarsi e che sono nel panorama prevedibile dell'evoluzione della situazione. Dobbiamo, inoltre, lavorare sulle cause profonde dei fenomeni migratori nei Paesi in cui vengono originati – Giustino Fortunato ha detto queste cose centocinquant'anni fa e, dunque, siamo forse un pò in ritardo rispetto a quella grande intuizione – innanzitutto in termini di cooperazione e aiuto allo sviluppo, recuperando almeno una parte del ritardo accumulato negli ultimi dieci anni nei fondi per la cooperazione e l'aiuto allo sviluppo. È importante, poi, lavorare anche con i Paesi di transito, come, per esempio, stiamo facendo in Niger. Non è certo la soluzione del problema, ma si tratta comunque di un contributo utile per gestire e in parte anche ridimensionare i fenomeni migratori. 
Concordo, infine, con l'onorevole interpellante laddove sottolinea l'importanza del contrasto ai trafficanti di esseri umani, questione considerata prioritaria dal Governo come testimoniato dalla partecipazione all'operazione EuNavForMed. Come dicevo poc'anzi, solo in tal modo si crea un deterrente in grado di fermare o perlomeno limitare questo odioso commercio.

Replica

Grazie Presidente, onorevole sottosegretario, la ringrazio della sintonia morale, politica e anche dell'onestà intellettuale con cui ha messo in rilievo come, nonostante il forte impegno dell'Italia, i numeri, i dati e le cifre degli interventi reali siano purtroppo ancora drammaticamente lontani dalle dimensioni gigantesche di un fenomeno epocale che chiede risposte italiane, europee e mondiali diverse da quelle che solo pochi mesi fa erano disponibili sul tappeto. 
Quindi sono sicuramente soddisfatto dell'impegno e dello sforzo italiano che negli ultimi mesi ha fortemente contribuito a introdurre almeno l'agenda migranti e l'agenda Mediterraneo e il tema pace nel Mediterraneo e in Medio Oriente come temi non accessori e non secondari dell'agenda europea e questo è un contributo dell'azione italiana che sembrava impensabile: sembrava impensabile l'accelerazione politica dell'intervento di Angela Merkel o del Presidente Juncker solo un mese fa e negli ultimi trenta giorni noi abbiamo registrato un'accelerazione nella giusta direzione con una crescita di iniziativa politica. Credo che il Governo italiano sia davvero dentro l'origine di questo cambiamento ma devo anche dire che dobbiamo davvero fare di più. Penso che quando lei cita 450 cittadini del Libano in corso di «relocation in Italy» – uso l'inglese come si fa nei trattati internazionali – noi stiamo parlando appunto di cittadini siriani, quattro milioni, fuori dei confini di quel Paese. Stiamo parlando di circa un milione di feriti, di dieci milioni di sfollati interni, della deflagrazione di un Paese che anche personalmente, devo dire, mi ero trovato a contrastare alle origini perché per un anno anche personalmente, con l'aiuto di alcuni ambienti della Farnesina, avevamo cercato di introdurre nel dibattito internazionale la possibilità di una soluzione politica e non militare, quando le vittime erano poche e la soluzione era possibile. Ma c’è stata una incredibile quantità di errori della comunità internazionale e oggi abbiamo anche Daesh che non c'era prima, e siamo di fronte alla riscrittura dei confini, non decisa, della prima guerra mondiale con migrazioni epiche, bibliche nelle terre bibliche. Allora ritengo che dobbiamo seriamente dire come cercare di fare di più, dove e in quale direzione andare. Credo che non sia facile perché siamo in un tempo di un dibattito imbarbarito cioè credo che sia imbarbarito un dibattito europeo e italiano dove si discute se salvare le persone. Mentre noi parliamo, oggi arriva la notizia che di Hanan Al Jarwan, bambina di quattro anni trovata sulla spiaggia di Altinkoy, non so se avremo le immagini di questa bambina. E ancora oggi – è arriva questa mattina – la notizia di un profugo morto fulminato, come sulla sedia elettrica, perché c’è una rete elettrificata per impedire di attraversare. Non c’è stato processo, non c’è la colpa. Allora come si fa ? I muri e il filo spinato che i populismi provocano stanno distruggendo l'anima dell'Europa, stanno aumentando le vittime perché non c’è muro e filo spinato che può fermare 60 milioni di migranti nel mondo. Muri e filo spinato allungano solo sofferenze, viaggi e quanti possono lucrare nascondendo nei portabagagli migranti o in altri modi. Dunque credo che dobbiamo lavorare in direzioni possibili: sicuramente l'asilo europeo ma esso deve contenere la possibilità di richiedere l'asilo europeo dai Paesi di transito per creare un database europeo prima, per creare una scrematura e anche un'analisi dei profili prima e per creare i viaggi legali e sicuri. Non occorre cambiare Schengen, non occorre cambiare Dublino per intervenire con i visti umanitari. Non possiamo creare desk umanitari dall'altra parte del Mediterraneo, controllare, decidere questi flussi, fare viaggi sicuri. Queste due cose sono possibili subito, richiedono soltanto una decisione politica perché è nella legislazione di singoli Paesi, non è contro Dublino perché si può fare più di Dublino. Dublino ha una interpretazione solo negativa ma c’è una solidarietà positiva che non è vietata ai Paesi.
Allora, io credo che sia il tempo di una forte iniziativa politica su cui si ricostruisce anche la politica e si ricostruisce anche un ethos nazionale, resistendo alle spinte populiste, cioè facendo le cose giuste e non rispondendo nel dibattito malato con cose più piccole, solo perché il dibattito è malato. Se siamo di fronte a un cambiamento epocale non possiamo accettare un dibattito e, quindi, anche proposte pensate solo in termini di emergenza. 
Allora, ci troviamo in questa situazione di cambiamento epocale dove l'Europa, senza immigrazione, nel 2050 sarebbe invecchiata in tutti i Paesi membri tranne che in quattro, ma internamente tutte le classi di età sarebbero invecchiate, cioè l'Europa è finita senza i nuovi cittadini. L'Italia lo è già da tempo, sia dal punto di vista del saldo demografico, sia dal punto di vista dei 9 punti percentuali del nostro PIL, negli ultimi sei anni. 
In questa situazione, di fronte a una situazione di cambiamento epocale, le scelte giuste sono semplicemente quelle di accelerare l'integrazione, perché chi integrerà prima riuscirà prima a colmare il gap e a rallentare o a superare il declino; fare le scelte giuste vuol dire iniziare, alcuni Paesi europei e, quindi, non necessariamente con l'unanimità, a fare quello che già le leggi permettono e, quindi, alcuni Paesi frontalieri sul Mediterraneo, alcuni Paesi partner, la Germania e la Svezia, possono iniziare quelle buone pratiche che possono creare la decisione successiva e che è lo stesso processo che portò all'inizio di Schengen: furono alcuni Paesi a cominciare, poi tutta Europa seguì. Allora, in questa fase difficile per l'Europa, io credo che pochi Paesi, come all'origine dell'Europa, possano fare le cose giuste. Questo creerà una differenza, creerà delle resistenze, è una fase di stop and go, perché ognuno ha le proprie pubbliche opinioni e deve fare i conti con questo, ma in realtà, solo in questo modo, l'Europa può sopravvivere. L'Italia può avere idee molto chiare su questo e può avere un'iniziativa politica forte. 
Quindi, io chiedo all'Italia – come nella nostra interpellanza e come ha ben detto chi l'ha illustrata all'inizio – un di più di iniziativa sull'Europa, ma chiedo anche, forse, di considerare la possibilità di lavorare a un summit globale sulle migrazioni, perché siamo di fronte a un tema epocale e abbiamo bisogno, forse, della nostra «Yalta» del XXI secolo.