29/06/2016
Paolo Coppola
Bonaccorsi, Carbone, Donati, Lattuca, Basso, Stella Bianchi, Piazzoni, Ermini,Famiglietti, Verini, Tullo, Carloni, Capone, Lauricella, Arlotti, Bruno Bossio, Rotta, Currò, Fiano,Simoni, Beni, Tacconi, Dallai, Raciti, Ascani, Boccadutri, Barbanti, Malpezzi, Pierdomenico Martino,Zardini, Burtone, Borghi, Lodolini, Ginato, Fregolent, Petrini, Giuditta Pini, Cristian Iannuzzi, Rampi,Anzaldi, Cominelli, Catalano, Prina, Cova, Crimì, Bergonzi, Cinzia Maria Fontana
2-01413

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della giustizia, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che: 
il clickbait è una pratica promozionale basata sulla pubblicazione, soprattutto su social network, di contenuti web con titoli sensazionalistici o immagini accattivanti per attirare, talvolta in modo fraudolento, gli utenti sulla propria pagina web o su quella della propria azienda, al fine di aumentare gli accessi e, conseguentemente, gli introiti derivanti da contratti pubblicitari; 
l'utilizzo di questa pratica di marketing, sviluppata e diffusa da parecchio tempo, e in crescita esponenziale nel corso degli ultimi anni, ha costretto anche i gestori di alcuni social network molto noti — ad esempio Facebook nell'agosto 2014 — a rivedere la propria policy e l'algoritmo di funzionamento del proprio sistema, al fine di ridurre l'impatto del clickbait all'interno del portale o sito web; 
tale fenomeno ha trovato ampia diffusioni anche sul sito web di una nota forza politica che, attraverso i social network, ne ha fatto e ne fa ampio uso indirizzando gli utenti dalla pagina ufficiale su Facebook del Movimento 5 stelle verso siti web di proprietà personale come quello di Beppe Grillo, registrato a nome di Emanuele Bottaro, e successivamente indirizzati in maniera sistematica verso siti di proprietà aziendale, tra i quali si possono citare www.tzetze.it, www.la-cosa.it, www.lafucina.it, a loro volta di proprietà della Casaleggio Associati srl; 
la pratica del clickbait — letteralmente «esca da click» proprio per indicare in modo dispregiativo l'utilizzo anche in modo fraudolento di un contenuto web volutamente roboante per attirare il maggior numero possibile di utenti, al solo fine di aumentare le visite a un sito per generare rendite pubblicitarie online — appare oggi molto controversa sia sotto il profilo della tutela del consumatore, che spesso in modo del tutto inconsapevole si ritrova navigando su webbersagliato da contenuti pubblicitari indesiderati; sia sotto il profilo della tutela degli stessi inserzionisti, che potrebbero a loro volta essere involontariamente danneggiati dal fatto che i consumatori, attratti in modo fraudolento su un'immagine pubblicitaria, potrebbero ritenere l'inserzionista, a sua volta potenzialmente inconsapevole, responsabile della frode in atto; 
per le ragioni sopra dette tali pratiche destano, a giudizio degli interpellanti, maggior preoccupazione se poste in essere da appartenenti ad un partito o movimento politico, i cui rappresentanti siedono nelle sedi istituzionali, specie in assenza delle adeguate informazioni sulweb di quanto sta per essere pubblicizzato –: 
quale sia in generale l'orientamento del Governo sulla correttezza e liceità della pratica del cosiddetto clickbait, poste che tali comportamenti possono costituire una moderna forma di pubblicità ingannevole, specie laddove siano coinvolte aziende private come nei casi citati in premessa; 
se non ritenga quante prima necessario adottare iniziative, anche normative, per regolamentare la materia, tutelando gli interessi di trita gli attori coinvolti, e valutando l'opportunità di una limitazione dell'utilizzo da parte di partiti, movimenti o rappresentanti istituzionali, specie in assenza delle opportune informazioni sulla diffusione pubblicitaria in atto; 
quale sia l'orientamento del Governo sull'utilizzazione del clickbait quale forma di finanziamento dei partiti politici e se, allo stato delle conoscenze tecnologiche attuali, sia possibile effettuare una stima del traffico di denaro che l'utilizzo di tale pratica riesce a generare. 
 

Seduta dell'8 luglio 2016

Illustra e replica Paolo Coppola, risponde Teresa Bellanova, Viceministra dello sviluppo economico

Illustrazione

Grazie, Presidente. Il clickbait è una pratica promozionale basata sulla pubblicazione dei contenuti con titoli sensazionalistici allo scopo di attirare gli utenti sulla paginaweb della propria azienda per aumentare gli introiti pubblicitari. Anche l'altro giorno, ad esempio, il sito www.tzetze.it utilizzava in modo strumentale la morte del ragazzo nigeriano di 36 anni che tentava di difendere la sua compagna. Utilizzava, con un titolo generico, una foto di un'ambulanza che non faceva capire di che cosa si parlasse al solo scopo di attirare gli utenti sul proprio sito per guadagnare con la pubblicità. Esistono, comunque, centinaia di esempi in cui si strumentalizza qualunque cosa. Ricordo, per esempio, quello in cui si utilizzava l'anniversario della morte di Falcone, ma ce ne sono molti altri. L'unico obiettivo è quello di fare soldi con la pubblicità online. 
Ora, se è vero, se è chiaro che il danno per l'utente che clicca è praticamente nullo, se non, probabilmente, il fastidio di scoprire di trovarsi di fronte ad una notizia che non era quella che uno si poteva aspettare dalla dal clickbait, però è anche vero che, forse, se ci mettiamo nei panni dell'inserzionista, un danno potrebbe esserci: perché il modello pubblicitario sul web è sostanzialmente diverso dal modello pubblicitario tradizionale, perché il modello pubblicitario sul web si basa su una strategia che tende a minimizzare il fastidio da parte dell'utente e a proporgli solo la pubblicità che si ritiene possa essere di interesse. 
Forse, occorrerebbe un obbligo di informazione: gli inserzionisti sono consapevoli che stanno pagando spazi pubblicitari su siti web in cui gli utenti vengono attirati in modo – tra virgolette – fraudolento ? È possibile che questo crei un ingiusto profitto per il gestore del sito web ? 
Questa tecnica è largamente usata dai siti legati al MoVimento 5 Stelle e sicuramente contribuisce agli introiti della Casaleggio Associati. Munafò e Piana, su un articolo del 28 giugno apparso su espresso.repubblica.it, stimavano un introito pubblicitario che varia dai 500 mila euro al milione e mezzo di euro all'anno e, quindi – sempre secondo l'articolo di Munafò e Piana – sarebbe un introito pubblicitario che oscillerebbe da un terzo a quasi la totalità dei ricavi della Casaleggio Associati. In qualche modo sembrerebbe, o potrebbe qualcuno pensare, che la Casaleggio Associati sfrutti i simpatizzanti del MoVimento 5 Stelle per fare soldi: una sorta di moderno campare di politica. 
Quindi, noi chiediamo al Governo: è possibile che questa tecnica – la tecnica del clickbait -costituisca una moderna forma di pubblicità ingannevole ? Occorre, forse, regolamentare la materia e considerare l'opportunità di limitarne l'uso da parte di movimenti e partiti ? È possibile permettere di usare il clickbait come metodo di finanziamento ai partiti ? 
Concludo. Personalmente, non riesco a ricondurre la pratica del clickbait ad un'attività al servizio dei cittadini: chi la implementa sceglie di usare i propri utenti, non servirli. E questa ambiguità, io credo, va denunciata e stigmatizzata.

Risposta del governo

La problematica sollevata dagli interpellanti afferisce al cosiddetto clickbait o clickbaiting, letteralmente «esca da click», termine dispregiativo che indica un contenuto web la cui finalità è quella di attirare il maggior numero di internauti avendo come scopo principale quello di aumentare le visite a un sito per generare rendite pubblicitarie on line. Generalmente, il clickbait si avvale di titoli accattivanti e sensazionalistici che incitano a cliccare link di carattere truffaldino, facendo leva sull'aspetto emozionale di chi vi accede. Il suo obiettivo è quello di attirare chi apre questi link per incoraggiarli a condividerne il contenuto sui social network aumentandone, quindi, in maniera esponenziale i proventi pubblicitari. È frequente da parte di molti siti fare pseudo-informazione, narrando taluni fatti in maniera strumentale, distorcendone la realtà. A contrastare questo fenomeno vi sono siti di debunking dove ciò che è riportato in questi link viene smentito evidenziandone la mancanza di fonti informative affidabili. Ne consegue, dunque, che si è di fronte ad una pratica commerciale che sta sempre più prendendo piede. Le istituzioni preposte ad accertare la regolarità di tale forma di comunicazione pubblicitaria e titolari dei relativi poteri regolamentari e sanzionatori sono, in virtù dell'articolo 27 del citato Codice del consumo, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, AGCM o Antitrust, unitamente all'autorità vigilante del settore delle comunicazioni elettroniche, ossia l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. 
Per quanto di competenza del Ministero della giustizia, lo stesso evidenzia quanto segue. Ilclickbaiting non può essere considerato una forma di pubblicità ingannevole. Il decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 145, recante l'attuazione dell'articolo 14 della direttiva 2005/29/CE, che modifica la direttiva 84/450/CEE sulla pubblicità ingannevole, all'articolo 2, comma 1, lettera b), definisce pubblicità ingannevole «qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione, è idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che a causa del suo carattere ingannevole possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che per questo motivo sia idonea a ledere un concorrente». Si ha pubblicità ingannevole quando il contenuto del messaggio pubblicitario non è veritiero. Nel caso del clickbait non è in discussione il contenuto del messaggio pubblicitario, ma il metodo di diffusione della pubblicità, il quale appare discutibile sotto il profilo dell'ingannevolezza. Peraltro, il Garante per la protezione dei dati personali ha comunicato di non aver ricevuto fino ad oggi alcuna segnalazione o reclamo da parte di interessati relativi al fenomeno rappresentato. Sempre secondo il parere del Ministero della giustizia, astrattamente la pratica del clickbaiting potrebbe dare luogo a situazioni di concorrenza sleale tra imprese pubblicitarie in quanto il particolare meccanismo che obbliga l'utente a visionare il sito con contenuti pubblicitari diffusi da un'impresa potrebbe sostanziare l'ipotesi descritta nell'articolo 2598, numero 3), del codice civile consistente nell'utilizzo diretto o indiretto di qualsiasi mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda. Peraltro, solo le imprese che si ritenessero lese da condotte di concorrenza sleale potrebbero proporre un'azione giudiziaria tesa ad accertarne la sussistenza. 
Quanto alla tutela del consumatore, non sembra possibile riferire al particolare metodo definitoclickbaiting le tutele previste dal decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, recante il Codice del consumo, a norma dell'articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229. Tuttavia, l'articolo 2, comma 2, del predetto Codice del consumo, nel prevedere che ai consumatori e agli utenti è riconosciuto come fondamentale il diritto ad un'adeguata informazione e ad una corretta pubblicità, potrebbe costituire la base per azioni collettive di quanti si ritenessero danneggiati dal clickbaiting.
Tutto ciò in base alla previsione dell'articolo 140-bis, comma 2, lettera c), del Codice del consumo, come integrato dal decreto-legge n. 1 del 2012 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, secondo cui possono intraprendere azioni di classe quanti ritengono di aver diritto a ristoro del pregiudizio derivato da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali. 
Da ultimo, al momento non si è dato avvio a iniziative legislative che abbiano ad oggetto la regolamentazione e la limitazione della pratica del clickbait. Tuttavia, sarà cura del Governo monitorare il fenomeno in parola e rendere note eventuali proposte normative in merito.

Replica

Grazie, sono soddisfatto e prendo atto che non è possibile configurare ciò come pubblicità ingannevole. Però il problema considerato è un problema che va studiato e approfondito. Sottolineo che forse è vero che non servono ulteriori norme e forse questo lo deciderà il Governo. Mi sembra evidente, dalla relazione della Viceministra, che la pratica è inaccettabile, è deprecabile e non c’è alcun motivo eticamente accettabile che venga utilizzata. L'unico motivo risiede nella volontà di aumentare i propri introiti a spese dei cittadini. Magari una spesa minuscola, nel senso del tempo di fare un click, ma sicuramente eticamente non accettabile.