26/04/2017
Marco Di Stefano
Brandolin, Capozzolo, Borghi, Bonomo, Cuomo, Aiello, Paola Bragantini, Vico, Capone, Stumpo, Marroni, Iori, Miccoli, Melilli, Ferro, Burtone, Cardinale, Carella, Bazoli, Tullo, Zaratti, Ferrara, Albini, Tidei, Simoni, Giachetti, Minnucci, Morassut, Lenzi
2-01769

  I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, il Ministro dell'interno, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   si apprende che, con decreto del 14 settembre 2016, il tribunale per i minorenni di Roma ha disposto il collocamento di un minore, J.C., presso la casa famiglia «Betania» in Roma. Tale decisione avrebbe creato disagi gravi al bambino che ha avuto un lungo calvario di afflizioni e dolori fisici culminati con un ricovero in ospedale per un mese dal 20 ottobre 2016;

   il 15 dicembre 2016 il minore sarebbe stato prelevato da un tutore delegato provvisorio, da un assistente sociale e da alcuni agenti di Pubblica sicurezza, facendolo uscire dall'aula dall'insegnante con la motivazione che alcune persone volevano intervistarlo;
   il bambino sarebbe stato sottoposto a ciò che lo stesso avrebbe definito un vero e proprio interrogatorio, durato a lungo, durante il quale, piangendo, avrebbe disperatamente richiesto la presenza della mamma e alla fine sarebbe stato trascinato con forza – preso per le braccia e per le gambe – e spinto dentro la macchina di servizio; peraltro, la madre non sarebbe stata tempestivamente avvertita dell'operazione effettuata;
   il bambino avrebbe riferito alla mamma, innanzi ai gestori della casa famiglia, al tutore delegato per l'operazione e all'assistente sociale, di essere stato in malo modo gettato in macchina, nonostante le sue vigorose proteste e l'esplicita richiesta di non essere condotto in casa famiglia, ma di essere messo in contatto con la madre; le promesse di contattare rapidamente la madre non sarebbero state neppure mantenute;
   anche da quanto appreso recentemente da organi di stampa e trasmissioni televisive, sembrerebbe che il bambino abbia il divieto di incontrare e telefonare a chiunque, tranne che alla mamma, che peraltro potrebbe contattare una sola volta al giorno, alle ore 19. La mamma potrebbe incontrare il figlio due volte alla settimana, in una stanza alla presenza di una persona estranea e, qualora fosse impossibilitata, per motivi di lavoro, eventuali incontri sarebbero decisi senza accordo tra le parti;
   a fronte di un sopralluogo dell'ufficio tecnico del 14o municipio di Roma, risulterebbero gravi inadempienze in merito a questioni igieniche, edilizie e di abitabilità presso la casa famiglia;
   il piccolo J. sarebbe impossibilitato ad usare tabloid, telefoni, play station e addirittura a vedere la TV, e sembra che subisca continue forme di bullismo: aggressioni, insulti e furti di iPod;
   sembrerebbe poi che il padre, obbligato dal 2014 a incontri protetti con il figlio, abbia denunciato la mamma per abbandono di minore all'interno del prestigioso circolo sportivo «2 Ponti», luogo in cui il bambino era solito allenarsi a tennis arrivando ad essere classificato tra i, primi 20 d'Italia nella sua categoria; a tal proposito, ci sarebbero tuttavia dichiarazioni-testimonianza di oltre 250 genitori frequentanti il suddetto centro sportivo a smentire l'accusa denunciata;
   la motivazione con cui il giudice minorile avrebbe deciso di togliere il minore alla mamma sarebbe quella per cui si tratterebbe di madre «simbiotica» (eccesso di affetto) e di sindrome da alienazione parentale;
   una corposa documentazione sul caso in questione risulta essere stata inviata dall'avvocato che assiste la madre del minore al Ministro della giustizia, in data 1o agosto 2016 (con raccomandata n. 13658463487-5), e successive integrazioni del 22 e 30 settembre 2016, nonché, per conoscenza, ai Ministri dell'interno e della salute;
   la vicenda è all'attenzione dei media. D'altra parte, non può non suscitare particolare preoccupazione il fatto che sembrano via via più diffusi i casi di allontanamento di minori dalla famiglia sulla base di motivazioni che appaiono agli interpellanti assai discutibili –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, siano state adottate o si intendano adottare, in particolare di carattere ispettivo, in relazione alla vicenda segnalata in premessa, nonché in relazione alla più ampia problematica della tutela effettiva dei diritti del minore e della sua volontà in casi di allontanamento dalla famiglia;
   quali iniziative si intendano adottare con particolare riguardo alla verifica del comportamento degli operatori della polizia di Stato tenuto nel caso specifico nei confronti del minore, ed eventualmente quali provvedimenti si intendano assumere in proposito.
 

Seduta del 28 aprile 2017

Illustra e replica Marco Di Stefano, risponde Cosimo Maria Ferri, Sottosegretario di Stato per la Giustizia

Illustrazione

Grazie, Presidente. Mi permetta solo dieci secondi per esprimere la mia solidarietà e l'apprezzamento al sottosegretario Bianchi per un attacco appena fatto dal mio collega sulla vita politica del sottosegretario, che nulla ha a che fare nel merito della questione di cui abbiamo discusso…
Signor sottosegretario, in questa interpellanza, insieme ad altri trenta deputati, non solo del Partito Democratico, vorremmo porre alla sua attenzione un tema sociale molto importante, molto delicato, inevitabilmente politico: su come le istituzioni devono intervenire per garantire che, anche nelle sempre più frequenti crisi delle unioni familiari, non siano i bambini, se non in casi inevitabili, a pagarne il prezzo più alto. Potrebbe bastare anche un solo caso, e tutti sappiamo che è accaduto purtroppo, in cui si sbaglia, è umano. Potrebbe sbagliare un'autorità giudiziaria sollecitata da uno dei due genitori in guerra, potrebbe sbagliare un CTU, potrebbe sbagliare un servizio sociale o una casa famiglia, per stravolgere l'intera vita di un bambino - la vita intera di un bambino! -, che è innocente.

Ed è in questo ambito che si inserisce la vicenda di cui vorrei parlare oggi. Un bambino di dieci anni, il 15 febbraio 2017, ha svolto un tema sul rispetto, scrivendo queste parole: “Nel dizionario italiano la parola rispetto significa: astenersi da atti offensivi verso qualcuno. Secondo me è importante rispettare gli altri, perché, se tu non lo fai, loro non rispettano te e così via. A me invece è successo il contrario - dice il bambino -. Un giorno, quando stavo a scuola, mentre facevo merenda, la maestra mi dice che c'erano delle persone che mi volevano parlare. Appena sono entrato nella stanza, mi sono saltate agli occhi tre persone, di cui una poliziotta senza la sua divisa e due assistenti sociali. Poi ho visto altre persone agli angoli. Io non sapevo niente, cosa mi dovevano dire e cosa mi dovevano fare. Secondo me questa esperienza, che ho vissuto, non deve insegnare niente a me, piuttosto a quelle tre persone che mi hanno preso con la forza e tutte le altre cose che mi hanno fatto. Dovrebbero essere loro a capire qualcosa. Io penso di essere abbastanza rispettoso nei confronti degli altri, perché ho capito come ci si sente a non essere rispettati.” Questo tema ha preso dieci dalla sua maestra.

Questo bimbo ha soli dieci anni, è straordinario, educato, studioso, pratica lo sport a livello agonistico, è tra i più bravi in Italia a giocare a tennis, in un prestigioso circolo sportivo. Questo bimbo racconta che il 15 dicembre scorso è stato prelevato a scuola, nelle ore di lezione, da un tutore, da un assistente sociale e cinque poliziotti. Racconta di essere stato fatto uscire dalla classe e portato in una stanza, dove, per due ore, è stato sottoposto a un interrogatorio pressante, minaccioso; ha pianto, si è disperato; ha chiesto, implorando ripetutamente, della mamma, mentre gli agenti insistevano nel portarlo via. Racconta che, dopo oltre due ore di tortura psicologica, è stato trascinato con forza per i corridoi della scuola, mentre continuava a piangere e gridare di volere la mamma. Racconta che in tre lo hanno sollevato, uno lo teneva per le gambe e due per le braccia, poi hanno raggiunto l'auto di servizio e l'hanno spinto dentro con forza, rassicurandolo che, una volta fuori dalla scuola, avrebbe potuto telefonare alla madre, ma hanno mentito.

E tutto questo è accaduto proprio a scuola, in quel luogo in cui un bambino dovrebbe ricevere insegnamenti per la sua vita e per il suo futuro, un luogo dove dovrebbe sentirsi al sicuro. Gli agenti hanno poi raggiunto la casa famiglia; la madre non è stata avvisata, se non dopo quattro ore, dell'accaduto, ma senza l'indicazione del luogo ove fosse il bambino. Al bambino è stato vietato di telefonare alla mamma per molto tempo e, quando finalmente ha potuto parlarle, le ha chiesto di raggiungerlo immediatamente, perché non poteva più resistere alle sofferenze e umiliazioni a cui era sottoposto.

Il 19 dicembre 2016 lo stesso bimbo, dopo quattro giorni passati senza mai uscire dalla casa famiglia e senza andare a scuola, parlando con la mamma, dice: “Non ce la faccio più. Non mi potete fare stare in questo schifo, voglio stare con te, dovete sbrigarvi, voglio stare con te, non ce la faccio più. Io non ci riesco più a vivere qui dentro, non ci riesco più. Perché ci devo andare di mezzo io? Che cosa c'entro io? Io non ho mai fatto niente, non ho mai fatto niente di male in vita mia, io mi ritrovo qua e non è giusto. Io voglio andare al circolo. Guarda quanto è bello il circolo - guardava le foto del suo circolo -, guarda quanto è bello, guarda che bella vita che facevo. Me l'hanno rovinata tutta, tutta me l'hanno rovinata. Non è possibile, non possono trattare così i bambini. Io piango sempre. Non è possibile. Perché devo vivere queste cose brutte? Perché?”

Sono passati 140 giorni da quel 15 dicembre ed ancora oggi il bambino vive in casa famiglia. È evidente la totale assenza di continuità col suo regime di vita precedente, da una condizione di benessere ad una condizione, direi, quasi di indigenza. Non può più avere le sue abitudini, la sua stanzetta, non può più praticare lo sport preferito, in cui era uno dei primi in Italia, né incontrare i suoi amici. Non può neanche - sembrerebbe - avere con sé un cellulare, un tablet o un computer, strumenti che oggi utilizzano tutti i bambini del mondo, oltre che per comunicare anche come fonte di conoscenza e di sapere.

Il lungo calvario di questo bambino deriva dalla separazione dei suoi genitori, che, iniziata come consensuale, si tramuta in una guerra a causa della diatriba sull'effettiva celiachia e intolleranza al glutine del minore.

La madre, essa stessa celiaca, e in possesso di numerosi referti attestanti la malattia, ha iniziato ad evitare la somministrazione di cibi contenenti glutine a tutela della salute del bimbo. Il padre, non concorde sul problema alimentare del figlio, avrebbe continuato - come sembrerebbe da notizie assunte – a somministrargli alimenti contenenti il glutine, sostenendo che l'intolleranza fosse frutto della follia di una madre. Questo fatto, purtroppo, provocava numerosi dolori fisici al bambino, per cui la madre, a tutela dello stato di salute del bambino, ha iniziato ad attuare misure di allontanamento del padre in difesa della sua incolumità. Il padre, come reazione, accusa la ex moglie di mettergli contro il figlio - e qui parliamo di PAS, di sindrome da alienazione parentale - e chiede la modifica delle condizioni di separazione con l'affido esclusivo del minore. La decisione, rimessa nelle mani del giudice ordinario, che rigetta la richiesta, finisce in corte d'appello, che commina il regime degli incontri protetti e stabilisce che il bambino abbia una dieta priva della sostanza di glutine.

Un'ispezione, datata 4 gennaio 2017, sottosegretario, da parte dell'ASL competente, riscontra, dopo un accurato sopralluogo nella casa famiglia, la totale carenza di ogni autorizzazione e prescrizione per la preparazione e somministrazione di alimenti a soggetti allergici e intolleranti, in particolare al glutine, atteso il fenomeno della contaminazione. Il sistema immunitario del piccolo Jacopo sarebbe stato ripetutamente compromesso per fenomeni di malassorbimento di sostanze nutritive, dovuti alla somministrazione di alimenti non privi di glutine, e la documentazione medica e le prove fotografiche in mio possesso, puntualmente trasmessale, sembrerebbero, purtroppo, dimostrare tutto questo.

Non solo, quindi, esiste il reale problema alimentare del bambino segnalato dalla madre, ma è ancora più grave il fatto che sarebbero in atto diversi procedimenti pendenti alla procura della Repubblica di Roma nei confronti dell'uomo, che avrebbe più volte aggredito la moglie alla presenza del figlio. Da tutto questo nasce lo stato di paura e timore della donna che, purtroppo però, nel cercare di proteggere se stessa e il figlio, viene interpretato come alienante nei confronti del padre ovvero viene accusata di PAS sul proprio figlio. Questo è il punto fondamentale di questa vicenda, così come di altre centinaia di storie simili: la PAS, ovvero la sindrome di alienazione parentale, che sembrerebbe non essere addirittura una malattia riconosciuta scientificamente, ma la semplice ipotesi di disfunzione psicologica.

Mi chiedo, e le chiedo: può essere la semplice ipotesi il motivo di un allontanamento forzato di un figlio da un genitore? O, per lo meno, si può arrivare ad una soluzione così grave, cioè quella di stravolgere l'infanzia di un bambino e segnare per sempre la sua vita senza resistenza, prima di un contraddittorio, di un processo, delle prove certe? Mi chiedo: se per caso un giorno dovesse essere accertato l'effettivo comportamento violento del genitore di fronte al proprio figlio, se venisse confermata la compromissione dello stato di salute del minore, dovuta all'alimentazione forzata a base di glutine, la madre potrebbe essere ancora accusata di PAS o più semplicemente essere riconosciuta come una madre, una delle tante madri che ama il proprio figlio e ha il dovere di proteggerlo? E nell'attesa dell'esito del procedimento, di una sentenza definitiva, è lecito strappare un bambino dalla propria realtà familiare e sociale per farlo vivere in una casa famiglia?

La storia di questo bambino, purtroppo, è la stessa storia di molti altri figli dello Stato, abbandonati al destino delle decisioni spesso affrettate ed imprevidenti di tutto il sistema della tutela minorile, un sistema che deve trovare un'organica riforma, ormai da troppo tempo in cantiere, ma mai realizzata. Mentre il dolore dei bambini e dei genitori credo debbano imporre un intervento prioritario rispetto a tante altre cose di cui si discute e si vota in quest'Aula e che, sinceramente, ritengo valgano molto di meno.

Io tenterò, insieme ad alcuni colleghi e tecnici di questa materia, di proporre una proposta di modifica della legge. Ma lei sa benissimo, senza che ci prendiamo in giro, quali sono i tempi in Parlamento. Per cui bisogna, secondo me, che il Governo si impegni a attuare un intervento immediato per cercare di risolvere questo problema, che coinvolge circa 30 mila bambini, 30 mila bambini che sono parcheggiati nelle case famiglia, nelle comunità di tutta Italia, bambini che a soli uno, due, tre, quattro anni, entrano in una struttura in attesa di tornare a casa o essere adottati e non sanno quando usciranno, bambini incastrati in un mondo nebuloso, fatto di cooperative, istituzioni, tutor, servizi sociali, tribunali minorili, in cui circolano fiumi di denaro e di finanziamenti. Delle strutture, addirittura, non si sa quante siano, non si sa neanche quanto realmente costino alle casse pubbliche. Bambini affidati temporaneamente per periodi che non dovrebbero durare più di due anni e che invece diventano sine die, in attesa di un decreto del tribunale che, a volte, non arriverà mai.

Questa non vuole essere un'accusa alle comunità delle case famiglia, la stragrande maggioranza delle quali fa un lavoro encomiabile, ma vuol essere una denuncia della sofferenza di ormai tanti, troppi bambini, che soffrono, e con loro soffrono i genitori, l'allontanamento forzato dalla propria famiglia; la stessa sofferenza del bambino protagonista della triste vicenda di cui parliamo, la stessa sofferenza della madre di questo bambino, la cui colpa è quella di essere troppo amorevole e protettiva. È una madre che sarà destinata ad esserlo sempre di più, sempre più alienante, se ogni sera alle diciannove ascolterà il proprio figlio supplicarla di fare qualcosa per ridagli il suo sacrosanto diritto di essere un bambino come tutti gli altri, ad avere il diritto di vivere la sua adolescenza come tutti i suoi amichetti, la sofferenza di una madre e di un figlio costretti a vedersi in unico incontro settimanale sotto la sorveglianza di assistenti sociali.

Sono qui, signor sottosegretario, a chiedere fino a che punto è lecito che un tribunale, in una società in cui il conflitto, spesso violento, è all'ordine del giorno per semplici parcheggi, per una partita di calcio, per una precedenza non data, intervenga togliendo un figlio alla madre quando non si ravvisano comportamenti talmente gravi da ricorrere a estremi rimedi, ma si ravvisino invece le solite ormai guerre tra marito e moglie laddove, per colpa a volte di semplice accuse dall'uno all'altro, gli unici a pagare un prezzo altissimo sono solo e sempre loro, i più innocenti, i bambini.

Il nostro codice civile prevede come il giudice possa disporre in via cautelare e urgente anche l'allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore convivente che maltratti o abusi il minore in ipotesi di comportamento dei genitori talmente gravi da non poter essere neutralizzato mediante misure meno invasive. In questo caso, invece, come purtroppo in molti altri, la motivazione dell'allontanamento è che uno dei due genitori potrebbe per vendetta personale avere accusato l'altro di essere malato di un eccesso di affetto divenendo alienante e simbiotico, al punto di mettere in cattiva luce un genitore rispetto al figlio.

Si potrebbe aprire un ampio dibattito e sicuramente si aprirà nei prossimi giorni un ampio dibattito. Io le chiedo sottosegretario innanzitutto se le risulta essere stata inviata una corposa documentazione dall'avvocato che assiste la madre del bimbo alla fine del 2016 e se sì quali iniziative ispettive ha intrapreso il Ministero; se quanto narrato e quanto allegato dagli interpellanti corrisponde a realtà; se la motivazione con cui il giudice avrebbe deciso di togliere il minore alla mamma sarebbe veramente quella di essere una madre simbiotica, con un eccesso di affetto, colpevole di PAS, sindrome di alienazione parentale, nonostante, come è noto, è in atto ancora una grande e accesa discussione tra psicologi e psichiatri mondiali in merito al suo riconoscimento scientifico; se questa vicenda come tante altre che sono ormai riportate ogni giorno dei media non possa in qualche modo suscitare preoccupazione al Ministero per i numerosi, a volte, affrettati casi di allontanamento forzato di minori dalle famiglie sulla base di motivazioni che appaiono spesso agli interpellanti perlomeno discutibili a fronte di così gravi e drammatiche sentenze. Le chiedo quali iniziative per quanto di competenza siano state adottate o si intendano adottare in particolare di carattere ispettivo in relazione alla vicenda così narrata, nonché in relazione alla più ampia problematica della tutela effettiva dei diritti del minore e della sua volontà in casi di allontanamento dalla famiglia, ed infine quali iniziative si intendano adottare riguardo al comportamento degli operatori della polizia di Stato e del comune di Roma, se accertato come descritto nel caso specifico nei confronti del minore e nell'eventualità risultasse improprio, quali provvedimenti si intendono assumere in proposito.

Risposta del governo

Grazie Presidente. Buongiorno, devo dire che questo atto di sindacato ispettivo che è in discussione tratta un tema particolare, un tema che riguarda un singolo caso che però va certamente affrontato a 360 gradi, in quanto tocca uno dei temi forse più delicati e più importanti perché riguarda i diritti dei minori, riguarda il rapporto tra i minori e i genitori naturali, riguarda il rapporto tra i minori affidati alle comunità, alle case famiglia, riguarda il tema dei minori affidati ad altre famiglie. Quindi tutto un tema certamente delicato sul quale l'attenzione del Governo è davvero molto alta perché ci sono in gioco i diritti dei minori, i diritti di tanti bambini e bambine, la cui vita, la cui crescita, chiaramente dipende anche da un provvedimento giurisdizionale. È chiaro che la delicatezza della materia impone anche una premessa nei rapporti con l'autorità giudiziaria, in quanto come ben sapete il Ministero non può certamente invadere il campo dell'attività giurisdizionale, quindi l'autonomia della magistratura, la magistratura minorile che poi è competente a prendere questi provvedimenti e anche a controllare perché esiste anche un potere ispettivo in capo al procuratore dei minori per quanto riguarda le case famiglia. So che, tra l'altro, il nuovo procuratore dei minori di Roma, che si è da poco insediato, sta puntando molto anche su questi esercizi di questi poteri e quindi con un controllo che certamente riguarda anche la fase dopo l'affidamento, non solo il provvedimento. Quindi, la materia è molto delicata e complessa e massima è l'attenzione del Governo per le competenze che ha di fronte non solo a questo caso, ma a tutti i casi che riguardano i nostri minori.

Ma veniamo all'interpellanza: si parla della vicenda di un minore che è collocato dal tribunale per i minorenni di Roma presso la casa famiglia Betania, con un provvedimento del 14 settembre 2016. Gli interpellanti segnalano presunte irregolarità e delle modalità poco consone, viene definito così nell'interpellanza, che avrebbero contraddistinto l'operato del tutore provvisorio, dell'assistente sociale, dell'agente di PS, nel dare esecuzione al citato provvedimento. Rappresentano poi quanto riferito dagli organi di stampa che il bambino avrebbe delle difficoltà a mantenere dei costanti rapporti con la madre, subirebbe forme di bullismo (questo tra l'altro è un altro tema sul quale anche la politica si sta impegnando e sta lavorando) e gli sarebbe precluso l'uso del telefono e della televisione. Queste sono delle accuse indicate nell'interpellanza sottoposte alla nostra attenzione. Si parla poi di un sopralluogo dell'ufficio tecnico del XIV municipio di Roma presso la casa famiglia dove sarebbero emerse secondo gli interpellanti inadempienze in ordine ai profili igienico-sanitari e all'abitabilità della struttura. Quindi questa è un po' la sintesi che poi è stata illustrata oggi dall'onorevole interpellante.

In risposta a questa interpellanza va innanzitutto evidenziato come il provvedimento di allontanamento di un minore dall'ambito familiare di appartenenza costituisca una delle misure maggiormente utilizzate nella prassi giurisprudenziale per fronteggiare, spesso con carattere d'urgenza, i casi in cui l'inadeguatezza dei soggetti esercenti la responsabilità genitoriale, o comunque conviventi con il minore, produca effetti di tale gravità da necessitare l'interruzione immediata dei legami interpersonali. Tale provvedimento è disciplinato per quanto attiene ai procedimenti de potestate dagli articoli 330 e seguenti del codice civile e intende appunto assicurare la tutela dell'integrità psicofisica del minore, eliminando una situazione di grave pericolo per la stessa. Per quanto riguarda l'ascolto del minore, la legislazione italiana è una delle più evolute e sensibili nella previsione di una disciplina volta a tutelare il diritto del minore ad esprimere in maniera libera e incondizionata la propria volontà nell'ambito dei procedimenti aperti a sua tutela. Si consideri infatti che per effetto delle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 154 del 2013, ed in osservanza dei principi fissati dalle convenzioni internazionali a cui il nostro Paese ha aderito, l'ascolto del minore in tali procedimenti, disciplinato anche dall'articolo 336-bis del codice civile, costituisce un momento necessario previsto a pena di nullità di provvedimenti emessi.

Quanto invece alle modalità con cui deve essere eseguito l'allontanamento, va rilevato come le stesse esigono un'attenta e specifica valutazione della realtà su cui il provvedimento è destinato ad incidere e che non possano pertanto che essere rimesse al prudente apprezzamento della magistratura che nell'effettuare tali valutazioni potrà contare sull'ausilio di esperti del servizio sociale e di operatori sociosanitari nonché delle forze di polizia specializzata.

Nel quadro così delineato si colloca l'analisi del caso riportato nell'atto di sindacato ispettivo. In merito sono stati acquisiti elementi conoscitivi dal tribunale per i minorenni di Roma che voglio riportare in questa sede: nel novembre 2014 in relazione al minore, indico le iniziali: J e C, risultano aperti due procedimenti civili poi riuniti ad iniziativa rispettivamente del padre e del pubblico ministero. In entrambi i giudizi è stata chiesta la sospensione della responsabilità genitoriale della madre del minore, in particolare il pubblico ministero e apro le virgolette:

“considerata la gravità della condotta genitoriale materna”, chiudo le virgolette, ha chiesto, aperte le virgolette, “anche l'eventuale temporaneo collocamento in struttura del minore”, chiudo le virgolette, come peraltro già suggerito dal consulente tecnico d'ufficio nominato nel corso del giudizio di separazione dinanzi al tribunale di Tivoli tenutosi nell'anno 2012. La Corte d'appello, nel definire il precedente giudizio di separazione con la pronuncia del 19 marzo 2014, aveva incaricato un'apposita struttura di assicurare un sostegno psicologico al bambino e di facilitarne la ripresa del rapporto con il padre, che il minore non incontrava da almeno due anni, ma era risultato che la madre si fosse rifiutata di partecipare agli incontri programmati e di condurvi il figlio.

Nel corso del giudizio dinanzi al tribunale per i minorenni è stata pertanto disposta una nuova consulenza tecnica d'ufficio, anche con la finalità di facilitare la relazione tra il padre e il bambino. Secondo quanto riferito dal tribunale, la consulenza tecnica ha evidenziato come ogni tentativo di riavvicinare il minore al padre fosse rimasto senza esito, anche a causa delle accuse che il bambino ha continuato a muovere al genitore, che, continuamente riproposte dalla madre, non hanno trovato riscontro nei ripetuti approfondimenti processuali svolti in varie sedi, sia civili che penali.

Per tali motivi, con decreto del 18 novembre 2016, il tribunale, confermando il precedente provvedimento dell'8 settembre 2016, oltre a sospendere la responsabilità di entrambi i genitori, ha disposto senza ulteriore ritardo l'allontanamento del minore dalla madre ed il suo collocamento in un'idonea casa famiglia, che è quella di cui parliamo. Per quanto attiene all'esecuzione del provvedimento, il tribunale ha evidenziato di avere atteso la definizione del procedimento di reclamo proposto dalla madre e rigettato dalla Corte d'appello, con pronuncia del 14 novembre 2016.

Il Ministero dell'interno ha riferito a riguardo come, in esecuzione del decreto del tribunale che aveva disposto l'intervento della forza pubblica in considerazione delle precedenti e ripetute condotte ostruzionistiche della madre e della sua mancata collaborazione con i soggetti istituzionali incaricati dell'attuazione del provvedimento, in data 25 novembre 2016 fosse giunta richiesta di ausilio alla Divisione anticrimine della questura da parte del servizio sociale del XV Municipio di Roma Capitale, e a seguito dell'incontro con il tutore e con l'assistente sociale assegnatario del caso, si fosse così concordato di dare esecuzione al provvedimento presso la scuola frequentata dal minore. In data 15 dicembre 2016 personale della Divisione anticrimine del commissariato di PS si è pertanto recato presso la scuola frequentata dal minore, dove, in una stanza messa a disposizione e lontana dalle classi dove veniva accompagnato dalla maestra, ha avuto luogo il colloquio con lo stesso; e secondo quanto riferito dal competente Dicastero, il bambino è stato informato del contenuto del provvedimento, e vista l'impossibilità di ottenerne la collaborazione, il tutore, l'assistente sociale e il referente dell'ufficio minori hanno “concordato di dare esecuzione al decreto e di prelevare il minore, prendendolo in braccio per essere condotto da tutti gli operatori presenti presso la struttura protetta individuata dal servizio sociale competente”. Dell'esecuzione del decreto è stata immediatamente data comunicazione al tribunale per i minorenni, nonché avviso telefonico alla madre e al suo legale.

Tale ricostruzione appare in linea con quanto riferito dallo stesso tribunale per i minorenni, che ha altresì evidenziato come all'inserimento in casa famiglia il bambino abbia incontrato i giudici delegati dal collegio affinché gli fossero chiarite le ragioni della decisione del tribunale ed approfonditi i motivi del suo rifiuto del rapporto con il padre. Secondo la relazione del medesimo ufficio, il bambino è da allora rimasto della struttura scelta dal tutore tra quelle maggiormente qualificate per l'accoglienza e la tutela dei minori di questa fascia di età, continuando a frequentare la classe V elementare nella sua stessa scuola e a praticare le attività sportive a cui era dedito. Risulta altresì che il bambino ha stabilito buoni rapporti con gli educatori della casa famiglia e con i coetanei, dimostrando capacità di socializzare e disponibilità alle relazioni interpersonali, e continuando ad incontrare regolarmente la madre.

Anche in riferimento allo stato di salute, il tribunale ha evidenziato come non si siano riscontrate problematiche sanitarie di rilievo, e che le condizioni del minore sono state ritenute buone dal medico pediatra che l'ha visitato. Anche le valutazioni raccolte nell'ambiente scolastico dal tutore sono positive, e le buone condizioni di salute e di vita relazionale del minore sono state del resto confermate anche dai competenti uffici di Roma Capitale.

Per quanto attiene alle paventate criticità strutturali della casa famiglia, il tribunale ha evidenziato come reiterate ispezioni da parte del NAS dei carabinieri del servizio specializzato della ASL non abbiano riscontrato problematiche relative ai profili a cui si riferisce l'interpellanza parlamentare. L'analitica ricostruzione fornita dal tribunale procedente dimostra la costante attenzione riservata al caso.

L'attività processuale è peraltro in corso, ed è stata fissata una prossima udienza per il 9 maggio 2017 con convocazione del personale del servizio sociale del municipio competente e dell'ufficio tutela pubblica del comune di Roma. Desidero sottolineare la data del 9 maggio 2017, perché è una fase processuale che è certamente significativa, e che nel rispetto dell'autonomia e dell'esercizio della funzione giurisdizionale da parte della magistratura, può essere l'occasione anche per vagliare elementi nuovi e per capire quale sia il vero interesse concreto del minore, che può essere anche modificato. Sarà il magistrato a valutarlo; non resta al Ministero che non entrare in una vicenda processuale, ma aspettare che gli organi competenti giurisdizionali valutino anche il 9 maggio, sulla base appunto di un reclamo che è stato presentato, quale sia il reale interesse del minore, che deve essere l'unica stella polare che deve guidare non solo gli atti ispettivi del Ministero della giustizia, nel rispetto dell'esercizio dell'autonomia della magistratura, ma anche la stessa magistratura nel valutare concretamente quale sia la strada giusta da percorrere per la crescita di questo minore.

Giova rilevare che la vicenda è stata attentamente seguita dal Ministero della giustizia, per il tramite della competente Direzione, che ha svolto i necessari approfondimenti in seguito agli esposti formalizzati dal legale della madre del minore, e quindi abbiamo monitorato la situazione; e all'esito dell'articolata istruttoria, la predetta articolazione ministeriale allo stato ha escluso profili di rilievo disciplinare a carico dei magistrati procedenti, che risultano aver assunto decisioni ampiamente motivate ed aderenti alle risultanze processuali e ad accertamenti tecnici svolti. Inoltre la Direzione generale dei magistrati ha evidenziato che dalle successive verifiche compiute dalla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni di Roma, risulta che il minore sia ben inserito nella struttura presso la quale si trova, essendo tra l'altro positive le relazioni del minore con gli operatori della casa famiglia e con gli altri bambini. Giova peraltro rilevare come l'adozione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare, nei casi previsti dalla legge e nelle forme del contraddittorio, sia rimessa alla insindacabile valutazione dall'autorità giudiziaria, nel rispetto del principio del prevalente interesse del minore. Il Ministero continuerà comunque a seguire con la massima attenzione gli sviluppi della vicenda, in linea con l'impegno prioritario - e lo sottolineo, prioritario - rivolto alla tutela dei minori.

Proprio nella consapevolezza del ruolo strategico svolto dalle comunità di accoglienza a sostegno dei minori che hanno fatto ingresso nel circuito penale e di quelli in situazione di disagio familiare, il Ministro della giustizia ha emanato lo scorso 6 ottobre una direttiva che mira ad intensificare i rapporti tra autorità giudiziaria minorile e comunità di accoglienza pubbliche del privato sociale. In considerazione del rilevante contributo alla crescita del sistema di accoglienza, sostegno e sviluppo, dei percorsi di reinserimento dei minori che il privato sociale e il complesso delle cooperative sociali assicurano, l'adozione della direttiva si è resa necessaria all'esito di un'approfondita disamina, nella prospettiva di svolgere un'attenta azione di coordinamento dei controlli di verifica costante su procedure e prassi e costi, con l'obiettivo di accompagnare e sostenere l'azione della magistratura nella protezione e nella tutela dei diritti dei minori. L'atto di indirizzo richiama in particolare la necessità che il collocamento in comunità disposto dall'autorità giudiziaria garantisca la massima trasparenza nella scelta delle strutture, secondo criteri obiettivi predeterminati derogabili solo in casi di necessità ed urgenza, e adeguatamente motivati.

Il complesso delle iniziative assunte appare pertanto decisamente orientato alla tutela dell'interesse prevalente del minore in tutte le ipotesi in cui l'autorità giudiziaria debba ricorrere al collocamento al di fuori della casa familiare. Continueremo, quindi, a seguire la vicenda. Attendiamo l'esito dell'udienza del 9 maggio e, comunque, nell'esercizio dei nostri poteri continueremo secondo queste linee-guida, in cui il Ministero crede e che ha ritenuto necessario introdurre.

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Presidente, ringrazio il sottosegretario Ferri di essere qui e di rispondere ad un'interpellanza delicata su un tema molto delicato e lo ringrazio anche per la correttezza con cui ha risposto. Però, il sottosegretario ha la documentazione che l'ufficio ispettivo mi ha chiesto per poter fare questa interpellanza e se l'ha ascoltata, se ha ascoltato i DVD e se ha visto le foto, sa perfettamente che le cose poi non è che stanno così in realtà. Innanzitutto, voglio ricordare che quando il papà di questo bimbo fece l'appello al papà stesso vennero comminati gli incontri protetti con il bambino per i suoi comportamenti violenti, di cui credo dovrebbero avere anche copia su un DVD sia il sottosegretario sia il Ministero. Rimango sorpreso quando si dice che a fronte di alcune verifiche fatte all'interno della casa famiglia si è trovato tutto quanto in regola, perché io qui, sottosegretario - ma lo ha anche lei, perché gliel'ho mandato - ho il verbale di un sopralluogo fatto dalla ASL competente in cui - io ho poco tempo, però voglio brevemente descriverle cosa dice - la ASL competente afferma: “Al momento dell'ingresso il minore assistito ha ricevuto comunicazioni della procedura mediante verbale da parte della madre dello stesso”; poi, si dice: “Il locale adibito alla preparazione degli alimenti consta di due ambienti contigui tra loro, uno adibito alla cucina e in possesso dei requisiti previsti per le strutture di civile abitazione e un altro a deposito derrate alimentari. Di fatto, in riferimento a quanto detto si è accertato che sono stati rinvenuti nel locale deposito alimenti, attiguo alla cucina, n. 2 contenitori in cui vengono conservati in maniera promiscua sia derrate alimentari prive di glutine che attrezzature dedicate alla preparazione delle stesse. Tali contenitori risultano tuttavia sovraccarichi e riposti in bassa scaffalatura dedicata al magazzinaggio e ad alimenti di varia natura. Nel locale deposito inoltre si segnala la presenza di un frigocongelatore sovraccarico di generi alimentari in promiscuità tra loro”.

Lei sa benissimo, sottosegretario, che una persona che è intollerante al glutine può essere facilmente contaminata e se lei vede le foto del bimbo, che le abbiamo mandato e che sembrerebbero scattate dopo alcuni mesi all'interno della casa famiglia, vedrà che il bambino è completamente trasformato, gonfio, con frequenti attacchi di diarrea, con dolori allo stomaco, con pelle desquamata in base a fotografie di mani e di schiena, e questi sono i sintomi classici di chi è intollerante al glutine e mangia sostanze alimentari con il glutine.

Credo che non ci sia ancora discussione sul fatto principale della disputa di questo bimbo e della diatriba fra i genitori. C'è chi dice che è celiaco e c'è chi dice che non è celiaco. Io credo che il bambino poi abbia una repulsione nell'andare con un genitore che lo costringe con violenza - e anche di questo lei dovrebbe avere un DVD con la registrazione del bambino e penso che le sia stato consegnato dal servizio ispettivo - e in cui il bambino si rifiuta di andare con un genitore che gli impone di mangiare cibo con glutine, altrimenti non lo manda più a fare il tennis o non lo manda più nella scuola privata, perché è convinto che la mamma sogna che il bambino sia celiaco.

Dunque, non è difficile accertarsi se un bambino sia celiaco. Qui ci sono circa venti-trenta certificati medici, sottosegretario; c'è l'esenzione del ticket da parte della ASL competente nei confronti del bambino perché lo ritiene celiaco. Per cui, su questo punto credo che non si sia più discussione. Adesso, però, il problema è un altro. Io capisco che di casi drammatici ce ne sono tantissimi perché appena ho postato la mia interpellanza su un social sono stato travolto da tante mamme e papà che conoscono il bambino e la mamma e chiedono giustizia per un bambino e per una mamma che non hanno fatto niente di male e che vivono felici, ma sono stato travolto anche da tante mamme e da tanti papà che hanno questa situazione, questo scontro feroce che ormai esiste nel nostro Paese tra genitori che, pur di fare delle vendette, pur di fare delle rivalse, si attaccano e denunciano l'altro genitore.

Dicono: “Mia moglie - o mio marito - mi mette contro mio figlio”, e questo basta per far sì che poi un tribunale dei minori possa togliere questo bambino facendo pagare al bambino lo scotto delle questioni.

Ho sentito che il Ministero dice che il bambino si può prendere con la polizia, per le braccia e per le gambe e trasportare fuori dalla sua scuola. Probabilmente per legge si può fare, ma io mi chiedo quanto inciderà sul futuro della vita di questo bambino quell'atto che è stato commesso e mi chiedo quanto debba vigilare lo Stato affinché questo non accada. Io credo che prima di togliere un bambino a una madre o a un padre ci devono essere situazioni veramente drammatiche e gravi. Io penso che i soldi che si investono nelle case-famiglia potrebbero essere investiti dello Stato, ad esempio, per una continua, anche h24, assistenza psicologica, assistenza fatta con assistenti sociali nella casa stessa del bambino, della mamma e del papà, per poter cercare di risolvere il problema che in realtà esiste, che esiste presso molti genitori.

Chi di noi non ama il proprio figlio? Chi di noi non ha questo senso di protezione nei confronti del figlio? Quale madre, sapendo che un figlio va a pranzo con un padre che gli fa mangiare prodotti con glutine a cui lui è allergico e ritorna a casa gonfio, con la diarrea, con i dolori, quale mamma, dicevo, non si mette di traverso e cerca di non mandare il figlio, di costringere il figlio a non andare con il padre? Credo che questo sia un fatto normale, ma credo che da qui ad arrivare a togliere un bambino ce ne sia, anche perché tra le cose che chiedo al sottosegretario è poter vigilare. Io lo ringrazio ancora per la sua disponibilità, in quanto so quanto sia sensibile a questo tema e so che conosceva anche questo tema. Però chiedo, ad esempio, di capire che ci sono alcuni buchi neri in questa storia. So che qualche giorno fa si è svolta un'udienza e gli avvocati che difendono la madre non sono stati chiamati. Mi chiedo se questo sia un presupposto per potere cambiare il collegio del tribunale in quanto non chiamando gli avvocati non si è data la possibilità di avere un contraddittorio all'interno di un'udienza.

Poi, mi chiedo, ad esempio, perché non si è trovata una strada maestra, quella che credo che sia scritta anche nella legge. Prima di togliere un bambino a un genitore, a una madre o a un padre, si cerca di darlo in affidamento magari a un nonno, a una nonna, a una sorella, a un fratello. Perché nelle carte che io ho - e che credo che anche il sottosegretario abbia - non c'è mai un accenno di un tentativo di mandare questo bambino, prima che nella casa-famiglia, di corsa e in maniera sbrigativa come se fosse un pacco da donare a qualcuno, non c'è questo tentativo di affidare il bambino a un familiare?

Infine, sottosegretario, io quando ho postato questa interpellanza su un social sono stato travolto da messaggi di genitori e c'è anche una petizione. Il papà di questo bambino ha sporto una denuncia per abbandono di minore, perché il bambino è stato per quattro ore dentro al circolo “Due Ponti”, che è uno dei circoli più prestigiosi di questa città, a giocare a tennis e a stare in piscina con i suoi amichetti. C'è una raccolta firme di 250 genitori di questo circolo che dicono che il bambino non è stato mai abbandonato, anzi il bambino stava in piena allegria con i suoi amichetti a giocare e questo è quello che vorrebbe tornare a fare.

Ci sono stati tanti commenti al mio post, ma gliene riporto soltanto uno, gliene leggo soltanto uno perché sono centinaia. Le leggo il post di una mamma che conosce questa storia: “Gentile onorevole, la ringrazio di cuore per quello che sta facendo. Questa vicenda è irragionevole rispetto alle logiche della nostra società e ai comuni valori sociali, morali e legali. Per chi conosce il bimbo e la mamma, purtroppo non è solo irragionevole ma tremenda, diabolica e infernale. Da mamma di due figli, da quattro mesi, da quando ho saputo incredula dell'accaduto, ormai metto in dubbio qualsiasi principio legale che da laureata in giurisprudenza avrei dovuto apprendere. La legalità non esiste, i nostri diritti non esistono, i bambini non sono tutelati. La prego di ridare a J. la sua vita”.

Allora, io conoscendo anche il suo particolare attaccamento a questi problemi, sottosegretario, la prego, se non l'ha fatto prima, di iniziare un'attività di ispezione per questa vicenda e per tutte le altre, perché ce ne sono centinaia, e di ascoltare qualche DVD che le è stato mandato, di ascoltare le voci di supplica di questo bambino e di immaginare che una madre non può divenire alienante ascoltando un bambino che tutte le sere alle 7 la implora di portarlo via. E chi dice che il bambino sta in ottime condizioni, che il bambino sta bene, mi dovrebbe spiegare… perché il sottoscritto per Pasqua, come fa da vent'anni, da quando faccio politica, anch'io in più di un partito se ai colleghi interessa, puntualmente a Natale e a Pasqua vado in tutte le case-famiglia a portare doni ai bambini, da vent'anni a questa parte.

Quando a Pasqua ho chiesto di poter andare presso questa casa famiglia, non avendone il diritto, perché noi parlamentari possiamo entrare in un carcere, ma non possiamo entrare in una casa famiglia, quando ho chiesto di entrare in casa famiglia, dove generalmente il 99 per cento delle volte ho avuto sempre grande ospitalità, dalle suore, dai preti, dalle cooperative che gestiscono queste case famiglia, mi è stato risposto che non erano gradite le uova perché erano talmente pieni di regali e di doni che non sapevano che cosa farsene. Questo, se permette, sottosegretario, è un fatto non irrilevante in questa vicenda, che un parlamentare non possa entrare in una casa famiglia, con il permesso, annunciando la sua venuta.
Arrivo subito, Presidente, alla conclusione. Le dico, anche a chi dice che in questa storia va tutto bene Madama Dorè, le cito soltanto alcune frasi che sembrerebbero essere registrate; uso sempre il condizionale perché poi, di fronte a questi fatti delicati, bisogna avere le prove. Le ultime parole di Jacopo di qualche giorno fa alla mamma: sono disperato, ogni giorno per me questa sofferenza c'è, ogni giorno qui dentro tu non sai quanta sofferenza c'è. Parlami ancora mamma, non voglio smettere di parlare con te. Non posso fare più niente, pensa quando avevo l'opportunità di stare insieme, insieme ai miei amici. Adesso quelli che ci vanno di mezzo siamo noi, non è giusto. Loro fanno la loro bella vita e io e te stiamo soffrendo, perché io non sto con te e tu non stai con me, perché dovete impedire la vita ad una madre e a un figlio che stanno bene insieme. Tu non puoi sapere quello che passo io, perché non ci vivi, non sai quello che succede qui dentro, non lo sai.

Succede di tutto qua dentro, non sai quanto sarò felice quando mi dirai che esco. E mi perdoni, Presidente, visto il tema molto delicato, concludo soltanto con una lettera che sembrerebbe pubblicata da un giornale.
Sono quattro righe, posso? Una lettera che il bambino ha scritto al Papa non posso leggerla?
Comunque c'è su un giornale una lettera del bambino di supplica al Santo Padre per ascoltarlo e per dargli la possibilità di tornare a vivere una vita da bambino.