18/04/2016
Piergiorgio Carrescia
Preziosi, Manzi, Giovanna Sanna, Zardini, Cominelli, Carocci, Tullo, Bratti, Carella, Stella Bianchi e Capone
3-02188

Per sapere – premesso che: 

l'articolo 35 del decreto legge n. 133 del 2014 (cosiddetto «Sblocca Italia»), convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, stabilisce che entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto «il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, individua a livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l'indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, e gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, determinato con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale. Gli impianti così individuati costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantiscono la sicurezza nazionale nell'autosufficienza, consentono di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore e limitano il conferito di rifiuti in discarica»; 
il testo dello schema del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dall'articolo 35 è stato trasmesso il 27 aprile 2015 dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare alla Presidenza del Consiglio dei ministri che ha provveduto (nota prot. CSR 000423 P-4 23.2.14 del 29 luglio 2015) ad avviare l’iter per l'acquisizione del previsto parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano; 
lo schema reca anche l'individuazione del fabbisogno residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento con recupero di rifiuti urbani e assimilabili; 
molte sono le criticità che però a proposta presenta sia dal punto di vista tecnico sia di coerenza con la ratio legis dell'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014; 
le informazioni acquisite dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, poste alla base dello schema del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, relativamente alla disponibilità di impianti attivi o autorizzati come impianti di incenerimento riguardano infatti il periodo antecedente agli obblighi di adeguamento derivanti dalla attuazione dell'articolo 35 stesso, in particolare i commi 3 e 5 nonché, in taluni casi, piani regionali di gestione rifiuti da adeguare e non adeguati nei termini previsti dall'articolo 199 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (12 dicembre 2013) ovvero, per quelli adeguati, una loro non congrua valutazione; 
le conclusioni relative al fabbisogno impiantistico partono da informazioni e dati che non essendo sempre aggiornati risultano ancora «al netto» dell'intervento normativo dei commi 3 e 5 dell'articolo 35 dello «Sblocca Italia» e della capacità effettivamente trattabile dai singoli impianti; 
lo schema finisce così, ad avviso degli interroganti, per essere in contrasto con la logica degli avvenimenti intercorsi e con la consistente diminuzione del fabbisogno residuo di incenerimento che deriva dall'attuazione dei piani e da una loro più corretta interpretazione; 
il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha utilizzato una modalità di calcolo del fabbisogno di smaltimento (rectius, di recupero) finale che talora non ha tenuto conto in modo corretto dello scenario dei piani regionali di gestione dei rifiuti; tipico è il caso della regione Marche il cui PRGR pone l'obiettivo di riduzione della produzione dei rifiuti del 6,2 per cento al 2020 a fronte di una raccolta differenziata almeno del 70 per cento; gli scenari del piano ipotizzano inoltre un 20 per cento circa di materiali di recupero dal flusso dei rifiuti urbani avviati, al trattamento e che vanno perciò sottratti dalla quota dell'incenerimento così come il 30 per cento di CSS-combustibile e altro; sono insomma situazioni che modificano (da 200.000 a circa 85.000 tonnellate l'anno il dato finale ipotizzato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri); analoghe situazioni si rinvengono anche con riferimento ad altri piani regionali: 
lo schema del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, al fine di individuare il fabbisogno residuo ha assunto come riferimento la produzione di rifiuti urbani indifferenziati e lo ha calcolato sulla base di una raccolta differenziata del 65 per cento che però, ai sensi dell'articolo 205 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e delle gerarchie comunitarie di gestione, è solo un «obiettivo minimo» e non «un vincolo da non superare...» tant’è che alcune regioni (per esempio anche il Veneto) hanno programmato soglie più elevate; 
è doveroso ricordare che la Corte Costituzionale, pur quando ha riconosciuto la prevalenza della specifica disciplina statale in presenza di esigenze ambientali incomprimibili, ha comunque ammesso la residua potestà delle regioni di assicurare livelli di tutela maggiori di quelli previsti dallo Stato (sentenza 58 del 2013); 
lo schema del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri computa una necessità di incenerimento del 10 per cento dei rifiuti raccolta differenziata; le percentuali di scarti, nei modelli domiciliari (quelli di riferimento per il conseguimento degli obiettivi nazionali di raccolta differenziata e soprattutto per quelli incrementali ora in discussione nell'ambito del dibattito sulla economia circolare a livello di Unione europea) sono però inferiori, a volte marcatamente inferiori; non tutti gli scarti da attività di riciclaggio sono inceneribili (ad esempio gli scarti da vetrerie) e gran parte degli scarti inceneribili sono invece anche riciclabili (ad esempio le plastiche eterogenee) in modo più coerente con le gerarchie dell'Unione europea di gestione dei rifiuti ed anche traendone un migliore profitto economico; 
gli scenari europei porteranno ad un aumento degli obiettivi di recupero di materia che non potranno coesistere con una situazione di infrastrutturazione «pesante» basata esclusivamente sugli inceneritori, impianti finanziariamente sostenibili solo con un'alimentazione con flussi «certi» di rifiuti urbani per 20-30 anni; 
viene poi assunta una produzione del 65 per cento di CSS dagli impianti di pretrattamento; è un dato che appare decisamente eccessivo rispetto alla realtà degli stessi impianti di produzione e che non tiene neppure conto dei quantitativi di CSS che rispondendo alle condizioni di cui all'articolo 184-ter del T.U.A. sono utilizzabili in cementifici o centrali termoelettriche (14 dicembre 2013) e che vanno dunque sottratti al computo delle necessità complessive di incenerimento come rifiuti; 
lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri non sembra aver tenuto in debito conto nemmeno delle politiche regionali che hanno previsto la «riduzione» dei rifiuti urbani prodotti attraverso azioni incisive di prevenzione e riciclo. È assunta solo un’«invarianza del quantitativo di rifiuti urbani», ma non viene valutato l'effetto dei programmi di prevenzione/riduzione del rifiuto resi obbligatori dall'articolo 29 della direttiva 2008/98, del decreto direttoriale del MATTM 7 ottobre 2013 recante «Adozione e approvazione del programma nazionale di prevenzione dei rifiuti»; 
il profilo più rilevante che richiede un atto parlamentare sull'argomento sta nel fatto che laratio dell'articolo 35 non è quella di voler soddisfare il fabbisogno residuo solo con l'incenerimento. Il richiamo esplicito alle pianificazioni regionali sovente incentrate su soluzioni organizzative (ad esempio massimizzazione del «porta a porta», del riciclo e del recupero) significa che non si sono voluti precludere comunque scenari diversi dalla soluzione «unica» della termodistruzione invece ipotizzata nello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri; 
in altri termini l'obiettivo non era (e non può divenire ora con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri «attuativo») quello di ottenere l'autosufficienza nella gestione dei rifiuti urbani mediante la costruzione esclusivamente di inceneritori in ogni «macro Area» e, all'interno di ciascuna di esse, in quasi tutte le regioni; 
il fatto che ogni regione non necessariamente debba essere autosufficiente solo mediante inceneritori è dimostrato dalla possibilità di conferire i rifiuti urbani alla termodistruzione anche fuori quella di produzione (articolo 35, comma 7, decreto-legge 133 del 2014); 
la criticità dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sta nell'avere invece assunto lo scenario dell'incenerimento con recupero di energia come unica soluzione finale mentre la stessa direttiva comunitaria e quella nazionale la pongono solo come «un'opzione» seppur gerarchicamente da preferire allo smaltimento in discarica ma non certo nei termini ultimativi e alternativi ad ogni altra soluzione; 
l'ordine di priorità nella gerarchia delle soluzioni non significa che una esclude tassativamente l'altra, perché se così fosse sarebbe lecito chiedersi perché non si concentrino le risorse e le azioni solo sulla prevenzione, riciclo e recupero; 
ma vi sono anche altre criticità, di carattere tecnico-normativo; 
le tabelle allegate allo schema di decreto riportano i quantitativi trattabili in termini di tonnellate per anno; 
l'introduzione dello scenario dell’«incenerimento dei rifiuti urbani» come unico e vincolante scardinerebbe in molte regioni le politiche virtuose finora realizzate e quelle programmate di prevenzione della produzione di rifiuti, di riciclo e recupero e sarebbe antieconomica e in contraddizione con gli indirizzi di programmazione locale; 
essa comporta anche significative ripercussioni sulla programmazione regionale; vedasi, ad esempio, quella della Lombardia, in particolare sull'autosufficienza riguardante lo smaltimento mediante recupero energetico dei rifiuti indifferenziati e in relazione ad obiettivi strategici come ladecommissioning di alcuni impianti per la quale quella regione ha attivato tavoli di lavi o con operatori e amministratori locali per la gestione delle istruttorie di rispettiva competenza; 
inoltre, ai sensi dell'articolo 3 paragrafo 2, lettera a), della Direttiva 2001/42/CE, i piani e i programmi che sono elaborati per il settore della gestione dei rifiuti sono soggetti ad una valutazione ambientale strategica la quale deve precedere «tutti i piani e i programmi che sono elaborati (...) per la valutazione della gestione dei rifiuti» (negli stessi termini dispone l'articolo 6, comma 2, lettera a), dell'attuativo decreto legislativo n. 152 del 2006); 
il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in questione rientra appieno in questa casistica e non può esimersi dalla valutazione ambientale strategica né il singolo inceneritore potrebbe sottrarsi ai criteri localizzativi dei piani regionali e soprattutto alla idoneità/non idoneità delle aree, al rispetto dei vincoli ambientali e paesaggistici che il decreto legislativo 152 del 2006 ha demandato a regioni e province (si pensi alle aree PAI, ZPS, DOC, DOP, Z.T.B., Rete Natura 2000 – Direttiva Habitat 92/43/CEE, direttiva «uccelli» 79/409/CEE, aree boscate e altro); 
in altri termini: l'articolo 35, del decreto-legge n. 133 del 2014, contempla un vero e proprio programma integrato nazionale per la gestione dei rifiuti urbani e speciali mediante impianti di recupero energetico. La norma stabilisce, infatti, che gli impianti di recupero inseriti nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 1, sono qualificati come infrastrutture di preminente interesse nazionale, che i medesimi devono essere autorizzati ad operare a saturazione del carico termico, che dovranno rispondere alle caratteristiche degli impianti R1, e che, non sussistendo vincoli di bacino, all'interno degli stessi dovrà essere data priorità al trattamento dei rifiuti urbani provenienti dall'intero territorio nazionale; 
l'articolo 4 della direttiva 2001/42/CE (cosiddetta direttiva VAS), rubricato «Obblighi generali», stabilisce inoltre che «la valutazione ambientale di cui all'articolo 3 deve essere effettuata durante la fase preparatoria del piano o del programma ed anteriormente alla sua adozione o all'avvio della relativa procedura legislativa»; 
ai sensi degli articoli da 5 a 12 della menzionata direttiva, poi, la procedura di valutazione ambientale strategica deve comprendere lo svolgimento di una verifica di assoggettabilità, l'elaborazione del rapporto ambientale, lo svolgimento di consultazioni, la valutazione del piano o del programma, del rapporto e degli esiti delle consultazioni, l'espressione di un parere motivato, l'informazione sulla decisione e il monitoraggio; 
il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri appare dunque in contrasto con i suddetti obblighi della direttiva valutazione ambientale strategica, in quanto adotta un vero e proprio programma nazionale in materia di gestione integrata dei rifiuti, senza aver dato luogo alla necessaria procedura di valutazione strategica ambientale con ciò ponendosi in contrasto con gli scopi perseguiti dal legislatore europeo; 
il mancato assoggettamento alla valutazione ambientale strategica, anche alla luce della necessità di definire criteri univoci per la distribuzione territoriale degli impianti, e per la valutazione degli impatti discendenti dalle scelte localizzative da assumere comporta l'elusione delle finalità perseguite dalla direttiva comunitaria, quali quella di garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente e di contribuire all'integrazione delle considerazioni ambientali all'atto dell'elaborazione, dell'adozione e della approvazione dei piani e programmi, assicurando che i medesimi siano coerenti e contribuiscano alle condizioni per uno sviluppo sostenibile; 
la previsione in una «rete nazionale» impiantistica strategica non può però prescindere dal tener conto, in un rapporto di leale collaborazione istituzionale, del potere programmatorio e regolamentare delle regioni, anche in relazione al progressivo passaggio da impianti di smaltimento di rifiuti tramite combustione a veri e propri impianti di recupero energetico ed al fatto che dalla lettura congiunta dell'articolo 182, comma 3, dell'articolo 199 del decreto legislativo 152 del 2006 e dell'articolo 35 del decreto-legge 133 del 2014 così come convertito dalla legge n. 164 del 2014 gli impianti non sono vincolati al trattamento dei soli rifiuti prodotti nel territorio (ATO, regione, macroarea) qualora si tratti di rifiuti speciali, fossero pure derivanti dai rifiuti urbani; 
la ripartizione in macro-aree basata su meri criteri teorici e che non tiene conto della viabilità e della contiguità dei territori, delle relazioni e accordi interregionali intercorsi negli anni e di assetti organizzativi consolidati non sembra poi rispondere ad una logica di razionalizzazione del settore; 
un inceneritore in regioni in cui allo stato attuale della produzione di rifiuti urbani la raccolta differenziata, ha superato (ad esempio Trentino Alto Adige) o è già prossima (ad esempio Marche) all'obiettivo del 65 per cento (ad esempio Marche) e nelle quali vi è ancora disponibilità di discariche autorizzate (quindi «conformi alla legge») e previste dai PRGR adeguati al, decreto legislativo 152 del 2006 determinerebbe la necessità di rivedere tutti i piani di ammortamento finanziaria delle discariche, di quelli per la gestione post-mortem e di ripristino ambientale con oneri che andrebbero a cumularsi a quelli, oltremodo ingenti, per realizzare un impianto di incenerimento, costi che si tradurrebbero in un aumento della tassazione per i cittadini –: 
se il Governo non ritenga opportuno, assumere iniziative per: 
a) riesaminare lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri inoltrato alle regioni e province autonome con nota prot. CSR 000423 P-4 23.2.14 del 29 luglio 2015 e riproporne uno che sia più coerente con la ratio legis dell'articolo 35 del decreto-legge 133 del 2014 e che sia basato su un'altra e più aggiornata fase di raccolta delle informazioni per verificare gli effetti, in termini di aumento della capacità operativa degli impianti di incenerimento derivanti dagli adeguamenti e delle verifiche previsti dai commi 3 e 5 del medesimo articolo nonché elaborare una programmazione che tenga conto delle variazioni nel frattempo intervenute o già previste sui territori in attuazione dei piani regionali di gestione dei rifiuti; 
b) non prevedere la realizzazione di inceneritori in quelle regioni che hanno già fissato obiettivi di raccolta differenziata superiori al 65 per cento almeno fino al raggiungimento della percentuale prevista e comunque solo se il quantitativo residuale dovesse infine essere superiore alla «taglia minima» di 100.000 tonnellate/anno.

Seduta del 19 aprile 2016

Risponde Silvia Velo (PD), Sottosegretaria di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, replica Piergiorgio Carrescia

Risposta del governo

Grazie, Presidente. Si fa presente preliminarmente che, così come è stabilito dal Testo unico ambientale, rimane incardinata in capo alle regioni l'attuazione e la completa implementazione sul territorio delle scelte strategiche che il legislatore nazionale ha affidato al Governo con l'articolo 35, comma 1, del cosiddetto «Sblocca Italia». 
Pertanto, le amministrazioni territoriali, regioni, province e comuni sono le autorità competenti anche a rilasciare le autorizzazioni per la realizzazione e la gestione degli impianti suddetti. Il ruolo strategico degli enti territoriali non viene, quindi, scavalcato, ma solamente orientato dai contenuti programmatici generali di livello nazionale, che dovrà recare il decreto attuativo della citata disposizione legislativa. 
Questo in termini di generali. Invece, per quanto attiene allo specifico contenuto del DPCM, si fa presente quanto segue. Intanto, nel determinare il fabbisogno residuo di incenerimento, lo schema dell'emanando decreto ottempera rigorosamente alle vigenti previsioni di legge, individuando puntualmente la capacità attuale di trattamento nazionale, regione Sardegna compresa, degli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani assimilati e, conseguentemente, quantificando il fabbisogno residuo di incenerimento nazionale da soddisfare e la successiva ripartizione della capacità impiantistica necessaria per macro aree e regioni, nel rispetto comunque degli obiettivi di legge di raccolta differenziata e riciclaggio, tenendo conto della esistente pianificazione regionale. 
Con specifico riferimento alla regione Sardegna, si evidenzia che, nell'ambito delle disposizioni del DPCM, ai sensi del comma 1 dell'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014, è stata considerata come macro area a sé stante per le proprie caratteristiche insulari, pertanto detta regione deve essere tendenzialmente autosufficiente nella gestione e trattamento dei propri rifiuti urbani e assimilati, compreso l'incenerimento. 
Per quanto concerne la pianificazione regionale, si evidenzia che, in ogni caso, l'individuazione del fabbisogno nazionale di incenerimento è stata effettuata tenendo in specifica considerazione ogni singola pianificazione regionale vigente, nonché tutti i dati aggiornati, specificatamente forniti dalle regioni nel corso delle riunioni a livello tecnico e politico della Conferenza Stato-regioni, in ordine agli obiettivi di riduzione della produzione dei rifiuti in termini quantitativi, agli obiettivi di raccolta differenziata, più ambiziosi rispetto all'obiettivo minimo di legge del 65 per cento, alle attuali forme di gestione dei rifiuti urbani raccolti in modo indifferenziato, nonché agli aggiornamenti delle autorizzazioni di cui ai commi 3 e 5 del citato articolo 35 da parte delle autorità competenti. 
Si evidenzia, inoltre, che l'individuazione della capacità attuale di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani assimilati in esercizio o autorizzati, è stata effettuata sulla scorta dei dati ISPRA e Federambiente, nonché dei dati forniti dalle stesse regioni e province autonome. Come è noto, infatti, ISPRA ogni anno pubblica il proprio rapporto sulla gestione dei rifiuti urbani e con cadenza pluriennale quello relativo ai rifiuti speciali. Tali rapporti contengono gli opportuni riferimenti ai dati relativi al flusso di rifiuti, cartografia, con l'indicazione dell'ubicazione di tali impianti su scala nazionale e dei dati economici. Inoltre, si rappresenta che ogni pianificazione regionale in materia contiene il dettaglio di tali informazioni, calate sul proprio contesto di riferimento. 
Tale attività ricognitiva e di approfondimento ha portato all'acquisizione puntuale dei dati riferiti a tutta l'impiantistica di incenerimento in esercizio presente nel territorio nazionale e a quelle autorizzate ma non ancora in esercizio. Pertanto, attesa la competenza degli enti territoriali in tale ambito, il Ministero dell'ambiente può solo svolgere una funzione di raccordo di tutte le informazioni già disponibili e pubblicate. 
Inoltre, per quanto concerne l'impiantistica, presente e in esercizio, dedicata al trattamento dei rifiuti, compresi gli impianti di trattamento meccanico e biologico, l'analisi istruttoria condotta per la predisposizione dello schema di DPCM evidenzia che tale impiantistica risulta sovradimensionata rispetto al fabbisogno di trattamento di rifiuti che si avrà al raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata. Pertanto, come è disposto nel rapporto ISPRA 2005, tali impianti di pretrattamento svolgono prioritariamente la funzione di trattare i rifiuti prima di essere conferiti in discarica. Risulta del tutto evidente, dunque, come tale infrastruttura sia funzionale, innanzitutto, al rispetto dei criteri di ammissibilità in discarica di rifiuti urbani, in ottemperanza agli obblighi europei. 
Quanto al rispetto dei criteri di priorità nella gestione dei rifiuti, è opportuno evidenziare che l'articolo 4 della direttiva 98 del 2008, prevede al primo posto la prevenzione e, a seguire, la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia, e infine lo smaltimento. In tale contrasto, il recupero di altro tipo viene inteso come – cito testualmente – «qualsiasi operazione in cui il principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile, sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere a tale funzione, all'interno dell'impianto o nell'economia in generale (...)», ossia diverso dal riciclaggio, da intendersi come il recupero di energia o altre operazioni che abbiano come finalità quelle di attribuire ai rifiuti un ruolo utile in sostituzione di altri materiali. 
In tali ambiti, possono indubbiamente essere annoverati gli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e assimilati, purché gli stessi rispondano a determinati requisiti di efficienza energetica come stabilito dalla direttiva quadro. Il ricorso a recupero energetico tramite l'impiantistica di incenerimento, pertanto, non è in alcun modo inteso come strumento alternativo all'implementazione e incentivazione della raccolta differenziata e del riciclaggio dei rifiuti. La finalità del decreto è, infatti, quella di ridurre il conferimento di rifiuti in discarica, calcolato a una percentuale massima del 10 per cento, e di sfruttare al meglio la rete impiantistica nazionale già esistente, delineando così una potenziale linea strategica nazionale di medio-lungo termine sulla gestione dei rifiuti per gli anni a venire, in ottemperanza all'obiettivo di ottimizzazione della rete infrastrutturale dedicata a recupero energetico su scala nazionale, previsto nell'ambito del pacchetto sull'economia circolare, presentato il 2 dicembre scorso e in fase di consultazione.
Anche al fine di tenere conto delle azioni volte alla riconversione di tali impianti preliminari, sono state previste specifiche disposizioni – cito l'articolo 6 dello schema di DPCM – che consentono di definire e aggiornare con cadenza annuale, anche su richiesta delle regioni interessate, il fabbisogno residuo di incenerimento dei rifiuti urbani assimilati individuato sulla base degli obiettivi di riduzione della produzione di rifiuti urbani e assimilati, di raccolta differenziata, di riciclaggio e di pianificazione regionale. Con particolare riferimento alla strategia nazionale delineata dalla disposizione dei decreti attuativi dello «sblocca Italia», si rappresenta in ogni caso che il Ministero dell'ambiente ha accolto la richiesta della Conferenza Stato-regioni di istituire un comitato presso la Conferenza stessa per la gestione integrata ed efficiente del ciclo dei rifiuti. Tale comitato avrà funzioni istruttorie, di raccordo e di coordinamento e concorrerà ad ottimizzare l'efficacia del sistema integrato di gestione dei rifiuti e assicurerà il monitoraggio e il coordinamento a livello nazionale per l'attuazione delle politiche di gestione dei rifiuti. Si ritiene pertanto che le disposizioni introdotte nell'emanando DPCM finalizzate a garantire la sicurezza nazionale nell'autosufficienza della gestione dei rifiuti, oltre a dare piena attuazione a quanto previsto dal legislatore nazionale, rappresentino altresì una concreta attuazione della normativa europea in tema di gestione degli stessi, perfettamente coerente con i criteri stabiliti dall'articolo 4 della direttiva quadro. Da ultimo si fa presente che lo schema di decreto in questione, anche in ottemperanza alle richieste formulate dalle regioni, è attualmente oggetto della procedura di verifica di assoggettabilità a VAS, secondo la disciplina di cui all'articolo 12 del Testo unico ambientale. Tale procedura prevede la conclusione del relativo procedimento entro novanta giorni dall'acquisizione dell'istanza di assoggettabilità da parte dell'autorità competente, avvenuta il 17 marzo scorso. Ad ogni modo, ferma restando l'attuazione dell'articolo 35 nei termini sopracitati e tenuto conto delle competenze spettanti agli enti territoriali, compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, il Ministero dell'ambiente valuterà anche il potenziamento di tutti gli strumenti necessari finalizzati a rafforzare in termini di efficacia, efficienza ed economicità il sistema di gestione dei rifiuti nell'ambito appunto dell'istituendo Comitato.

Replica

Signor Presidente, signor sottosegretario, mi dichiaro parzialmente soddisfatto della risposta. L'interrogazione vi ricordo che risale al settembre del 2015 ed era finalizzata ad acquisire la conoscenza dell'iter dello schema del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che doveva individuare a livello nazionale la capacità complessiva del fabbisogno per lo smaltimento dei rifiuti urbani e gli impianti di incenerimento con recupero energetico da realizzare per coprirlo. L'interrogazione è nata quando l'iter era già stato avviato, perché la Presidenza del Consiglio già a luglio aveva trasmesso l'atto alla Conferenza permanente e, nell'interrogazione, si evidenziavano alcune criticità relative alle informazioni acquisite dal Ministero, che risalivano a un periodo antecedente a quello degli obblighi previsti dallo stesso articolo 35, si basavano su piani regionali di gestione dei rifiuti da adeguare o non adeguati ai sensi del Testo unico dell'ambiente, la modalità di calcolo del fabbisogno finale non teneva in modo corretto conto dello scenario dei piani di gestione dei rifiuti e, soprattutto relativamente all'attività di prevenzione, non c'era riferimento alla valutazione ambientale strategica, per cui si chiedeva di riesaminare lo schema e di riformularlo in termini più coerenti e più corretti, dall'altra parte di valutare la non necessità di impianti di incenerimento con recupero di energia per quantitativi limitati, non superiori alla soglia indicata in 100 mila metri cubi. Ora, l'aspetto positivo della risposta che ha dato il Governo e che è emerso chiaramente è che le criticità che erano state sollevate nell'interrogazione, che poi erano state fatte proprie anche in molti contenuti dalle regioni c'erano tutte, che erano motivazioni reali, tant’è che il Ministero dell'ambiente ha riproposto un altro schema, tenendo conto dei nuovi dati pervenuti dalla regione. 
Questo è l'aspetto positivo: implicitamente, con fatti concludenti, è stata data una risposta positiva all'interrogazione, così come positivo è il maggior coinvolgimento delle regioni. 
Quello che invece convince meno attiene a tre aspetti. Il primo è un profilo metodologico, che era già presente nel decreto fin dalla prima fase di ricognizione presso le regioni e che è confermato purtroppo nel rapporto preliminare alla valutazione ambientale strategica che è in corso presso le regioni stesse e cioè che sono stati considerati sottratti ai fini della determinazione dei fabbisogni i quantitativi di frazioni secche e di CSS, di combustibile solido secondario, solo per quelle regioni che hanno già pianificato il loro flusso presso determinati impianti produttivi già individuati ed autorizzati. Però sono tipologie di sottoprodotti, come spesso è il CSS, o di rifiuti che sono classificati come speciali e che non hanno una bacinizzazione regionale, così come è da valutare con maggiore attenzione la soglia dei 100.000 metri cubi indicata nel decreto, che risale a delle linee-guida ormai datate che diversi studi ritengono ambientalmente ed economicamente non più convenienti perché molto basse. 
Secondo aspetto poco convincente è quello relativo alla valutazione di impatto ambientale e alla considerazione del documento come un documento di mera programmazione, perché anche nel rapporto preliminare si rinvia – e lo ha confermato anche la sottosegretaria – a livelli successivi di valutazione da parte delle regioni. È invece da ritenere che la natura programmatoria del documento comporti anche la non sottrazione alla procedura di VAS, non soltanto nella fase preliminare. Quindi, io ritengo che vada posta molta attenzione all'impatto che una rete nazionale ha sull'intero territorio italiano; non possiamo considerare delle monadi questi singoli inceneritori realizzati nelle varie regioni, ma va fatta una valutazione complessiva per l'impatto che possono avere anche su altri aspetti ambientali. Quindi, l'invito è che nella fase restante del procedimento venga posta attenzione a queste criticità che erano nell'interrogazione originaria, che sono state in parte risolte, ma che meritano ancora uno sforzo aggiuntivo da parte del Governo.