22/01/2016
Lia Quartapelle Procopio
Cinzia Maria Fontana, Currò
2-01207

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che: 
la crisi aperta l'aprile scorso in Burundi dalla decisione del Presidente Pierre Nkurunziza di candidarsi per un terzo mandato alla guida del Paese, non si è ancora arrestata ma, al contrario, peggiora di giorno in giorno; 
la candidatura si poneva in contrasto con la Costituzione, che prevede il limite di due mandati e viola gli accordi di Arusha, che nel 2000 hanno posto fine a una guerra civile ventennale e che sono alla base di un fragile equilibrio di tutta la regione dei Grandi laghi; 
dopo mesi di violentissimi scontri e un tentato colpo di Stato, diversi quotidiani nazionali e internazionali hanno riportato che durante gli scontri dello scorso fine settimana, hanno perso la vita circa ottantasette persone tra militanti dell'opposizione, agenti di polizia e civili; 
un'ondata di violenze innescata dal duplice attacco lanciato il 12 dicembre 2015 contro due basi dell'esercito a Bujumbura con l'obiettivo, secondo il Governo, di sequestrare armi da utilizzare per liberare gli oppositori detenuti nella prigione di Musaga; 
attacchi cui, nelle giornate di sabato e domenica, le forze burundesi hanno risposto con il pugno di ferro, dispiegando carri armati in città, stringendo d'assedio i quartieri roccaforti dell'opposizione e scatenando una repressione feroce; 
circa duecento i cadaveri ritrovati, decine dei quali, secondo le testimonianze degli abitanti della zona, sono stati abbandonati nelle strade e successivamente tumulati in fosse comuni; 
secondo fonti locali, vittime delle esecuzioni sono in grande maggioranza appartenenti all'etnia Tutsi; questa circostanza, unita alla natura e alle quantità di violenze proprie di un conflitto etnico alimenta le preoccupazioni per quello che pare delinearsi come l'inizio di un vero e proprio genocidio sulla scia di quello perpetrato in Rwanda nel 1994, che ha visto lo sterminio di ottocentomila persone appartenenti all'etnia Tutsi per mano della maggioranza Hutu; 
ad aumentare l'allarme hanno contribuito dichiarazioni di esponenti del Governo, in primis il monito del Ministro della pubblica sicurezza Alain-Guillaume Bunyoni, che, sottolineando la condizione minoritaria dei Tutsi, ha aggiunto che laddove le forze dell'ordine dovessero fallire, ci saranno comunque nove milioni di cittadini a cui sarà sufficiente dire: «fate qualcosa»; ancora più inquietante la dichiarazione del presidente del Senato Révérien Ndikuriyo nel novembre 2015, che, alla radio nazionale, ha invitato i Tutsi ad «andare al lavoro» facendo ricorso all'espressione in lingua Kirundi che durante il genocidi ruandese dal 1994 furono usate per incitare al massacro di massa nei confronti dei Tutsi; 
gli Stati Uniti dopo aver definito le elezioni presidenziali in Burundi «non credibili» e dopo che l'inviato Usa nella regione dei Grandi laghi Thomas Perriello, ha definito il Paese «sull'orlo di un conflitto armato» e «sempre più somigliante a uno Stato fallito», il Governo americano ha caldamente invitato i propri cittadini a non recarsi o a lasciare il Paese africano «il prima possibile» –: 
in un clima ormai di pieno conflitto armato, vista la riportata natura etnica delle morti di sabato 12 dicembre 2015, quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo per porre fine alle violenze, per salvaguardare la democrazia e i diritti umani e per promuovere una fase di distensione e di dialogo. 
 

Seduta del 22 gennaio 2015

Illustra e replica Tommaso Currò, risponde Della Vedova Benedetto, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale

Illustrazione

Rapidamente Presidente, grazie. Buongiorno, signori sottosegretari. Il Burundi sta attraversando una nuova fase di instabilità politica e di violenza.  Ciò deriva dal fatto che nell'aprile del 2015, quindi dello scorso anno, il Presidente Nkurunziza ha deciso di ricandidarsi per un terzo mandato alla guida del Paese, in contrasto con la Costituzione che prevede il limite di due mandati, violando così di fatto gli accordi Arusha, che nel 2000 avevano posto fine ad una guerra civile ventennale e che di fatto sono stati alla base di un fragile equilibrio in tutta la regione dei Grandi Laghi. 
Si è innescata, in conseguenza a ciò, una ondata di violenze che è culminata poi, nel dicembre 2015, in un attacco da parte degli oppositori ai danni, diciamo così, di due basi militari dell'esercito governativo. Le forze governative hanno risposto con il pugno di ferro, dispiegando carri armati in città e stringendo d'assedio i quartieri roccaforti dell'opposizione e scatenando così una repressione feroce. 
In questo scenario sono stati ritrovati centinaia di cadaveri e anche fosse comuni. Le vittime delle esecuzioni sono in grande maggioranza appartenenti all'etnia dei Tutsi, e questa circostanza, di conseguenza, unita alla natura e alla quantità di violenze proprie di un conflitto etnico, alimenta le preoccupazioni per quello che pare delinearsi come l'inizio di un vero e proprio genocidio, sulla scia di quello perpetrato in Ruanda nel 1994 e che ha visto lo sterminio di circa 800 mila persone appartenenti appunto all'etnia Tutsi per mano della maggioranza Hutu. 
Viste le forti condizioni di instabilità e di violenza che si stanno generando in questi ultimi periodi nel Burundi, sembra che questo conflitto sia sempre più da ascrivere a quello che già era stato in decenni passati, appunto, un conflitto tra etnie, anziché un conflitto squisitamente politico tra oppositori e forze governative. 
Quindi, in questo scenario noi chiediamo quali siano le iniziative che il Governo intende assumere per cercare di porre fine a queste violenze e anche in visione del fatto che il Presidente Nkurunziza non sembra spaventato dalle sanzioni economiche che sono state imposte dall'Unione europea e dagli USA, e anzi ha affermato che, se l'Unione africana dovesse mandare truppe dipeacekeeping, la risposta sarà una risposta che avverrà con il fuoco. 

Risposta del governo

Vorrei innanzitutto fornire un aggiornamento circa la situazione in Burundi a seguito dalla nuova ondata di violenze innescatosi il 12 dicembre scorso con l'assalto di tre postazioni militari. L'episodio, per il quale non è ancora pervenuta alcuna rivendicazione, ha segnato una escalation, sia nelle violenze che nella retorica del regime che ha attuato una repressione particolarmente dura. 
Nonostante l'estrema gravità della situazione nel Paese, credo sia momento prematuro parlare di vero e proprio genocidio, anche sulla base delle valutazioni espresse dall'ONU. Tuttavia è indubbio che la crisi in atto vada attentamente monitorata, la situazione potrebbe precipitare in assenza di adeguate e tempestive soluzioni che non possono provenire esclusivamente dall'interno. 
Una prima sessione di dialogo interburundese si è tenuta ad Entebbe, in Uganda, il 28 dicembre scorso, confermando tuttavia le divergenti posizioni tra Governo e opposizioni. Una seconda sessione era prevista per il 6 gennaio ad Arusha, ma è stata annullata in quanto l'Esecutivo continua a non riconoscere la rappresentatività di alcuni esponenti dell'opposizione e della società civile. 
Di fronte a questa complessa situazione, l'Italia è da tempo fortemente impegnata a sostenere attivamente gli sforzi diplomatici in corso per riportare le parti intorno a un tavolo. Già lo scorso 20 novembre, il Ministro Gentiloni, in occasione di un incontro bilaterale con l'omologo burundese Nyamitwe, aveva avuto modo di insistere sulla necessità, per le parti in conflitto, di porre fine alle violenze e di avviare un dialogo inclusivo tra forze governative e opposizioni da tenersi al di fuori dal Paese. 
Il Governo, anche sulla base del principio di appropriazione africana della gestione delle crisi locali, ritiene vada infatti sostenuta la mediazione regionale, ora gestita dal Presidente ugandese Museveni su mandato dell’East African Community, eventualmente affiancata da un più marcato sostegno dell'Unione Africana, che sin dall'inizio della crisi ha mantenuto una coerente e decisa linea politica di condanna del regime di Bujumbura. 
In questo quadro si inserisce la missione in Burundi, iniziata ieri, di rappresentanti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che è stata organizzata in stretto coordinamento con l'Unione Africana. Al termine della loro missione, i delegati si recheranno presso la sede dell'Unione Africana ad Addis Abeba per valutare la situazione. 
A sostegno di tale processo, il Governo continua anche a sostenere in maniera convinta gli sforzi negoziali in corso in ambito di Unione europea e di Nazioni Unite. In ambito di Unione europea stiamo lavorando con i nostri partner per chiudere, fra la fine di febbraio e gli inizi di marzo, le consultazioni Unione europea-Burundi attivate per la violazione dei diritti umani secondo l'articolo 96 dell'Accordo di Cotonou. Ricordo che tali consultazioni rappresentano un momento intermedio prima dell'adozione di vere e proprie sanzioni come la sospensione degli aiuti allo sviluppo europeo. 
Proprio in questa prospettiva il Servizio europeo per l'azione esterna sta valutando possibili misure per proseguire la cooperazione con il Burundi attraverso canali diversi da quello governativo. L'Unione europea si riserva, inoltre, di adottare nuove misure restrittive oltre a quella adottata lo scorso 1o ottobre nei confronti di persone detenute responsabili di violenze, violazioni dei diritti umani e intralcio al dialogo politico. Sempre in ambito multilaterale, sosteniamo con convinzione l'azione dell'ONU, in particolare quella del Consiglio dei diritti umani dell'ONU a Ginevra.
In tale ambito, lo scorso 17 dicembre abbiamo sostenuto insieme ai nostri partner una soluzione che chiede l'invio urgente di una missione di esperti nel Paese, nonché la formulazione di raccomandazioni per fornire assistenza tecnica a sostegno del processo di riconciliazione e dell'attuazione degli Accordi di Arusha. Su questa base, l'Alto Commissariato per i diritti umani dell'ONU sta attualmente lavorando all'invio nelle prossime settimane delle suddette missioni brevi nel Paese e successivamente di una missione di più lunga durata allo scopo di monitorare la situazione sul terreno. La condizione dei diritti umani in Burundi sarà, pertanto, oggetto di valutazioni da parte del Consiglio anche nei prossimi mesi, a partire dalla prossima sessione di marzo. 
Infine, un breve, ma doveroso cenno alla situazione dei nostri connazionali, ormai pochi, rimasti nel Paese. Finora nessuno è rimasto coinvolto negli scontri. La nostra ambasciata in Uganda, competente anche per il Burundi, continua a monitorare costantemente la situazione in coordinamento con il corrispondente consolare a Bujumbura e con l'unità di crisi e continua a mantenersi in contatto con i connazionali, ai quali è stato consigliato di limitare quanto più possibile gli spostamenti nel Paese. Continueremo a seguire attentamente l'evolversi della situazione agendo in stretto coordinamento con i partner europei ed internazionali al fine di promuovere un dialogo costruttivo e inclusivo che consenta di porre fine alla violenza e giungere ad una soluzione politica della crisi.

Replica

La ringrazio sottosegretario. Sono soddisfatto della risposta. Vorrei soltanto sottolineare appunto l'importanza del ruolo che l'Italia deve avere in sede europea. L'attualità ci porta su scenari di politica internazionale che guardano più alla Siria e allo scenario mediorientale, ma la crisi nel centro dell'Africa non deve essere trascurata, ma, invece, come vedo appunto dalle sue risposte, deve essere al centro dell'attenzione delle politiche del nostro Paese, soprattutto nelle sedi europee, per cercare anche di calendarizzare e di mettere all'ordine del giorno le discussioni che riguardano questo Paese che ha visto, come sappiamo, in passato davvero perpetrarsi crimini tremendi. Quindi, la ringrazio molto.