08/09/2015
Marco Miccoli
Piazzoni, Zaccagnini
3-01677

Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che: 
il decreto-legge 23 settembre 2001 n. 351, recante «Disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo di fondi comuni di investimento immobiliare», convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001 n. 410, si prefiggeva di abbattere il debito pubblico e di contenere le spese per il mantenimento degli uffici pubblici, semplificando le modalità di dismissione di beni immobili dello Stato; 
era convinzione dell'allora Ministro dell'economia e delle finanze, professor Siniscalco – come esposto nell'ambito di una indagine conoscitiva dalla Commissione bicamerale di controllo sull'attività degli enti previdenziali – che, cedendo gli immobili residenziali e razionalizzandone l'uso, il debito pubblico non sarebbe aumentato ma ridotto; 
i primi tre articoli del citato decreto-legge hanno introdotto una nuova procedura di dismissione: la «cartolarizzazione» mediante la quale attività non agevolmente negoziabili, quali gli immobili di proprietà pubblica, sono convertite in strumenti finanziari più facilmente collocabili sui mercati; 
con l'articolo 4 dello stesso decreto si autorizza la costituzione di fondi comuni di investimento, ai quali vengono trasferiti o conferiti, dietro pagamento di un corrispettivo ai precedenti proprietari, beni immobili, ad uso diverso da quello residenziale, appartenenti allo Stato, all'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato e agli enti pubblici non territoriali. Tali immobili sono concessi in locazione all'Agenzia del demanio, la quale li assegna ai soggetti che li avevano precedentemente in uso; gli utilizzatori pagano un canone all'Agenzia medesima, la quale, a sua volta, lo riversa al fondo. Le quote del fondo sono collocate sul mercato; 
scopo dell'operazione era quello di valorizzare i beni in questione, razionalizzare gli spazi occupati e di contenere i costi operativi mediante il trasferimento a privati, su base competitiva, dell'attività di gestione immobiliare; 
con decreto ministeriale del 9 giugno 2004, il Ministero dell'economia e delle finanze ha promosso, ai sensi della predetta normativa, il fondo immobili pubblici (FIP), un fondo comune di investimento immobiliare di tipo chiuso, riservato ad investitori qualificati; 
con successivo decreto, il 15 dicembre 2004 («decreto operazione») il Ministero dell'economia e delle finanze ha individuato la disciplina per l'intera operazione di conferimento e trasferimento al fondo degli immobili pubblici; 
il regolamento di gestione del Fondo – deliberato dalla società di gestione ed approvato dalla Banca d'Italia il 16 dicembre del 2004 – espone lo scopo dell'operazione, ovvero quello della gestione e della vendita del portafoglio, nel corso della vita del fondo, prevista in 15 anni; 
il 29 dicembre 2004 («data di apporto/trasferimento»), il FIP è diventato proprietario del portafoglio, che comprendeva inizialmente 394 immobili ad uso «non residenziale» e generalmente sede di uffici locali di Ministeri, Agenzie fiscali ed enti previdenziali. Gli immobili sono stati trasferiti/apportati tramite specifici decreti del Ministero dell'economia e delle finanze anche di concerto con altri Ministeri. Ti valore di trasferimento/apporto complessivo è pari a circa euro 3,3 miliardi (valore di mercato «asset by asset» alla data del trasferimento/apporto pari a circa euro 3,7 miliardi); 
in pari data FIP e Agenzia del demanio hanno stipulato un contratto di locazione (9+9 rinnovabile automaticamente) e l'Agenzia del demanio ha a sua volta stipulato con le pubbliche amministrazioni utilizzatrici dei «disciplinari di assegnazione» con i quali ha reso disponibile il compendio immobiliare alle singole pubbliche amministrazioni utilizzatrici; 
l'attività gestionale del fondo in capo alla società di gestione del risparmio Investire Immobiliare-SGR spa (individuata in conformità alle procedure indicate nel decreto del 9 giugno 2004) è volta alla valorizzazione degli immobili concessi in locazione all'Agenzia del demanio ed inizialmente utilizzati dalla pubblica amministrazione su assegnazione dell'agenzia stessa; 
il regolamento del FIP stabilisce che, per i primi due anni di durata del Fondo, la SGR non cederà gli immobili locati, salvo diverso accordo con il relativo conduttore. A partire dal terzo anno di durata del fondo, la dismissione degli immobili avverrà sulla base di un piano di liquidazione predisposto dalla SGR spa, con cessioni per circa 300 milioni di euro l'anno: operazione che dovrebbe, nel complesso, concludersi nel 2018; 
nella prima fase una parte del portafoglio viene messo all'asta da SGR e nel 2007 riguarda 22 immobili di piccole dimensioni, localizzati in città come L'Aquila, Modena, Treviso, Padova, Gorizia, oltre a due stabili situati in Roma. Si tratta di edifici con destinazione d'uso ufficio, come tutti quelli concentrati nel Fip, del valore complessivo di 200 milioni di euro; 
alla data del 31 dicembre 2014 gli immobili venduti dal Fondo FIP ammontano a 165 unità, sparsi in quasi tutte le regioni italiane, con un ricavo di oltre euro 1.210.000.000; 
alla medesima data il portafoglio del FIP risulta di 230 immobili ad uso non residenziale, con una superficie lorda complessiva di circa 2,7 milioni di metri quadri di euro, come dalla valutazione semestrale effettuata da Reag – Real Estate Advisory Group spa sui singoli immobili; 
la maggiore concentrazione degli immobili del portafoglio, geograficamente diversificato, è al Nord e al Centro Italia, in particolare in Piemonte, Lombardia e Lazio; 
gli immobili situati in aree urbane centrali e semicentrali rappresentano l'80 per cento del portafoglio, con prevalente destinazione d'uso ufficio; 
secondo FIP (12 febbraio 2005) «gli immobili demaniali si sono rivalutati in percentuali che vanno dal 100 al 200 per cento, con seguente aumento della consistenza del patrimonio residuo» (a suffragare questa tesi vi sarebbe la rivalutazione dell'enorme palazzo dell'ex intendenza di Finanza a Milano, che da 55,5 milioni passerebbe a 174,6 (più del 300 per cento). Da tali notizie si dedurrebbe il plusvalore della gestione, nell'ipotesi della liquidazione definitiva del fondo; 
una stima più precisa della plusvalenza complessiva del fondo appare, almeno a breve, alquanto difficoltosa: ciò verrebbe confermato anche dalla Corte dei conti, che, nella relazione del 2006 sui risultati delle cartolarizzazioni, è costretta ad elencare molte criticità ammettendo che: «l'incompletezza degli elementi informativi, resi disponibili dalle amministrazioni controllate, nonostante i reiterati solleciti della Corte, non ha consentito di compiutamente ricostruire tutti i passaggi e tutti i contenuti dell'operazione»; 
da fonti stampa si apprenderebbe che diversi immobili del portafoglio FIP risulterebbero appetibili ai grandi fondi esteri,Blackstone, Cerberus, Soros, i quali sarebbero interessati ad acquisire quelli di notevole pregio, che offrirebbero loro buone potenzialità di riposizionamento. L'obiettivo dei suddetti colossi sarebbe quello di ricollocare sul mercato gli asset una volta riconvertiti con una buona plusvalenza; 
un particolare interesse sembra essere rivolto alla ex sede INPS di Piazza Augusto Imperatore in Roma, valutata 22,2 milioni di euro e considerata «uno dei gioielli del FIP». L'immobile sembra essere prossimo alla vendita, per dar vita, dopo la ristrutturazione, ad un hotel di lusso, con particolare vista su centro storico di Roma e sul Mausoleo d'Augusto. Per il palazzo, di pregio architettonico, sembra essere già in atto una procedura di vendita, tanto che i negozi sotto i portici della piazza hanno già ricevuto l'avviso di sfratto per settembre 2015; 
la presunta operazione comporterebbe un complesso cambio di destinazione d'uso dell'immobile sopracitato, per adibirlo ad attività commerciale di tipo alberghiero-ricettivo di alta qualità. In tal senso occorre ricordare che l'immobile è sottoposto a vincoli di legge: piano regolatore generale e decreto legislativo n. 42 del 2004 (codice dei beni culturali), derivanti anche dall'appartenenza al centro storico di Roma, riconosciuto dall'Unesco patrimonio dell'umanità –: 
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti e delle presunte dinamiche esposte, che appaiono agli interroganti rivolte alla speculazione finanziaria piuttosto che alla eventuale dismissione degli immobili per utilizzo a fini abitativi o d'interesse sociale o culturale, reputati al quanto rilevanti, se si considera anche la grave emergenza abitativa che interessa grandi centri come Roma e Milano; 
se intendano valutare la compatibilità dell'operazione – considerati i possibili costi e svantaggi della medesima, nonché l'impatto sul tessuto locale, e sulla qualità urbanistica a lungo termine, a fronte di presunti benefici, difficilmente o non completamente valutabili – con quanto previsto dalle norme di tutela e valorizzazione dei beni di interesse culturale.