26/08/2014
Ermete Realacci
3-01002

Per sapere – premesso che:
l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale è legato non solo alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
l'agricoltura italiana, con un totale di circa 820 mila aziende, rappresenta circa il 15 per cento del totale delle imprese attive italiane;
il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti;
in questo contesto, la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno, con oltre 26.000 allevamenti diffusi in tutta Italia;
la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti ed offre occupazione, lungo l'intera filiera, a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila nel solo comparto dell'allevamento;
dai dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS) risulta che l'Italia, nel 2012, ha importato complessivamente oltre 1 milione di tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania;
articoli recentemente apparsi sulla stampa europea hanno rivelato che l'industria tedesca della carne suina è a basso costo ed apparentemente efficiente, in quanto, alla base del modello produttivo, ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici, con gravi rischi per l'ambiente e per la salute dei consumatori;
molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiane;
la circolazione di alimenti ingannevoli rispetto all'origine costituisce una vera e propria aggressione ed arreca danno al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari, la contraffazione e la pirateria garantisce la solidità delle imprese agricole italiane e tutela l'immagine ed il valore del made in Italy;
il Codice del consumo e la disciplina comunitaria in materia, attribuiscono ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute; alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti; ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera; all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; all'educazione al consumo; alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali;
va assicurata una adeguata azione di prevenzione e di contrasto contro l'usurpazione del made in Italy, ed il mercato interno deve essere garante della qualità, della salubrità, delle caratteristiche e dell'origine dei prodotti alimentari italiani, in quanto elementi funzionali a garantire la salute ed il benessere dei consumatori ed il diritto ad una alimentazione sana, corretta e fondata su scelte di acquisto e di consumo consapevoli;
l'articolo 26, comma 2, lettera b) del regolamento CE 25 ottobre 2011, n.1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, impone come obbligatoria l'indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza per una serie di prodotti, tra cui le carni di animali della specie suina, fresche, refrigerate o congelate, fissando alla Commissione il termine del 13 dicembre 2013 per adottare le disposizioni di attuazione dell'obbligo;
l'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n.9, Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, introduce un sistema finalizzato a rendere accessibili agli organi di controllo ed alle Amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine degli oli di oliva vergini, anche attraverso collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche –:
quali azioni i Ministri interrogati intendano promuovere, a tutela del vero made in Italy, al fine di prevenire, nello specifico settore del commercio con l'estero nel settore delle carni suine, pratiche fraudolente o ingannevoli, poste in essere ai danni delle imprese nazionali ed al fine di contrastare ogni altro tipo di attività che possa indurre in errore i consumatori;
quali azioni i Ministri interrogati intendano adottare per garantire la più ampia trasparenza delle informazioni relative ai prodotti alimentari ed ai relativi processi produttivi, l'effettiva rintracciabilità degli alimenti nazionali e promuovere il rispetto nelle sedi comunitarie, del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal regolamento n. 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza con riferimento alle carne suine;
cosa intendano fare i Ministri interrogati per assicurare, nelle more dell'approvazione dei suddetti provvedimenti comunitari, una corretta informazione degli organi di controllo e dei consumatori;
quali azioni i Ministri interrogati intendano adottare al fine di assicurare l'applicazione, da parte delle competenti autorità di controllo, della definizione dell'effettiva origine degli alimenti, sulla base di quanto disposto dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis della legge 24 dicembre 2003, n. 350 sulla tutela del made in Italy;
se i Ministri interrogati non intendano assicurare l'adozione, anche per le carni suine, di un sistema analogo a quello previsto per la filiera degli oli di oliva vergini, per garantire la completa accessibilità delle informazioni sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine delle carni suine, eventualmente prevedendo la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche.

 

Seduta del 5 settembre 2014

Risposta del Viceministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, Andrea Olivero, replica di Ermete Realacci

Risposta: Signor Presidente, onorevoli deputati, le interrogazioni di cui si chiede conto recano analoghi quesiti sull'indicazione del Paese di origine o provenienza dei prodotti agroalimentari; ho ritenuto pertanto conveniente fornire al riguardo una risposta congiunta. 
La conoscenza del Paese di origine o del luogo di provenienza di un prodotto agroalimentare rappresenta un requisito imprescindibile per l'orientamento all'acquisto dei consumatori, a garanzia del diritto all'informazione e della possibilità di compiere scelte consapevoli. 
In aggiunta, soprattutto per il nostro Paese, si pone come fattore strategico per la tutela della nostra eccellenza produttiva, alla luce di una diffusa pratica contraffattiva e imitativa, che rappresenta un danno noto e ingente al potenziale economico, culturale e sociale del settore agroalimentare. 
Tenendo ben presenti tali considerazioni, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha sempre fortemente sostenuto, in sede europea, l'indicazione obbligatoria del Paese d'origine o del luogo di provenienza dei prodotti, concertando la posizione negoziale con il Dicastero della salute, al fine di difendere l'identità, la competitività della produzione italiana sui mercati internazionali ed esteri e il diritto dei consumatori alla trasparenza delle informazioni sulla tracciabilità. 
Infatti, anche grazie all'impegno e al sostegno del nostro Paese, il 13 dicembre 2013 è stato emanato il regolamento di esecuzione della Commissione n. 1337 del 2013 che, oltre a stabilire i criteri di etichettatura per gli operatori del settore alimentare delle carni fresche, refrigerate o congelate di suino, ovino, caprino e di volatili, destinate alla commercializzazione, introduce la prescrizione relativa all'indicazione del Paese d'origine o luogo di provenienza ove gli animali sono stati allevati e macellati. 
In seguito, il Parlamento europeo, con risoluzione del 6 febbraio 2014, ha invitato la Commissione a ritirare il predetto regolamento di esecuzione e a redigerne una versione riveduta che preveda l'indicazione obbligatoria, sull'etichetta, del luogo di nascita nonché dei luoghi di allevamento e di macellazione dell'animale per le carni non trasformate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili, in conformità della legislazione vigente in materia di etichettatura di origine delle carni bovine. 
In ogni caso, la modifica al quadro normativo europeo di riferimento rappresenta un eccellente risultato per i consumatori, cui garantisce una maggiore conoscibilità dei prodotti attraverso le informazioni in etichetta, ma anche un importante passo avanti in favore delle più efficaci azioni che possono essere attuate a tutela del made in Italy. 
Invero, le variazioni apportate al testo originario proposto dalla Commissione (tra le quali il raddoppio del periodo minimo di allevamento per poter indicare in etichetta il Paese di allevamento dell'animale) hanno consentito di fare maggiore chiarezza sulle procedure da seguire per l'apposizione delle diciture in etichetta (anche per la carne suina, nelle varie fasi di commercializzazione) e di fornire al consumatore valide informazioni circa la realtà produttiva. 
Il predetto regolamento di esecuzione (che si applicherà dal 1o aprile 2015), oltre a concedere di integrare, su base volontaria e nel rispetto degli articoli 36 e 37 del regolamento n. 1169 del 2011, le informazioni sull'origine con ulteriori informazioni relative alla provenienza della carne (tra cui, un livello geografico più dettagliato), consente di utilizzare il termine «origine» solo nel caso di animali nati, allevati e macellati nello stesso Paese e dispone che l'indicazione del luogo di provenienza delle carni avvenga nel seguente modo: per tutte le specie l'indicazione «origine Italia» può essere utilizzata solo se l'animale è nato, allevato e macellato in Italia. 
Per gli ovini e i caprini: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale ha trascorso almeno gli ultimi 6 mesi in Italia ovvero viene macellato sotto i 6 mesi ed ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia. 
Per il pollame: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale ha trascorso almeno l'ultimo mese in Italia, ovvero viene macellato sotto un mese di età ed ha trascorso l'intero periodo di ingrasso in Italia. 
Per i suini: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale viene macellato sopra i 6 mesi ed ha trascorso almeno gli ultimi 4 mesi in Italia; se è entrato in Italia ad un peso inferiore ai 30 kg e macellato ad un peso superiore ai 80 kg e, infine, se l'animale viene macellato ad un peso inferiore agli 80 kg ed ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia. 
È bene tuttavia ricordare che, a livello nazionale, oltre il 70 per cento dell'intera produzione suinicola italiana già produce carne nel rispetto delle disposizioni dei disciplinari delle denominazioni di origine protetta (DOP) e delle indicazioni geografiche protette (IGP). 
In particolare, i disciplinari dei prodotti della salumeria DOP e IGP italiani, approvati a livello europeo, impongono che i suini appartengano a determinate razze appositamente selezionate, vengano allevati in condizioni di benessere e secondo un programma alimentare studiato per le diverse fasi di allevamento. Peraltro, gli allevatori e i macelli aderenti ai circuiti delle produzioni DOP ed IGP sono controllati da istituti, pubblici o privati, designati dal Ministero, che monitorano la certificazione dei capi suini destinati alla trasformazione in prodotti DOP e IGP, le movimentazioni degli animali verso altri allevamenti e/o macelli, nonché le fasi di macellazione, trasformazione ed eventuale confezionamento. 
Peraltro, il circuito di questi prodotti di qualità include un insieme di operatori iscritti ad un sistema organizzato e controllato della produzione. In pratica, la provenienza della materia prima utilizzata viene tracciata seguendo il seguente percorso: allevamento in cui è nato il suino; allevamento che lo ha avviato al macello; macello; laboratorio di sezionamento e trasformazione. 
Nel dettaglio, l'allevamento di nascita appone sulla coscia dell'animale (entro il trentesimo giorno di vita) un timbro indelebile (tatuaggio) recante il proprio codice e il mese di nascita dell'animale. Successivamente, l'allevamento da cui i suini partono per il macello certifica, tramite la certificazione unificata di conformità (CUC), gli animali della partita avviata alla macellazione, indicando i tatuaggi relativi all'allevamento di nascita dei suini, della partita, nonché il tipo genetico prevalente. Detta certificazione è accompagnata da eventuali certificati relativi agli spostamenti dei suini in allevamenti diversi da quello di nascita. 
Il macello, tramite timbro indelebile impresso sulla cotenna, appone poi il proprio codice di identificazione su ogni coscia, dopo aver accertato i requisiti previsti dal disciplinare di produzione. Lo stagionatore, infine, identifica e registra l'inizio del processo di stagionatura. Nel caso dei prosciutti DOP di Parma e di San Daniele viene apposto sulle cosce un sigillo metallico prenumerato. 
Peraltro, presso gli stabilimenti di macellazione e lavorazione delle carni suine vengono garantiti i controlli ufficiali dei servizi veterinari delle ASL che, nella verifica dell'applicazione dei regolamenti europei afferenti al Pacchetto igiene (regolamenti n. 178 del 2002 e nn. 852, 853, 854 e 882 del 2004), esaminano anche gli aspetti relativi alla rintracciabilità dei prodotti, così come disposto dall'articolo 18 del regolamento n. 178 del 2002. 
In ogni caso, è certo che la sicurezza e la qualità degli alimenti possono essere maggiormente garantite attraverso un elevato livello di collaborazione e coordinamento tra le diverse amministrazioni. Tale principio è ben consolidato e su di esso si fonda la normativa europea vigente in materia. In particolare, il regolamento n. 882 del 2004 prevede che ciascun Paese membro predisponga un piano di controllo nazionale che assicuri un approccio multidisciplinare per la pianificazione, lo svolgimento e la rendicontazione dei controlli ufficiali. 
A tal fine, il Ministero della salute è il punto di raccordo nazionale per il piano nazionale integrato, che nasce dall'intensa e proficua collaborazione con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, il Ministero dell'ambiente, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, i nuclei del comando dei Carabinieri (NAS, NAC e NOE), le Capitanerie di porto, il Corpo forestale dello Stato e la Guardia di finanza. Sia il piano nazionale integrato 2011-2014 che le relazioni annuali (ove sono raccolti i dati delle attività svolte dalle citate amministrazioni), sono pubblicati sul portale del Ministero della salute. 
Ricordo, inoltre, che l'articolo 8, comma 4, del decreto-legge 18 giugno 1986, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 462 del 1986 stabilisce che presso il Ministero della sanità è istituito l'elenco pubblico delle ditte commerciali e dei produttori che abbiano riportato condanne con sentenza passata in giudicato per reati di frode e di sofisticazione alimentare. Il Ministro della sanità ne cura annualmente la pubblicazione, con riferimento alle condanne intervenute nell'anno precedente, nella Gazzetta Ufficiale e in almeno due quotidiani a diffusione nazionale. 
A tal riguardo, mi preme sottolineare l'intensa attività di controllo espletata dal Corpo forestale dello Stato sul territorio nazionale, finalizzata al contrasto del fenomeno del falso made in Italy e del cosiddetto italian sounding, ossia l'utilizzo fuorviante, sull'imballaggio dei prodotti agroalimentari, di etichette o simboli che esaltino l'italianità dei luoghi d'origine della materia prima, della ricetta e del marchio. L'obiettivo è quello di rendere conoscibili le filiere e la tracciabilità degli alimenti per il consumatore, basandosi sulla considerazione che i valori alimentari, territoriali, ambientali, culturali e di agro-biodiversità rappresentano un bene collettivo dell'Italia come anche dell'Unione europea da individuare, pubblicizzare, valorizzare e difendere in modo differente e specifico rispetto agli altri settori manifatturieri, in ragione che l'alimento riguarda i valori di tutela per l'uomo. 
Nel corso del 2013, in particolare, il Corpo forestale dello Stato ha posto in essere un'attività sanzionatoria contro il falsomade in Italy a tutela sia dei consumatori, che dei produttori onesti, penalizzati da una concorrenza sleale nel libero scambio delle proprie merci all'interno dall'Unione. I controlli eseguiti, oltre a costituire un efficace monitoraggio del made in Italy agroalimentare, hanno consentito il sequestro di circa 600 tonnellate di prodotti e la comunicazione di oltre 170 notizie di reato alla procura della Repubblica italiana, assicurando la repressione di tutte quelle condotte penalmente rilevanti che si siano poste in evidente contrasto con il leale svolgimento degli scambi commerciali e con la trasparenza informativa nei riguardi del consumatore. 
Vorrei poi ricordare che la recente legge 11 agosto 2014, n. 116, che ha convertito in legge il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, nell'intento di fornire, tra l'altro, maggiore tutela all'identità territoriale dei prodotti alimentari, all'articolo 3 – che ha appunto il significativo titolo di «Interventi per il sostegno del made in Italy» – prevede che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali svolga una consultazione pubblica tra i consumatori per valutare in quale misura, nelle informazioni relative ai prodotti alimentari, venga percepita come significativa l'indicazione relativa al luogo di origine o di provenienza dei prodotti alimentari e della materia prima agricola utilizzata nella preparazione o nella produzione degli stessi e quando l'omissione delle medesime indicazioni sia ritenuta ingannevole. I risultati delle consultazioni effettuate saranno resi pubblici e trasmessi alla Commissione europea. 
Al riguardo, evidenzio l'esigenza di fare distinzione tra i concetti di «provenienza» e di «origine» dei prodotti agroalimentari, nonché la necessità di garantire la trasparenza informativa in merito all'effettiva origine delle materie prime agricole prevalenti impiegate nella fabbricazione dei prodotti stessi, in linea, del resto, con quanto previsto dall'articolo 39 del Regolamento n. 1169 del 2011. La conoscenza dell'origine degli alimenti, infatti, rappresenta un fattore di cruciale importanza sia ai fini della prevenzione delle frodi sia, soprattutto, ai fini della protezione dei consumatori lato sensu, poiché il criterio attualmente adottato dal Codice doganale comunitario per la definizione di «origine» (ossia quello del Paese in cui è avvenuta l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale) lascia, di fatto, un ampio margine di indeterminatezza e, quindi, non ci lascia tranquilli.

Replica: Signor Presidente, grazie Viceministro Olivero per l'articolata risposta: il cuore è nelle ultime tre righe, dove dichiara l'insufficienza delle attuali normative per fronteggiare il tema che abbiamo sollevato. Ecco, il fatto stesso che questo tema sia stato sollevato da varie interrogazioni, non solo da parte del Partito Democratico con i colleghi Cova e Mongiello, ma anche da parte della collega Terzoni, significa che c’è una grande sensibilità, nei cittadini, nelle organizzazioni agricole a cominciare dalla Coldiretti; e che c’è un problema: il problema è risolto appunto nelle ultime tre righe, e cioè tutte le garanzie che noi abbiamo oggi non riguardano i prodotti trasformati. 

Giustamente la collega Mongiello ricordava che è un problema analogo a quello dell'olio, che abbiamo affrontato con la legge: si tratta di garantire che anche per i prodotti trasformati si faccia capire ai consumatori qual è l'origine di quel prodotto; il che significa tante cose: qualità organolettica, sicurezza. Per esempio sono uscite molte indagini su come vengono allevati i maiali in altri Paesi europei, inclusa la Germania, che non ci fanno stare tranquilli. 

Ma la trasparenza è la maniera migliore per affrontare questo tema e lei giustamente ricordava che c’è in questo senso anche una procedura che è stata avviata dal disegno di legge n. 91 in materia e noi chiediamo al Ministro di chiuderla rapidamente e di trarne delle conclusioni. Infatti, il tema che stiamo affrontando è più generale della specifica questione da noi sollevata, che riguarda le carni suine e riguarda tutta l'agricoltura, ma riguarda in realtà l'economia italiana. 
Nella crisi, noi dobbiamo capire qual è la strada per questo Paese e ci sono riforme che costano e altre riforme che non costano in termini monetari, ma certo impegnano anche a lavorare contro gli interessi consolidati, contro pigrizie consolidate anche annidate nelle istituzioni. Alcune di queste riforme riguardano proprio la difesa e la tutela del made in Italy. 
Quando parliamo dell’italian sounding vediamo una realtà che ha due aspetti: uno negativo e uno positivo. Quello negativo – lo ricordava la collega Mongiello – attiene ai 60 miliardi di euro di prodotti che non hanno visto l'Italia neanche in cartolina, che sono fuori dai disciplinari dei grandi marchi che sono più tutelati e rappresenta ovviamente un pericolo per la nostra economia e un potenziale. Ma c’è anche una cosa positiva nell’italian sounding; la cosa positiva è che c’è una domanda d'Italia nel mondo che è legata alla qualità, non solo agroalimentare: l'agroalimentare, come sappiamo, l'anno scorso ha aumentato l’export del 6 per cento e l’export del vino è aumentato del 7,7 per cento ed è aumentato nel segno della qualità: meno quantità e più qualità. Lei è piemontese e sa bene che noi oggi produciamo il 50 per cento in meno di vino di quello che producevamo all'epoca del metanolo, ma che il nostro vino oggi vale sette o otto volte di più di quello che valeva all'epoca e ha conquistato i mercati del mondo per questo motivo. 
Ma quello che diciamo sui prodotti agroalimentari vale in realtà anche per tutti i prodotti italiani: vale per il made in Italy, vale per la pelletteria, vale per la moda, vale per i prodotti del nostro Paese in cui la difesa del made in Italy è una forma di penetrazione commerciale. 
Aggiungo che questa nel nostro Paese incrocia anche un cambiamento di sensibilità dei consumatori. Molte indagini dimostrano che nella crisi si punta a privilegiare la qualità sulla quantità, sopratutto nel settore delle carni. Molti più cittadini – e non è un male – puntano più a consumare meno carne, ma a consumarla di qualità migliore. Ebbene, a questi cittadini e a questa idea d'Italia bisogna dare una risposta e qui – lo dico con franchezza, Ministro – questo può implicare anche qualche atto un po’ «muscolare», un po’ sopra tono magari, – ma gli altri Paesi lo fanno –, nella difesa dei nostri interessi. Infatti, se l'interesse dell'Italia è difendere un'Italia che fa l'Italia, che scommette sulla qualità, sul rapporto con il territorio, sulla qualità anche nella maniera di produrre, bene insomma facciamola qualche forzatura, spingiamo anche qualche settore del suo Ministero ad essere più «muscolare» nel difendere anche i prodotti trasformati e non soltanto quello che l'Europa ci dice e utilizziamo la crisi per cambiare e per difendere l'idea di un Paese ambizioso che collega tradizione con innovazione e scommette sul futuro perché non perde la propria anima.