07/08/2014
Paolo Cova
Braga, Cominelli, Tentori, Monaco, Taricco, Montroni, Malpezzi, Richetti, Casati, Gasparini,Cimbro, Mauri, Fiano, Ferrari, Preziosi, Rampi, Cinzia Fontana, Guerra, Lorenzo Guerini,Berlinghieri, Crivellari.
3-00999

Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che: 
l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo; 
il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale; 
il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica; 
il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale; 
in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia; 
gli allevamenti italiani di suini, presenti prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna, sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno; 
la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti e offre occupazione, lungo l'intera filiera, a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila nel solo comparto dell'allevamento; 
sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia, nel 2012, ha importato complessivamente 1.020.425 tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania, pari a 535.309 tonnellate; 
l'usurpazione del made in Italy minaccia la solidità e provoca gravi danni alle imprese agricole insediate sul territorio, violando il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa; 
il Codice del consumo, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute; alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti; ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera; all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; all'educazione al consumo; alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali; la libera circolazione di alimenti sicuri e sani è un aspetto fondamentale del mercato interno, ma, sempre più spesso, la salute dei consumatori e la corretta e sana alimentazione appaiono compromesse da cibi anonimi, con scarse qualità nutrizionali, o addizionati e di origine per lo più sconosciuta; 
la disciplina a tutela dei prodotti di origine italiani introduce norme specifiche per contrastare la contraffazione ed evitare qualunque fraintendimento nell'indagine di provenienza falsa e fallace; 
la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una produzione italiana che non possiedono costituisce un vero e proprio danno al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale –: 
quali interventi intenda conferire alle Autorità di controllo e, in particolare, al Corpo forestale dello Stato, per applicare la definizione precisa dell'effettiva origine degli alimenti, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis della legge 24 dicembre 2003, n. 350 sulla tutela del made in Italy; 
quali azioni il Ministro intenda adottare al fine di assicurare il rispetto, da parte della Commissione europea, del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal Regolamento 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza con riferimento alle carne suine.

Seduta del 5 settembre 2014

Risposta del Viceministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, Andrea Olivero, replica di Paolo Cova

Risposta: Signor Presidente, onorevoli deputati, le interrogazioni di cui si chiede conto recano analoghi quesiti sull'indicazione del Paese di origine o provenienza dei prodotti agroalimentari; ho ritenuto pertanto conveniente fornire al riguardo una risposta congiunta. 
La conoscenza del Paese di origine o del luogo di provenienza di un prodotto agroalimentare rappresenta un requisito imprescindibile per l'orientamento all'acquisto dei consumatori, a garanzia del diritto all'informazione e della possibilità di compiere scelte consapevoli. 
In aggiunta, soprattutto per il nostro Paese, si pone come fattore strategico per la tutela della nostra eccellenza produttiva, alla luce di una diffusa pratica contraffattiva e imitativa, che rappresenta un danno noto e ingente al potenziale economico, culturale e sociale del settore agroalimentare. 
Tenendo ben presenti tali considerazioni, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha sempre fortemente sostenuto, in sede europea, l'indicazione obbligatoria del Paese d'origine o del luogo di provenienza dei prodotti, concertando la posizione negoziale con il Dicastero della salute, al fine di difendere l'identità, la competitività della produzione italiana sui mercati internazionali ed esteri e il diritto dei consumatori alla trasparenza delle informazioni sulla tracciabilità. 
Infatti, anche grazie all'impegno e al sostegno del nostro Paese, il 13 dicembre 2013 è stato emanato il regolamento di esecuzione della Commissione n. 1337 del 2013 che, oltre a stabilire i criteri di etichettatura per gli operatori del settore alimentare delle carni fresche, refrigerate o congelate di suino, ovino, caprino e di volatili, destinate alla commercializzazione, introduce la prescrizione relativa all'indicazione del Paese d'origine o luogo di provenienza ove gli animali sono stati allevati e macellati. 
In seguito, il Parlamento europeo, con risoluzione del 6 febbraio 2014, ha invitato la Commissione a ritirare il predetto regolamento di esecuzione e a redigerne una versione riveduta che preveda l'indicazione obbligatoria, sull'etichetta, del luogo di nascita nonché dei luoghi di allevamento e di macellazione dell'animale per le carni non trasformate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili, in conformità della legislazione vigente in materia di etichettatura di origine delle carni bovine. 
In ogni caso, la modifica al quadro normativo europeo di riferimento rappresenta un eccellente risultato per i consumatori, cui garantisce una maggiore conoscibilità dei prodotti attraverso le informazioni in etichetta, ma anche un importante passo avanti in favore delle più efficaci azioni che possono essere attuate a tutela del made in Italy. 
Invero, le variazioni apportate al testo originario proposto dalla Commissione (tra le quali il raddoppio del periodo minimo di allevamento per poter indicare in etichetta il Paese di allevamento dell'animale) hanno consentito di fare maggiore chiarezza sulle procedure da seguire per l'apposizione delle diciture in etichetta (anche per la carne suina, nelle varie fasi di commercializzazione) e di fornire al consumatore valide informazioni circa la realtà produttiva. 
Il predetto regolamento di esecuzione (che si applicherà dal 1o aprile 2015), oltre a concedere di integrare, su base volontaria e nel rispetto degli articoli 36 e 37 del regolamento n. 1169 del 2011, le informazioni sull'origine con ulteriori informazioni relative alla provenienza della carne (tra cui, un livello geografico più dettagliato), consente di utilizzare il termine «origine» solo nel caso di animali nati, allevati e macellati nello stesso Paese e dispone che l'indicazione del luogo di provenienza delle carni avvenga nel seguente modo: per tutte le specie l'indicazione «origine Italia» può essere utilizzata solo se l'animale è nato, allevato e macellato in Italia. 
Per gli ovini e i caprini: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale ha trascorso almeno gli ultimi 6 mesi in Italia ovvero viene macellato sotto i 6 mesi ed ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia. 
Per il pollame: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale ha trascorso almeno l'ultimo mese in Italia, ovvero viene macellato sotto un mese di età ed ha trascorso l'intero periodo di ingrasso in Italia. 
Per i suini: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale viene macellato sopra i 6 mesi ed ha trascorso almeno gli ultimi 4 mesi in Italia; se è entrato in Italia ad un peso inferiore ai 30 kg e macellato ad un peso superiore ai 80 kg e, infine, se l'animale viene macellato ad un peso inferiore agli 80 kg ed ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia. 
È bene tuttavia ricordare che, a livello nazionale, oltre il 70 per cento dell'intera produzione suinicola italiana già produce carne nel rispetto delle disposizioni dei disciplinari delle denominazioni di origine protetta (DOP) e delle indicazioni geografiche protette (IGP). 
In particolare, i disciplinari dei prodotti della salumeria DOP e IGP italiani, approvati a livello europeo, impongono che i suini appartengano a determinate razze appositamente selezionate, vengano allevati in condizioni di benessere e secondo un programma alimentare studiato per le diverse fasi di allevamento. Peraltro, gli allevatori e i macelli aderenti ai circuiti delle produzioni DOP ed IGP sono controllati da istituti, pubblici o privati, designati dal Ministero, che monitorano la certificazione dei capi suini destinati alla trasformazione in prodotti DOP e IGP, le movimentazioni degli animali verso altri allevamenti e/o macelli, nonché le fasi di macellazione, trasformazione ed eventuale confezionamento. 
Peraltro, il circuito di questi prodotti di qualità include un insieme di operatori iscritti ad un sistema organizzato e controllato della produzione. In pratica, la provenienza della materia prima utilizzata viene tracciata seguendo il seguente percorso: allevamento in cui è nato il suino; allevamento che lo ha avviato al macello; macello; laboratorio di sezionamento e trasformazione. 
Nel dettaglio, l'allevamento di nascita appone sulla coscia dell'animale (entro il trentesimo giorno di vita) un timbro indelebile (tatuaggio) recante il proprio codice e il mese di nascita dell'animale. Successivamente, l'allevamento da cui i suini partono per il macello certifica, tramite la certificazione unificata di conformità (CUC), gli animali della partita avviata alla macellazione, indicando i tatuaggi relativi all'allevamento di nascita dei suini, della partita, nonché il tipo genetico prevalente. Detta certificazione è accompagnata da eventuali certificati relativi agli spostamenti dei suini in allevamenti diversi da quello di nascita. 
Il macello, tramite timbro indelebile impresso sulla cotenna, appone poi il proprio codice di identificazione su ogni coscia, dopo aver accertato i requisiti previsti dal disciplinare di produzione. Lo stagionatore, infine, identifica e registra l'inizio del processo di stagionatura. Nel caso dei prosciutti DOP di Parma e di San Daniele viene apposto sulle cosce un sigillo metallico prenumerato. 
Peraltro, presso gli stabilimenti di macellazione e lavorazione delle carni suine vengono garantiti i controlli ufficiali dei servizi veterinari delle ASL che, nella verifica dell'applicazione dei regolamenti europei afferenti al Pacchetto igiene (regolamenti n. 178 del 2002 e nn. 852, 853, 854 e 882 del 2004), esaminano anche gli aspetti relativi alla rintracciabilità dei prodotti, così come disposto dall'articolo 18 del regolamento n. 178 del 2002. 
In ogni caso, è certo che la sicurezza e la qualità degli alimenti possono essere maggiormente garantite attraverso un elevato livello di collaborazione e coordinamento tra le diverse amministrazioni. Tale principio è ben consolidato e su di esso si fonda la normativa europea vigente in materia. In particolare, il regolamento n. 882 del 2004 prevede che ciascun Paese membro predisponga un piano di controllo nazionale che assicuri un approccio multidisciplinare per la pianificazione, lo svolgimento e la rendicontazione dei controlli ufficiali. 
A tal fine, il Ministero della salute è il punto di raccordo nazionale per il piano nazionale integrato, che nasce dall'intensa e proficua collaborazione con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, il Ministero dell'ambiente, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, i nuclei del comando dei Carabinieri (NAS, NAC e NOE), le Capitanerie di porto, il Corpo forestale dello Stato e la Guardia di finanza. Sia il piano nazionale integrato 2011-2014 che le relazioni annuali (ove sono raccolti i dati delle attività svolte dalle citate amministrazioni), sono pubblicati sul portale del Ministero della salute. 
Ricordo, inoltre, che l'articolo 8, comma 4, del decreto-legge 18 giugno 1986, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 462 del 1986 stabilisce che presso il Ministero della sanità è istituito l'elenco pubblico delle ditte commerciali e dei produttori che abbiano riportato condanne con sentenza passata in giudicato per reati di frode e di sofisticazione alimentare. Il Ministro della sanità ne cura annualmente la pubblicazione, con riferimento alle condanne intervenute nell'anno precedente, nella Gazzetta Ufficiale e in almeno due quotidiani a diffusione nazionale. 
A tal riguardo, mi preme sottolineare l'intensa attività di controllo espletata dal Corpo forestale dello Stato sul territorio nazionale, finalizzata al contrasto del fenomeno del falso made in Italy e del cosiddetto italian sounding, ossia l'utilizzo fuorviante, sull'imballaggio dei prodotti agroalimentari, di etichette o simboli che esaltino l'italianità dei luoghi d'origine della materia prima, della ricetta e del marchio. L'obiettivo è quello di rendere conoscibili le filiere e la tracciabilità degli alimenti per il consumatore, basandosi sulla considerazione che i valori alimentari, territoriali, ambientali, culturali e di agro-biodiversità rappresentano un bene collettivo dell'Italia come anche dell'Unione europea da individuare, pubblicizzare, valorizzare e difendere in modo differente e specifico rispetto agli altri settori manifatturieri, in ragione che l'alimento riguarda i valori di tutela per l'uomo. 
Nel corso del 2013, in particolare, il Corpo forestale dello Stato ha posto in essere un'attività sanzionatoria contro il falsomade in Italy a tutela sia dei consumatori, che dei produttori onesti, penalizzati da una concorrenza sleale nel libero scambio delle proprie merci all'interno dall'Unione. I controlli eseguiti, oltre a costituire un efficace monitoraggio del made in Italy agroalimentare, hanno consentito il sequestro di circa 600 tonnellate di prodotti e la comunicazione di oltre 170 notizie di reato alla procura della Repubblica italiana, assicurando la repressione di tutte quelle condotte penalmente rilevanti che si siano poste in evidente contrasto con il leale svolgimento degli scambi commerciali e con la trasparenza informativa nei riguardi del consumatore. 
Vorrei poi ricordare che la recente legge 11 agosto 2014, n. 116, che ha convertito in legge il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, nell'intento di fornire, tra l'altro, maggiore tutela all'identità territoriale dei prodotti alimentari, all'articolo 3 – che ha appunto il significativo titolo di «Interventi per il sostegno del made in Italy» – prevede che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali svolga una consultazione pubblica tra i consumatori per valutare in quale misura, nelle informazioni relative ai prodotti alimentari, venga percepita come significativa l'indicazione relativa al luogo di origine o di provenienza dei prodotti alimentari e della materia prima agricola utilizzata nella preparazione o nella produzione degli stessi e quando l'omissione delle medesime indicazioni sia ritenuta ingannevole. I risultati delle consultazioni effettuate saranno resi pubblici e trasmessi alla Commissione europea. 
Al riguardo, evidenzio l'esigenza di fare distinzione tra i concetti di «provenienza» e di «origine» dei prodotti agroalimentari, nonché la necessità di garantire la trasparenza informativa in merito all'effettiva origine delle materie prime agricole prevalenti impiegate nella fabbricazione dei prodotti stessi, in linea, del resto, con quanto previsto dall'articolo 39 del Regolamento n. 1169 del 2011. La conoscenza dell'origine degli alimenti, infatti, rappresenta un fattore di cruciale importanza sia ai fini della prevenzione delle frodi sia, soprattutto, ai fini della protezione dei consumatori lato sensu, poiché il criterio attualmente adottato dal Codice doganale comunitario per la definizione di «origine» (ossia quello del Paese in cui è avvenuta l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale) lascia, di fatto, un ampio margine di indeterminatezza e, quindi, non ci lascia tranquilli.

Replica: Signor Presidente, ringrazio il Viceministro per la risposta, apprezzo l'attenzione che ha messo sulla trasparenza dell'etichettatura e sul tema della tracciabilità. Mi sembra, però, che sia importante affrontare una questione, perché noi stiamo trattando di un prodotto, ad esempio la carne suina, che è stato lavorato e prodotto in Italia e trasformato per quasi due milioni e duecentomila tonnellate e di questi un milione di tonnellate arriva da Paesi esteri. 
Noi giustamente abbiamo delle DOP e delle IGP che lavorano prodotti, ma abbiamo quasi più del 40 per cento della carne suina o suini vivi che arrivano da Paesi esteri. Questo è il reale problema, perché poi questa viene comunque immessa all'interno del mercato come carne italiana. Bisogna fare questa affermazione, però: l'industria della trasformazione ha una necessità di carne suina. Il segnale che ci arriva è che c’è la necessità di avere carne suina da trasformare. Allora, credo che sia importante puntare su un maggior accordo all'interno della filiera dei suini; questo è il problema. Noi abbiamo avuto diverse aziende di suini che hanno chiuso in questi anni perché hanno avuto un prezzo talmente basso che non ne ha consentito la sopravvivenza. Nel contempo sono arrivate dall'estero – come ho detto prima – 1 milione di tonnellate di cosce o di carne suina; questo è il dramma. Probabilmente si imputa il problema soprattutto al prezzo che viene pagato dall'estero, però questa non è la realtà, perché sappiamo che il prodotto italiano, allevato in Italia, macellato in Italia e trasformato in Italia ha una caratteristica in più, ha una marcia in più, possiamo dirlo in questo modo. Quando andiamo a definire la necessità di avere un'etichettatura di un prodotto sappiamo che non è solo un simbolo, perché ognuno di noi sa che un suino prodotto in Pianura Padana, prodotto in Umbria o in Germania ha delle caratteristiche diverse, non solo per la specie, per la razza, ma soprattutto anche per l'alimentazione di cui usufruisce. Ogni territorio ha un'alimentazione diversa, anche se siamo e stiamo parlando di una globalizzazione. Allora, avere dei suini allevati in Italia, nati in Italia, allevati in Italia e trasformati in Italia ha questo significato, proprio perché hanno una caratteristica propria. Io spesso lo dico, lo cito ad esempio: alcuni formaggi vengono prodotti in una determinata zona perché il territorio, l'erba, il fieno e il mais che vengono prodotti in quel territorio hanno delle caratteristiche. La stessa cosa avviene per la carne. Quando noi andiamo a parlare di alcuni marchi DOP classici – li ha citati prima il Viceministro – come il prosciutto di Parma o il San Daniele, sappiamo che sono caratteristici perché in quel territorio c’è un certo clima, c’è una certa conformazione del suolo e una certa produzione, e questa noi dobbiamo andare a tutelare. Allora, possiamo andare a marcare e a tracciare ma comunque abbiamo questa grossa importazione. Io credo che sia importante – e questo è l'invito che faccio alla politica, al Viceministro e al Ministro dell'agricoltura – far sì che ci sia un accordo all'interno della filiera, che parte dagli allevatori e passa tramite i macellatori e i trasformatori. Forse in questo periodo, in cui c’è la necessità di avere un prodotto veramente italiano, è importante che qualcuno ceda un piccolo pezzo della propria proprietà ma che ne guadagni veramente tutto il mercato.