09/06/2015
Irene Tinagli
3–00492

Per sapere – premesso che: 
con la legge n. 62 del 2011, in vigore dal gennaio 2014, le madri potranno scontare la pena con i loro figli fino al compimento del sesto anno di vita del bambino, non più solo fino al terzo, e non in carcere; 
l'intento della norma è quello di facilitare l'accesso delle madri alle misure cautelari alternative: la pena sarà, infatti, scontata in istituti a custodia attenuata, luoghi colorati, senza sbarre, a misura di bambino. Attualmente, però, le strutture esistenti sono solo due e l'obiettivo della legge rischia di rimanere incompiuto; 
occorre prendere coscienza dell'attuale situazione delle carceri femminili, dove i bambini sono costretti a vivere reclusi con le madri (ad oggi, nelle sezioni nido delle carceri italiane sono ospitati circa 60 bambini da 0 a tre anni di età: numero probabilmente destinato ad aumentare, considerando le mamme detenute in stato di gravidanza) e a condividere con le stesse le problematiche del sovraffollamento, nonché della carenza di organico che rendono ancora più dura la condizione della detenzione; 
in alcuni casi sono ospitati in asili nido, ma non tutte le strutture femminili riescono a garantire questi spazi. E così capita anche che un bambino o una bambina debba crescere dietro le sbarre, scontando la pena per una colpa che non ha commesso, a volte anche da solo; 
bisogna tener presente che piccoli incolpevoli porteranno per sempre i segni di questa violenza psicologica e, per questo, è necessario farsi carico dell'urgenza di trovare soluzioni diverse e dignitose; 
il periodo pre e post-parto risulta caratterizzato da momenti di grande ansia per la maggior parte delle donne, ma per quelle che vivono in carcere i normali stress vengono ad essere moltiplicati, amplificando il vissuto di inadeguatezza ed impotenza; 
il carcere per i propri figli è l'ultima delle soluzioni che una madre ricerca ed è quella che vive con più inquietudine, poiché significa esporre il bambino a qualcosa di cui non solo non conosce esattamente le dinamiche, ma della cui realtà percepisce l'assoluta precarietà e mancanza di diritti sia come persona che come madre; 
il retroterra sociale di deprivazione, i contatti familiari inconsistenti, l'isolamento, un'instabile salute fisica e/o mentale e la coscienza che il bambino potrà essere affidato ad un ente assistenziale costituiscono soltanto alcuni dei problemi che vivono queste donne, testimoniando un bisogno di tutela particolare; 
da ricordare poi anche i bambini che entrano in carcere per far visita al genitore detenuto: circa centomila ogni anno in tutta Italia, secondo le stime fornite dall'associazione «Bambini senza sbarre», sono sottoposti a perquisizione prima di entrare, proprio come gli adulti, e spesso sono costretti a incontrare il genitore in spazi grigi e chiusi; 
un passo in avanti è stato fatto nel 2001, quando la «legge Finocchiaro» (legge n. 40 del 2001) ha introdotto modifiche al codice di procedura penale, favorendo l'accesso delle mamme con minori a carico alle misure cautelari alternative alla detenzione; 
la legge n. 40 del 2001 ha sancito il primo cambiamento «culturale» in un sistema ancora connotato dall'ideologia tradizionale nei confronti delle madri detenute: per la prima volta si sono anteposti l'interesse del minore, la salvaguardia del rapporto genitore-figlio, la difesa dell'unità familiare a valutazioni sull'entità del reato commesso dai genitori; 
in attuazione del principio sancito dall'articolo 31 della Costituzione, che riconosce il valore sociale della maternità, si è inteso perseguire l'obiettivo di assicurare al bambino un sano sviluppo psicofisico, permettendo alla madre di vivere i primi anni dell'infanzia del minore al di fuori delle mura carcerarie; 
la normativa non ha, però, risolto il problema per le detenute straniere che, in mancanza di fissa dimora, non possono accedere agli arresti domiciliari: per loro e per i loro piccoli l'unica alternativa al carcere sarebbe il trasferimento negli istituti a custodia attenuata. Si tratta degli icam (istituti a custodia attenuata per madri) e delle case famiglia protette: i primi sono istituti detentivi facenti capo all'amministrazione penitenziaria, le seconde sono, invece, strutture affidate ai servizi sociali e agli enti locali; 
come già accennato, in Italia sono solo due gli istituti a custodia attenuata per madri esistenti: quello di Milano, nato nel 2007 in via sperimentale, e quello di Venezia, inaugurato a luglio 2013. Non esistono, invece, case famiglia protette: principale ostacolo alla realizzazione di queste ultime, gli oneri a carico degli enti locali; 
attualmente, il centro milanese e quello veneziano, da soli, non riescono a garantire spazio per tutti. Le stime si complicano, inoltre, pensando a quei bambini che, usciti dal carcere e allontanati dalla madre al compimento del terzo anno di età, potrebbero rientrare nella struttura perché ancora minori di sei; 
in un'ottica di mantenimento della relazione madre-bambino anche quando questa è detenuta, come stabilito dalla Convenzione dei diritti dell'infanzia, queste strutture sono certamente la soluzione migliore per tutelare l'interesse superiore del minore, ma è fondamentale che dispongano di fondi adeguati; 
la legge n. 62 del 2011, benché molto attesa, si scontra, di fatto, con difficoltà di applicazione e di interpretazione: le misure alternative sono riconosciute, ma in assenza di «esigenze cautelari di eccezionale rilevanza». Con questa specificazione si intende far riferimento a casi di criminalità organizzata piuttosto che di terrorismo, ma nella prassi le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza si traducono quasi sempre in un rapporto stretto con la recidiva: ciò significa che una detenuta che ha commesso diverse volte reati anche minori o di minore impatto sociale è considerata particolarmente pericolosa, tanto da non poter beneficiare di misure alternative –: 
quali rapidi ed opportuni provvedimenti intenda adottare, al fine di rendere pienamente efficace questa riforma. 

 

Seduta del 9 giugno 2015

Risposta di Ferri Cosimo Maria, Sottosegretario di Stato per la giustizia, replica di Irene Tinagli

Risposta del governo

Signor Presidente, ringrazio anche in questo caso l'onorevole Tinagli che consente, con l'interrogazione presentata, di render nota, ancora una volta, l'attenzione che il Governo riserva all'esecuzione della pena ed in particolare, in questo caso, alla tutela dei valori fondamentali del rispetto della persona umana e – desidero sottolinearlo – degli affetti familiari anche nei confronti di coloro che sono in regime di detenzione. 
La ratio della riforma introdotta dalla legge 21 aprile 2011, n. 62, si ispira ai predetti valori, pure prevedendo l'eccezionale possibilità di ingresso in apposite strutture detentive dei figli minori di imputate o condannate, nei cui confronti sia da eseguire una misura cautelare coercitiva o una pena detentiva, nei casi che la legge stessa prevede. 
In via generale, devono essere previste strutture alternative al carcere, quali le case famiglia protette, dove sia possibile eseguire una misura di tipo domiciliare assistendo l'educazione dei figli fino al compimento del decimo anno. Laddove, invece, la legge prevede la necessità di privazione della libertà, questa dovrà essere eseguita in una particolare struttura, detta Istituto a custodia attenuata per le detenute madri (ICAM), nella quale la madre potrà accudire il bambino fino al compimento del sesto anno di età. Analogo regime è riservato al padre, laddove la madre sia deceduta o impossibilitata ad assistere i figli.  In attuazione della prevalente finalità di assicurare ai minori, figli di persone detenute, un equilibrato sviluppo personale in un contesto estraneo all'ambiente penitenziario, concepito e realizzato secondo le caratteristiche delle comuni abitazioni, con decreto dell'8 marzo 2013 sono state definite le caratteristiche delle case famiglia protette, a cui la legge n. 62 del 2011 attribuisce fondamentale importanza. 
In tale quadro normativo e con riferimento specifico alla questione posta dall'onorevole Tinagli, deve essere evidenziato che il tema della presenza dei minori nel circuito penitenziario, in sedi dove non si è provveduto alla realizzazione di un ICAM e nei casi in cui il magistrato ha ritenuto la privazione della libertà una misura ineludibile, è seguito dal Ministero della giustizia attraverso una costante azione di monitoraggio. 
Dai dati trasmessi dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria risulta che, oltre alla struttura ICAM milanese del 2007, si è provveduto alla realizzazione di analoga struttura a Venezia nel luglio 2013, a cui nell'ultimo periodo si sono aggiunti: l'ICAM di Senorbì, in Sardegna, istituito il 12 giugno 2014, in grado, ad oggi, di ospitare sei detenute madri e un detenuto padre; l'ICAM di Torino, entrato in funzione il 20 aprile 2015, che ospiterà anche l'utenza della regione Liguria. 
Il Dipartimento competente ha informato, inoltre, dei seguenti progetti in fase di avanzata definizione: per la Toscana, lo scorso 29 gennaio è stato approvato il progetto di ristrutturazione dell'immobile, destinato ad ICAM, di proprietà dell'Opera Pia Madonnina del Grappa e la cessione in comodato d'uso all'amministrazione penitenziaria è prevista entro febbraio 2016; per la Campania, è stato predisposto il progetto volto a destinare la struttura di Lauro a ICAM, al fine di accogliere anche l'utenza delle regioni Abruzzo e Molise. L'avvio dei lavori è previsto entro la fine dell'anno. 
Ulteriori proposte sono state avanzate per le altre regioni ed è impegno del Ministro della giustizia seguire la loro evoluzione e valutare la loro effettiva rispondenza a quei parametri di non inclusione in istituti penitenziari e di attenzione scrupolosa all'evoluzione positiva dei bambini, eventualmente ospitati, che costituiscono la peculiarità ineludibile di tali istituti a custodia attenuata. 
Per completezza, si comunica che, al 21 maggio 2015, erano complessivamente presenti negli istituti penitenziari – ICAM o sezioni nido presso gli istituti penitenziari – 36 detenute madri con 38 bambini al seguito. Parallelo impegno va rivolto nel seguire il processo di realizzazione, da parte degli enti locali, delle case famiglia protette, che dovrebbero costituire la soluzione primaria nei casi in cui siano coinvolte madri o padri con prole. Come è noto, infatti, alla loro istituzione devono provvedere, attraverso la stipula di convenzioni, gli enti locali. 
Nello specifico, sulla base delle informazioni trasmesse dallo stesso Dipartimento, si può rappresentare come allo stato siano in corso di realizzazione i seguenti progetti, di natura, tuttavia, preliminare: il protocollo d'intesa «accoglienza madri detenute», sottoscritto il 18 dicembre 2013 tra il provveditorato regionale per il Piemonte e la Valle D'Aosta e l'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII per la cura dell'inserimento di detenute madri presso le case famiglia gestite dall'associazione nella regione Piemonte e su tutto il territorio nazionale;la «Casa Nicodemi» di Avellino, ove la Caritas ha allestito una casa di accoglienza, che ospita, al momento, donne detenute provenienti dal Lazio in regime di arresti domiciliari, con rispettiva prole; il progetto nazionale di accoglienza delle donne detenute con figli fino a sei anni, avviato tra la Caritas italiana, i Centri diocesani Migrantes e l'Ispettorato dei cappellani delle carceri italiane; infine, il provveditore per il Lazio ha comunicato che l'assessore alle politiche sociali del comune di Roma ha manifestato la possibilità di destinare in tempi brevi a case famiglia protette due strutture cittadine. 
Nel concludere, mi preme evidenziare come il Ministro della giustizia abbia già trasmesso alle competenti articolazioni specifiche direttive affinché le previsioni della legge n. 62 del 2011 vengano compiutamente attuate. Infatti, non posso non segnalare che la situazione attuale potrà essere ulteriormente perfezionata nella prospettiva di assicurare il migliore equilibrio tra le esigenze di prevenzione e quelle di tutela della crescita psico-fisica dei minori.
Tale tensione troverà concretezza nel recente avvio degli «Stati generali della pena», aperti al confronto tra giuristi, associazioni, operatori del settore, docenti, studiosi e detenuti stessi. Un particolare tema di analisi è dedicato alla questione delle detenute-madri, allo stato di attuazione della legge n. 62 del 2011 e all'assoluto obbligo di tutelare il benessere evolutivo dei bambini che hanno uno o due genitori in carcere. 
Gli Stati generali si stanno svolgendo attraverso tavoli di analisi e confronto, che resteranno aperti per alcuni mesi per concludersi con un evento verso la fine di ottobre. Confidiamo che proprio dal confronto delle diverse sensibilità ed esperienze che avranno modo di incontrarsi potranno pervenire utili indicazioni per ispirare ulteriormente l'azione di Governo su tale delicato e fondamentale tema, anche nella prospettiva auspicata, e sottolineata, dall'onorevole Tinagli. 
Si assicura, quindi, la massima attenzione da parte del Ministero al tema, al fine di migliorare ulteriormente l'attuale dettato normativo e le condizioni organizzative del regime detentivo, con particolare riguardo alla tutela degli affetti familiari dei detenuti con prole. 
Non vi è dubbio che anche le persone detenute abbiano diritto, nel rispetto proprio della dignità umana e di quello che prevede la nostra Carta costituzionale, a conservare questa continuità con i propri affetti, con i propri minori, in particolare quelli delle età che sono, tra l'altro, indicate anche nei provvedimenti normativi.
 

Replica Irene Tinagli

Grazie, Presidente. Grazie sottosegretario, constato con molto piacere l'avanzamento dello stato di attuazione della legge n. 62 del 2011. Questa interrogazione era datata dicembre 2013, quindi, mi fa piacere vedere che nel tempo intercorso sono stati effettivamente realizzati dei progressi sulla realizzazione degli ICAM. Spero che anche i progetti attualmente in corso, come quello citato della Toscana, possano essere realizzati nei tempi più brevi possibile. Vi è un po’ di rammarico per i ritardi nelle convenzioni per quanto riguarda le case famiglia protette. Mi rendo conto che qui entrano in gioco gli enti locali, quindi non è una diretta responsabilità esclusiva del Ministero, però mi auguro che su questo fronte si possa, comunque, fare monitoraggio, sollecitare gli enti locali, perché anche queste strutture hanno un ruolo importante, soprattutto, per esempio, per le detenute straniere che magari, nei casi degli arresti domiciliari, non hanno una residenza stabile e, quindi, hanno più bisogno di altre realtà, di poter fare riferimento e fare affidamento su case famiglia protette. Dunque, prendo anche atto dei numerosi progetti in corso, degli Stati generali della pena, che il sottosegretario cita, che sicuramente saranno fonte di stimoli, di idee, di proposte, su cui rafforzare l'iniziativa del Governo su questi temi. Mi limito ad aggiungere una cosa, semplicemente per ribadire e sottolineare l'importanza di questo tema, l'importanza della tutela della genitorialità delle madri, ma anche dei padri e dei loro bambini, dei bambini minori, non solo per una questione di rispetto della dignità umana, come enunciato nella nostra Costituzione, nella Carta internazionale dei diritti, nella Carta europea e così via, ma anche, e soprattutto, in una ottica di sviluppo, di prevenzione anche dei problemi sociali. I bambini minori sono in una fase particolarmente delicata della loro vita, del loro sviluppo, esporli a delle realtà che siano favorevoli, che li stimolino, che li aiutino a sviluppare quelle competenze relazionali, cognitive, intellettuali, è fondamentale per il loro sviluppo futuro.
Ed è proprio nell'età prescolare che la maggior parte di queste competenze vengono sviluppate. Ci sono moltissimi studi, in particolare ricordo anche gli studi del Premio Nobel James Heckman, che ci ricorda come i divari cognitivi e anche le future opportunità di sviluppo, di occupazione, di crescita, anche di affermazione economica e di disagio sociale possano essere prevenute nell'età prescolare. 
Quindi, per questo ritengo particolarmente importante, anche in un'ottica di prevenzione futura del disagio sociale, agire su questi bambini e su queste realtà familiari per garantire alla nostra società, oltre che alle loro famiglie e agli affetti, uno sviluppo armonico e una situazione sociale sempre migliore.