30/10/2015
Alessandro Bratti
Zanin, Giovanna Sanna, Vico, Giuseppe Guerini, Ginefra, Miotto, Culotta, Pes, Bargero, Boccuzzi, Bonaccorsi, Paola Bragantini, Cenni, Fontanelli, Giacobbe, Incerti, Lenzi, Mariano, Marroni, Massa, Mazzoli, Miccoli, Mongiello, Morassut, Portas, Rostan, Tullo, Marrocu, Bolognesi, Villecco Calipari, Ferranti
2-01141

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che: 
l'energia, in termini di disponibilità e costi, è un elemento essenziale per la competitività del Paese e del suo sistema industriale; 
come fonte energetica, a livello globale, si consumano quantità enormi di combustibili fossili (ogni secondo 1050 barili di petrolio, 105.000 metri cubi di gas, 250 tonnellate di carbone) immettendo nell'atmosfera, oltre alle sostanze inquinanti che causano numerose malattie, 36 miliardi di tonnellate l'anno di anidride carbonica, gas serra che ha raggiunto la concentrazione di 400 parti per milione. Causa principale del progressivo riscaldamento del pianeta che sta già causando conseguenze catastrofiche; 
gli scienziati del Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), sotto l'egida dell'ONU, nel Fifth Assessment Report2014 hanno sottolineato l'urgenza di intervenire con iniziative immediate: «senza un'azione decisa, è molto probabile che le temperature superino il limite di 2o C, limite per cui si sono impegnati i Governi nazionali. La combustione delle fonti energetiche “fossili” è la principale causa dell'aumento di temperatura. Superare il limite porterà a estreme conseguenze: innalzamento del livello dei mari, onde di calore, scioglimento delle calotte polari, distruzione dell'agricoltura e perdita di cibo, aumento della frequenza di tempeste e siccità»; 
uno studio del novembre 2014, commissionato dalla Commissione europea per approfondire l'entità dei sussidi diretti e indiretti e i costi delle esternalità negative di tutte le fonti energetiche fossili e rinnovabili nella produzione dell'energia elettrica, ha evidenziato come i costi delle esternalità negative – danni determinati da riscaldamento globale (innalzamento temperature e aumento frequenza fenomeni meteorologici estremi) e incremento spesa sanitaria per patologie legate ad inquinamento – generati dall'utilizzo di fonti fossili per la produzione di energia elettrica vadano da oltre 90 euro/MWh per le centrali a carbone a quasi 40 euro/MWh per le centrali a cogenerazione alimentate da gas naturale (a fronte di un prezzo all'ingrosso dell'energia elettrica di 52 euro/MWh per tutte le fonti energetiche fossili e rinnovabili). Tali costi sono oggi essenzialmente a carico del bilancio pubblico, finanziati quindi dalla fiscalità generale. Si può affermare che i costi di estrazione, stoccaggio e dispacciamento sommati ai costi delle esternalità negative prodotti dall'impiego dei combustibili fossili sono tali da rendere più conveniente l'utilizzo di energia elettrica da fonti rinnovabili, nonostante il maggior costo e la minore efficienza delle tecnologie di produzione; 
la conferenza CFCC15 (Common Future under Chinate Change), organizzata dall'UNESCO il 10 luglio 2015 in preparazione della Paris COP21, ha sollecitato ancora una volta tutti gli Stati a rendersi consapevoli della gravità della sfida per contrastare i cambiamenti climatici e ad agire di conseguenza; 
le agenzie di rating, tra cui Standard & Poor's mettono in guardia contro i rischi finanziari legati ai cambiamenti climatici e affermano che la limitazione delle emissioni è conveniente anche dal punto di vista dei profitti industriali; 
la produzione di energia da fonti rinnovabili non è più residuale: con le fonti rinnovabili oggi si produce il 22 per cento dell'energia elettrica su scala mondiale e il 40 per cento in Italia, dove il fotovoltaico da solo genera energia pari a quella prodotta da due centrali nucleari. Poiché i combustibili fossili sono in via di progressivo esaurimento, il processo di transizione alle energie rinnovabili è già avanzato in tutti i Paesi del mondo: in particolare, l'Unione europea ha messo in atto una strategia (il «Pacchetto clima energia 20 20 20», l’Energy Roadmap 2050) che nel 2050 porterà gli Stati dell'Unione a produrre almeno l'80 per cento dell'energia da fonti rinnovabili; 
di recente, l’Energy outlook 2015 dell'agenzia Bloomberg ha stimato che entro il 2040 il 56 per cento delle sorgenti energetiche primarie su scala mondiale sarà composto da fonti a emissioni zero. I sussidi alle fonti energetiche rinnovabili sono uno strumento efficace per favorire lo sviluppo e l'implementazione di nuove tecnologie e, il loro elevato costo, pari a 6.7 miliardi di euro all'anno, interamente a carico delle tariffe energetiche, è giustificato, sia dalla riduzione di esternalità, sia dalla riduzione dei costi complessivi dell'energia, cui sicuramente ha contribuito anche la maggiore disponibilità di fonti energetiche rinnovabili a costo ridotto. Con il successo e la diffusione delle fonti rinnovabili il prezzo medio dell'energia è passato da circa 100 euro/MWh a 50 euro/MWh; 
i combustibili fossili richiedono ingenti investimenti per l'estrazione, la raffinazione e la distribuzione; gran parte di questi costi – per sussidi diretti e indiretti – sono a carico dei Governi nazionali. Il Fondo monetario internazionale, in un working paper del maggio 2015, ha stimato che i sussidi ai combustibili fossili per il 2015 hanno raggiunto un nuovo record: 5.300 miliardi di dollari, ovvero oltre il 6 per cento del prodotto interno lordo mondiale, una spesa maggiore della spesa mondiale per la sanità; 
la BP Statistical Review del giugno 2015 (British Petroleum, BP Statistical Review of World Energy 2015), in accordo con i dati pubblicati dal Ministero dello sviluppo economico (riserve di idrocarburi in Italia al 31 dicembre 2014) segnala che le «total proved reserves» di petrolio in Italia ammontano a 100 milioni di tonnellate, a fronte di un consumo annuale di petrolio di 56,6 milioni di tonnellate. Le riserve accertate coprono, pertanto, meno di due anni di consumi di petrolio: se queste vengono estratte dai giacimenti nell'arco di 20 anni, sono in grado di coprire meno del 9 per cento del consumo annuale. Per il gas naturale, le «total proved reserves» ammontano a circa 50 miliardi di metri cubi, insufficienti a coprire il consumo di 1 anno che è di 56,8 miliardi di metri cubi. In 20 anni, coprirebbero il 4,4 per cento del consumo annuale. È evidente che anche lo sfruttamento integrale delle esigue riserve italiane non renderebbe il Paese indipendente da altri Paesi, dai quali si dovrebbe continuare ad importare gran parte delle esigue risorse energetiche necessarie sotto forma di combustibili costosi ed inquinanti; 
il Ministero dello sviluppo economico ha reso noto che nel 2014 lo Stato italiano ha incassato 70 milioni di euro e le regioni 182 milioni di euro di royalty. La Basilicata, a fronte di introiti per 159 milioni di euro, ha esternalità negative per inquinamento dell'aria e delle falde acquifere, con effetti devastanti sull'agricoltura e diminuzione del prodotto interno lordo regionale. Nelle altre regioni 29 milioni di euro sono andati ai comuni, di cui 450.000 euro al comune di Ravenna, una cifra decisamente inferiore ai danni causati dalle esternalità, fra le quali vanno considerati la subsidenza e i rischi per l'ecosistema marino. Nella migliore delle ipotesi, supponendo cioè che dopo esplorazioni preliminari e messa in opera degli impianti l'estrazione abbia inizio fra 5 anni e continui per i successivi 20 anni fino ad esaurimento delle riserve estraibili, a partire dal 2020 lo Stato incasserebbe 70 milioni di euro di nuove royalty all'anno; 
una recente ricerca del UK Energy Research Centre rileva che investimenti nella efficienza energetica ed energie rinnovabili generano più posti di lavoro rispetto ad investimenti in sistemi energetici intensive; secondo autorevoli studiosi, che hanno ricoperto posizioni di primo piano nell'industria petrolifera, questa non è in grado di dare risposte alle necessità impellenti di occupazione, perché, per sua natura, è ad alta intensità di capitale, ma a bassa intensità di lavoro (L. Maugeri, L'era del petrolio, Feltrinelli, 2006); 
la strategia energetica nazionale è stata definita da un decreto interministeriale dell'8 marzo 2013 e ha visto, ad avviso degli interpellanti, un coinvolgimento meramente formale del Parlamento; 
la richiesta, depositata presso la Corte di cassazione il 30 settembre 2015 dai rappresentanti di dieci regioni italiane, di referendum nazionale abrogativo per alcune parti dell'articolo 35 del decreto-legge n. 83 del 22 giugno 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 cosiddetto «dl sviluppo», e dell'articolo 38 del decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014 detto «Sblocca Italia» –: 
se non ritenga doveroso assumere iniziative per escludere dalla dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza finalizzata alla valorizzazione di risorse energetiche nazionali la prospezione e il sondaggio di idrocarburi liquidi e gassosi in mare e in terra; 
se, in base a quanto esposto in premessa, non ritenga necessario adottare iniziative volte a prevedere la sospensione delle attività sia di esplorazione che di ricerca in zone ad elevato rischio sismico, vulcanico, tettonico, accertato da indagini scientifiche preventive effettuate dagli enti di ricerca Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, Consiglio nazionale delle ricerche e Agenzia per la protezione ambientale, nonché a prevedere il blocco del rilascio di autorizzazioni in zone di particolare ripopolamento ittico, così come opportunamente indicato da indagini scientifiche preventive di supporto effettuate da Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, Consiglio nazionale delle ricerche e Agenzia per la protezione ambientale, prevedendo altresì adeguate compensazioni economiche nel caso di danni arrecati agli stock ittici esistenti; 
se non ritenga opportuno adottare iniziative per prevedere il blocco del rilascio di future autorizzazioni sia di esplorazione che di ricerca in prossimità di aree di particolare interesse turistico; 
se non ritenga opportuno, in accordo con le autorità dei Paesi che si affacciano sul mare Adriatico e in applicazione della direttiva 2013/30/UE, promuovere una conferenza congiunta dell'Adriatico per la prospezione e lo sfruttamento di giacimenti petroliferi offshore, al fine di adottare criteri analoghi per tutelare le spiagge e i territori; 
se intenda attivare un tavolo di confronto con i rappresentanti dei comuni interessati, individuati da ANCI e delle regioni, in vista della partecipazione degli enti locali e territoriali alla conferenza congiunta dell'Adriatico, nonché promuovere una revisione delle procedure di ispezione e sondaggio di idrocarburi liquidi e gassosi in mare e in terra, al fine di prevedere la valorizzazione e il rafforzamento del ruolo degli enti locali e territoriali e l'integrale e tempestiva pubblicizzazione dell’iter autorizzativo; 
se, in base a quanto esposto, non ritenga necessario e urgente integrare e modificare in tempi brevi la strategia energetica nazionale, al fine di promuovere la produzione di energia da fonti rinnovabili, riducendo, nel contempo, la produzione di energia da fonti fossili, in accordo con la prevista conferenza congiunta dei Paesi che si affacciano sul Mare Adriatico e in coerenza con l'esito delle indagini scientifiche preventive effettuate dagli enti di ricerca Istituto nazionale di geofisica e vulcanologica, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, Consiglio nazionale delle ricerche e Agenzia per la protezione ambientale che rilevino elevato rischio sismico, vulcanico e tettonico dei siti individuati; 
se non ritenga opportuno assumere iniziative per rivedere completamente gli articoli 37 e 38 del decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014 detto «Sblocca Italia», recependo le richieste di cui al secondo, terzo e sesto quesito dell'interpellanza.

Seduta del 27 novembre 2015

Illustra e replica Federico Massa, risponde Vicari Simona, Sottosegretaria di Stato per lo sviluppo economico

Illustrazione

Signor Presidente, credo che l'interpellanza muova da una riflessione che può essere considerata addirittura scontata sui dati ormai indiscutibili dei guasti insopportabili che l'uso delle fonti fossili impone all'ecosistema. La materia sarà oggetto del prossimo vertice di Parigi sul riscaldamento globale e in questa prospettiva, appena ieri, questa Camera ha votato una serie di risoluzioni tutte accomunate dalla richiesta a quel vertice di decisioni impegnative e vincolanti per la comunità internazionale. 
Cito testualmente dalla risoluzione sottoscritta da tutti i capigruppo della maggioranza: chiediamo a quel vertice impegni vincolanti per la riduzione delle emissioni con obiettivi determinati, scadenzati e verificabili. Ciò implica necessariamente che le scelte di tutti i Paesi europei, innanzitutto per quanto riguarda la politica energetica, devono immediatamente essere orientate per la progressiva ma decisa riduzione dell'uso delle fonti fossili e per lo sviluppo delle fonti rinnovabili. 
I dati esposti nell'interpellanza dimostrano che l'Italia è all'avanguardia, ma dobbiamo continuare ad operare in questa direzione. Non credo sia un caso che la produzione di energia da fonti rinnovabili copra nel nostro Paese circa il doppio della quota di produzione rispetto alla media degli altri Paesi europei. 
A noi pare, quindi, assolutamente ragionevole che anche nel settore della ricerca e della coltivazione degli idrocarburi si operi coerentemente per una sostanziale riduzione, in prospettiva, di tali attività, che, fra l'altro, in ogni caso e nella migliore delle ipotesi, garantirebbero al nostro Paese quote pressoché insignificanti di risparmio nel fabbisogno dall'estero. Sono talmente insignificanti che io credo sia legittimo il dubbio se la copertura di quote così insignificanti – mi scuso per il bisticcio di parole – sia tale da giustificare i rischi connessi all'espletamento di quelle attività. 
Questo è il contesto generale nel quale chiediamo al Governo di adottare iniziative per pervenire alla immediata sospensione di tali attività, quanto meno nelle aree nelle quali sia stata accertata o l'esistenza di una particolare situazione di rischio sismico o vulcanologico ovvero nelle aree di particolare pregio ambientale. Chiediamo contestualmente e significativamente, perché abbiamo la consapevolezza che questo è il luogo della vera soluzione del problema, di attivarsi per la convocazione – cito dall'interpellanza – di una conferenza congiunta dell'Adriatico per la prospezione e lo sfruttamento di giacimenti petroliferi offshore e per l'adozione dei medesimi criteri di assoluta severità. Gli interpellanti hanno la piena consapevolezza che la questione non può essere seriamente affrontata e risolta sul piano nazionale. Gli interpellanti hanno la piena consapevolezza che, se ci si vuole sottrarre alla demagogia e alla propaganda, non è quello il luogo nel quale porre la questione relativa alla ricerca e alla coltivazione degli idrocarburi nel mare Adriatico. È una questione che deve essere affrontata congiuntamente a livello internazionale, non deve essere cioè una scelta che penalizzi gli interessi e l'economia del nostro Paese. Ma è proprio per questo che è necessario attivarsi in quei luoghi per giungere a determinazioni condivise, che stanno dentro la politica, che questo Parlamento ieri ha sottolineato, relativamente ad impegni concreti perché vengano affrontati i problemi complessivi del riscaldamento globale, ma vengano contestualmente affrontate le questioni legate allo svolgimento di attività oggettivamente di grande impatto ambientale e potenzialmente di grande rischio, quale quella della ricerca e della coltivazione degli idrocarburi e delle fonti fossili, in particolare nel mare Adriatico per le caratteristiche che quel mare ha. 

Non può, quindi, sorprendere che l'assoluta maggioranza delle regioni italiane abbia scelto, assumendosi una responsabilità grave, significativa; io credo assumendosi questa responsabilità non inconsapevolmente rispetto al significato profondo che questa scelta può avere.
Hanno scelto di promuovere un referendum abrogativo delle norme che sono, anche di recente, intervenute a disciplinare una materia così delicata e così decisiva per il nostro futuro e per il futuro dell'Europa. Riteniamo che, anche per questo profilo, la questione impone una iniziativa del Governo capace di trovare, con le regioni italiane, con gli enti locali di questo Paese, una soluzione condivisa, finalizzata ad evitare il paradosso di una vicenda referendaria che sarebbe inevitabilmente segnata dalla lacerazione del tessuto istituzionale di questo Paese. Non può, cioè, sottovalutarsi, sarebbe grave sottovalutare – io credo che sarebbe anche in contrasto con la grande iniziativa riformatrice di questo Governo – l'assoluta novità di un referendum che nascerebbe dalla iniziativa condivisa di dieci regioni italiane. 
Il dato di per sé è rappresentativo di una situazione nella quale non può pensarsi alla demagogia dello scontro irragionevole fra sviluppo e non sviluppo, fra scelte industrialiste o antindustrialiste e via di questo passo. Noi siamo profondamente convinti – in questo senso auspichiamo l'impegno forte di questo Governo, del Governo dell'Italia – che esista uno spazio per risolvere il problema. La strada a nostro parere è quella della individuazione, a partire dagli articoli 35 e 38 dei decreti «sblocca Italia» e «sviluppo Italia», per individuare spazi di effettivo concorso delle autonomie di questo Paese a decisioni di grandissimo rilievo per i territori interessati. 
Gli interpellanti hanno la piena consapevolezza – concludo – che il Governo nazionale, che lo Stato nazionale debba avere la possibilità, anzi io dico lo Stato nazionale ha il dovere di fare sintesi delle diverse esigenze territoriali. Credo che le decisioni dello Stato non possano essere la somma delle singole e delle particolari esigenze territoriali, ma credo – e insieme a me credono i numerosi sottoscrittori della interpellanza che ho quest'oggi avuto il privilegio di illustrare – che tanto più quella decisione sia politicamente e istituzionalmente significativa, quanto più la decisione sia la sintesi effettiva di un concorso effettivo alla decisione. 
Questo è un terreno pericoloso, nel quale io credo che dare anche solo la sensazione ai territori che si vogliano imporre delle decisioni, piuttosto che condividerle, sia un errore grave che noi tutti insieme, il Parlamento e il Governo al quale è rivolta l'interpellanza che ho illustrato, abbiamo il dovere di evitare.

Risposta del governo

Grazie, Presidente. Onorevoli interpellanti, con riferimento alle premesse fatte dall'interpellante, si rappresenta che, in base a studi, è stata rilevata nel 2014 a livello mondiale una riduzione della carbon intensity del 2,7 per cento, facendo registrare il calo più marcato dal 2000, sebbene nei limiti della metà di quanto sarebbe necessario per centrare l'obiettivo di limitare a due gradi centigradi l'aumento della temperatura del pianeta. 
Nel considerare il rapporto tra le emissioni di gas serra ed il consumo di energia per milioni di dollari di PIL, è stato inoltre evidenziato per la prima volta un netto disaccoppiamento tra crescita economica (il PIL mondiale è un più 3,3 per cento nel 2014) ed emissioni del settore energetico (un più 0,5 per cento). In base a tali studi l'Italia si pone al terzo posto dopo Regno Unito e Francia tra i Paesi più virtuosi per la decarbonizzazione, con un tasso pari al 7,8 per cento nel 2014, ed al secondo posto della graduatoria della carbon intensity. 
Ciò premesso, con particolare riferimento alle attività in materia di idrocarburi, si rileva che la produzione nazionale da fonti fossili soddisfa ad oggi solo il 10 per cento del fabbisogno nazionale, e le importazioni necessarie a soddisfare il restante 90 per cento comunque dei consumi incidono sulla spesa interna per circa 40 miliardi di euro, pari al 2,5 per cento del PIL nazionale (dati sempre relativi all'anno 2014). 
Diversi scenari energetici, quali ad esempio lo scenario road map elaborato dall'ENEA nel suo studio Verso un'Italia low carbon: sistema energetico, occupazione e investimenti, mostrano come l'Italia rimarrà nei prossimi trent'anni dipendente dalle fonti fossili per percentuali superiori al 30 per cento del fabbisogno energetico nazionale. Pertanto, anche a fronte di una sostanziale riduzione dei consumi di fonti fossili derivanti dall'attuazione della Strategia energetica europea al 2050, l'Italia continuerebbe ad essere fortemente dipendente da fonti di approvvigionamento esterne sempre più incerte e rischiose. Il sistema di importazione infatti ad oggi, come sapete, è molto fragile, ed esposto agli equilibri instabili dei Paesi che esportano il gas verso Italia. 
La Strategia energetica nazionale, tarata oltre che sul un orizzonte di medio-lungo termine al 2020, ha tra gli obiettivi quello di valorizzare le risorse nazionali di idrocarburi potenzialmente sfruttabili: un aumento della produzione nazionale, anche a parità o riduzione degli impianti e infrastrutture esistenti, grazie anche alle nuove tecnologie che oggi sono disponibili, avrebbe dunque ricadute molto significative in termini di occupazione e di fiscalità; anche in termini di sicurezza energetica, di minore dipendenza di approvvigionamento dall'estero e di maggiore flessibilità del sistema, con una riduzione della fattura energetica e contestualmente aumento del PIL interno di circa il 2 per cento rispetto ai valori attuali. 
Il raggiungimento di tali obiettivi si pone certamente in linea con la strategia energetica messa a punto dall'Unione Europea con il suo Pacchetto clima-energia 20-20-20, citati nell'interpellanza proprio in discussione. L'incremento della produzione nazionale di energia da fonti fossili previsto nella nostra SEN è comunque nettamente inferiore rispetto ai valori di produzione previsti al 2050, indicati dagli stessi interpellanti nel limite del 20 per cento. 
L'Italia ha inoltre ottenuto risultati soddisfacenti in relazione agli obiettivi climatici al 2020, che voglio riassumervi. È stato raggiunto con largo anticipo l'obiettivo al 2020 per le energie rinnovabili: già nel 2013 si è raggiunto il 16,7 per cento, quando l'obiettivo nazionale al 2020 è del 17 per cento. Sono state abbattute le emissioni di CO2 del 16 per cento rispetto ai livelli del 1990, ed è stato registrato un trend di riduzione dei consumi energetici che lascia intendere il conseguimento dell'obiettivo di efficienza energetica prefissato dalla SEN al 2020. 
Ciò premesso, con riferimento alle specifiche richieste dall'interpellante, si precisa che non si ravvisa allo stato attuale la necessità di aggiornare il documento di Strategia energetica nazionale già tarato sul lungo periodo al 2050; e per tutti i motivi esposti ed al fine di realizzare gli obiettivi prefissati nella SEN, occorre inoltre mantenere il carattere e la pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle attività upstream sia in mare che a terra. 
Per le stesse ragioni, allo stato attuale si ritiene di non poter adottare iniziative volte a sospendere le attività in corso o bloccare le autorizzazioni in prossimità di aree di interesse turistico. A tal riguardo, si segnala che esistono una serie di casi di virtuosi di regioni con best practice (ad esempio l'Emilia Romagna), in cui vi è una piena convivenza tra attività turistiche ed attività estrattive. L'eventuale sospensione delle attività comporterebbe invece contenziosi con gli operatori che hanno già realizzato le infrastrutture, oltre che ingenti costi per l'amministrazione per risarcimenti e compensazioni agli operatori. Vi è poi da non trascurare la parte relativa al decommissioning necessaria allo smantellamento ed al ripristino delle aree ove vi siano impianti produttivi mai entrati in esercizio. 
Si rappresenta inoltre che con il decreto del Ministro dello sviluppo economico del marzo di quest'anno, che cita come oggetto disciplinare-tipo per le attività di ricerca e produzione di idrocarburi, è stato introdotto l'obbligo di effettuare i monitoraggi della sismicità delle deformazioni del suolo delle pressioni di poro per tutte le nuove attività di produzione di idrocarburi, secondo le specifiche tecniche più avanzate individuate nelle linee guida adottate nel novembre 2014 dal gruppo di lavoro istituito presso lo stesso Ministero e costituito da specialisti nel settore della geologia, della sismologia e della prevenzione del rischio provenienti dal Dipartimento della protezione civile e da vari istituti di ricerca, dal CNR all'OGS all'INGV all'università. Tali linee guida, sviluppate per il monitoraggio delle attività di coltivazione di idrocarburi a stoccaggio sotterraneo di gas naturale, potranno essere applicate attraverso opportuni adattamenti anche a tutte le attività antropiche che interessano grandi bacini artificiali, attività geotermiche, stoccaggio sotterraneo di CO2, estrazioni minerarie e più in generale attività di sottosuolo. Ciò a testimonianza dell'attenzione che il Ministero riserva all'aspetto della sicurezza delle attività antropiche, in particolare in materia di energia.
In merito al dialogo con gli altri Paesi dell'Adriatico relativamente alle attività upstream, si rappresenta che è già in corso una cooperazione con la Croazia quale principale partner dell'Italia in tali attività nell'Adriatico, al fine di esaltare la cooperazione regionale sia in materia di energia che di ambiente. Con riferimento ai temi più legati alla sicurezza offshore, l'Italia ha avuto continui rapporti bilaterali con la Croazia durante la fase dei rapporti di recepimento della direttiva 2013/30 dell'Unione europea sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi, che si è conclusa per il nostro Paese con l'adozione del decreto legislativo n. 143 del 2015, dove i due rami del Parlamento hanno apportato anche alcune modifiche. Tali rapporti continuano ad avere cadenza trimestrale, per fare il punto della situazione sui vari aspetti della materia. 
Sulla partecipazione degli enti locali all'iter autorizzativo, si ricorda e si rappresenta che gli stessi enti locali sono attualmente coinvolti nel rilascio dei titoli minerari, essendo informati sui progetti e potendosi esprimere a riguardo nell'ambito dell'endoprocedimento di valutazione di impatto ambientale cui sono assoggettati procedimenti di rilascio dei titoli minerari.  A seguito degli ultimi interventi normativi che hanno previsto l'adozione, a cui faceva riferimento l'onorevole interrogante, l'adozione di un piano delle aree in cui sono consentite le attività in parola, è inoltre previsto il coinvolgimento delle Regioni e degli enti locali nell'ambito anche della procedura di Valutazione ambientale strategica cui sarà assoggettato il piano delle aree. Infine, si evidenzia sarà intrapreso un dialogo con le diverse regioni a seguito delle istanze referendarie presentate dalle regioni sul tema delle attività estrattive.

Replica

Ringrazio la gentilissima rappresentante del Governo. Penso di potermi dichiarare parzialmente soddisfatto in considerazione della oggettiva rilevanza del problema che abbiamo posto, un problema rispetto al quale dichiararsi totalmente soddisfatti è difficile, perché vi è da parte degli interpellanti la piena consapevolezza di quanto sia complicato individuare l'equilibrio giusto con riguardo ad attività del tipo di quelle di cui stiamo questa mattina discutendo. Parzialmente soddisfatto perché credo che questo Governo, questo Parlamento, se mi è consentito in questa sede di dire anche la maggioranza di cui gli interpellanti fanno parte, forse in questo momento e rispetto al dato politico istituzionale posto dalla richiesta referendaria delle regioni alla quale è stato fatto cenno, merita uno sforzo maggiore. Noi nell'interpellanza lo abbiamo scritto e lo abbiamo evidenziato, io credo che anche per merito di questo Governo, per merito del lavoro che è stato fatto da parte delle regioni italiane, l'Italia possa vantare quella priorità nel perseguimento degli obiettivi comunitari di riequilibrio ambientale di cui oggi possiamo parlare, ma io credo che rispetto a questa tematica dobbiamo porci forse in maniera più dinamica, cioè avere la consapevolezza che investire oggi nella ricerca, nell'impegno per modificare anche quelle percentuali fra produzioni da fonti fossili e produzioni da fonti rinnovabili, cui insieme abbiamo fatto riferimento, cioè porre l'accento sul necessario, indispensabile superamento della situazione data. 
Se noi andiamo incontro al vertice di Parigi con la necessità di fare un passo avanti decisivo rispetto a quello che si è ottenuto nel passato, se, come è noto, anche nei Paesi dove più forte era stata la Resistenza a prendere atto della questione posta dal riscaldamento globale, penso agli Stati Uniti d'America, dove c’è stata una positiva svolta in questa direzione, se i Paesi emergenti che fino all'ultimo vertice avevano opposto una resistenza a cooperare nella direzione auspicata dai Paesi più virtuosi ebbene io credo che questo carichi un Paese e un Governo come l'Italia di responsabilità maggiori – poiché siamo stati all'avanguardia – per mantenere quella primogenitura di cui dobbiamo andare orgogliosi. 
Dobbiamo fare uno sforzo in più. Credo allora, illustre rappresentante del Governo, che occorra individuare momenti di condivisione con la filiera istituzionale di questo Paese, che è una filiera istituzionale responsabile. Per dirla con estrema chiarezza io non penso che la strada referendaria e la modificazione degli articoli 35 e 38 sia la risoluzione del problema. Penso esattamente l'opposto, perché sono convinto e consapevole, come sono convinti e consapevoli i sottoscrittori di questa interpellanza, che non sia quello il problema, ma sono altrettanto consapevole che se vogliamo dare una risposta positiva e vogliamo venire incontro alle esigenze manifestate con quella richiesta referendaria evidentemente particolare per come è stata posta e per l'ampiezza del consenso che ha raggiunto, la ricerca di un equilibrio più avanzato – si sarebbe detto un tempo – rappresenta un dovere di questa maggioranza e di questo Governo. 
Quindi io nella mia parziale soddisfazione valorizzo il segnale positivo che oggi è venuto dalla rappresentante del Governo, che uno sforzo in questa direzione verrà fatto e io credo che in questo sforzo questo Parlamento potrà dare un contributo importante, perché credo che la filiera istituzionale tutta di questo Paese, dai comuni, passando per le regioni, fino allo Stato Nazionale, sia una filiera istituzionale responsabile all'altezza del problema che abbiamo affrontato e capace di dare in Europa – e vorrei dire anche rispetto al contesto internazionale più generale – un segnale positivo in questo senso. 
Chiudo dicendo che sono convinto che l'auspicio degli interpellanti di una conferenza internazionale per l'Adriatico – io vorrei dire per il Mediterraneo, perché il Mediterraneo è un ecosistema particolare il Mediterraneo è una sorta di grande lago nel quale la responsabilizzazione di tutti i Paesi che sul Mediterraneo affacciano è un elemento decisivo per il governo della questione ambientale e 
Vorrei che il mio Paese e il mio Governo fossero i promotori di questa iniziativa per una conferenza internazionale del Mediterraneo che dia le risposte che le popolazioni del Mediterraneo si attendono. La ringrazio e penso che questa parziale soddisfazione sia destinata a diventare totale nel periodo che abbiamo davanti.