30/10/2015
Lia Quartapelle Procopio
Giuliani, Sereni, Carrozza, Garavini, Locatelli, Fitzgerald Nissoli, Zampa, Fedi, Nicoletti, Porta
1-01050

La Camera, 
premesso che: 
i diritti delle donne costituiscono parte integrante ed inalienabile del patrimonio di diritti universali in cui si riconoscono le società democratiche; 
la violenza sulle donne è probabilmente la forma più pervasiva di violazione dei diritti umani conosciuta oggi, che devasta vite, disgrega comunità e ostacola Io sviluppo, e rappresenta un problema di proporzioni pandemiche, come osservano i rapporti dell'UNIFEM, il Fondo di sviluppo per le donne delle Nazioni Unite; nell'attuale quadro estremo di crisi, guerre e persecuzioni il tema dei diritti umani, e in particolare quello delle donne appare fondamentale e urgente nella sua complessità; lo stupro, eseguito in modo sistematico e di massa su donne, ragazze, bambine e bambini, così come la schiavitù sessuale e la tratta di esseri umani, insieme ad altre forme di violenza, sono ancora usati come armi, forme di controllo e di sopraffazione in zone di conflitto in tutto il mondo; 
negli ultimi anni, la stampa internazionale ha ripetutamente denunciato il crimine sistematico delle violenze di cui sono vittime migliaia di donne negli attuali teatri di guerra e, in particolare, nel quadro dei conflitti in Siria, in Iraq, in Libia, in Nigeria e nella Repubblica Democratica del Congo; 
alcuni rapporti di importanti organizzazioni non governative tra le quali International rescue committee e Human rights watch confermano l'ampiezza del fenomeno nel quadro del conflitto siriano, denunciando violenze messe in atto dalle forze governative e dai gruppi armati non statali, in particolare dai miliziani jihadisti dell'autoproclamato Stato islamico dell'Iraq e della Siria (ISIS); i rapporti mettono altresì in evidenza le difficoltà di ottenere testimonianze dirette, anche dovute al timore delle vittime di diventare successivamente oggetto di discredito sociale, di essere allontanate dal contesto familiare e del rischio stesso di divenire vittime di delitti d'onore; 
l'organizzazione Women's Media Center ha lanciato un'iniziativa, denominata Women Under Siege, al fine di raccogliere un ampio numero di testimonianze riportate dalla stampa; tale progetto sembra confermare quanto stabilito nelle conclusioni della Commissione d'inchiesta internazionale indipendente sulla Siria, che già nel primo rapporto pubblicato il 15 agosto 2012, denunciava che «la violenza sessuale ha avuto un ruolo di primo piano nel conflitto, così come la paura e la minaccia dello stupro e delle violenze; ci sono casi di violenza sessuale durante le incursioni, ai posti di blocco, nei centri di detenzione e nelle prigioni di tutto il paese; la minaccia di stupro è uno strumento per terrorizzare e punire le donne, i bambini e gli uomini, ritenuti sostenere l'opposizione»; 
le violazioni dei diritti dell'uomo e i crimini di guerra da parte delle forze governative siriane che includono le violenze e le sevizie sessuali sono confermate negli ultimi rapporti pubblicati dalla Commissione nel 2014 e nel 2015; tali rapporti, rilevano, tuttavia, che anche gli appartenenti al gruppo terroristico dell'ISIS, il quale si è dotato di una struttura gerarchica e politica, si sono adoperati in gravissimi crimini di guerra e contro l'umanità, deliberati e calcolati in particolare contro le donne e i minori, in particolare delle donne appartenenti alle minoranze etniche e religiose; 
in Iraq, da più di dieci anni, rapimenti, omicidi e stupri sono una costante nella vita delle donne e delle ragazze irachene; per quanto attiene la situazione in Libia, la presenza dei miliziani dell'ISIS ha avuto effetti nefasti sulle condizioni di vita delle bambine e delle donne; come riportato dal dossier indifesa 2015, pubblicato dalla ONG internazionale Terre des Hommes, nelle città controllate dal Califfato, il numero dei matrimoni di ragazze minorenni avrebbe conosciuto un brusco aumento; in Nigeria, Amnesty International stima che siano più di duemila le donne e le ragazze rapite da Boko Haram, che utilizza sempre più spesso donne e bambine come kamikaze per portare a termine attentati suicidi in luoghi affollati come i mercati o nei pressi delle stazioni di polizia; anche nella Repubblica Democratica del Congo, infine, lo stupro sistematico di donne e ragazze viene utilizzato come una vera e propria arma di guerra sia delle truppe regolari che di armate ribelli; nel 2012, il Ministero congolese del gender ha riportato 15.654 casi di violenza sessuale, con un aumento del 52 per cento rispetto al 2011; 
Amnesty International ha incontrato migliaia di profughi, provenienti da tutti governatorati della Siria, fuggiti nei paesi vicini; l'ONG internazionale riferisce in diversi documenti che per le rifugiate siriane il principale motivo per cui hanno lasciato la Siria era la paura dello stupro e della violenza sessuale; le donne rifugiate rappresentano quasi sempre l'unica speranza di sopravvivenza per i figli; tuttavia, il drammatico destino delle vittime della guerra vuole che le fuggiasche non trovino sicurezza neanche una volta varcati i confini della Siria; nel documento Za'atari Governance Plan (giugno 2013) dell'Unhcr si legge, infatti, che nel campo profughi di Za'atari, situato in Giordania e diventato con i suoi 120.000 profughi il secondo campo più grande al mondo, «persone potenti e bande organizzate hanno imposto la loro volontà su quartieri del campo, deviando l'assistenza e realizzando attività criminali»; il documento parla anche di ambiente insicuro, con gruppi vulnerabili che corrono gravi rischi tra cui sfruttamento e abuso sessuale, senza potere ricorrere al sistema giudiziario giordano; 
nelle comunità di profughi in Libano, in Turchia, in Giordania e in Egitto si registra un allarmante incremento dei fenomeni di sfruttamento e dei matrimoni precoci, che espongono le giovani donne a violenze fisiche, abusi e gravidanze precoci; 
l'articolo 3 delle Convenzioni di Ginevra, che riguarda i conflitti armati a carattere non internazionale, che si verificano nel territorio di uno degli Stati contraenti contiene un insieme di divieti inderogabili, in qualsiasi luogo e in qualsiasi circostanza, tra cui la violenza contro la vita e le persone, la cattura di ostaggi, l'oltraggio alla dignità personale, e in particolare i trattamenti umilianti e degradanti, l'emissione di sentenze di condanna e le esecuzioni effettuate senza regolare processo; le gravi violazioni delle convenzioni di Ginevra rientrano nei crimini di competenza della Corte penale internazionale, unitamente ai crimini di genocidio, ai crimini contro l'umanità e a tutti i crimini di guerra, siano essi trattati o meno dalle convenzioni di Ginevra; tale esigenza è stata più volte sottolineata all'interno della comunità internazionale, sia dai movimenti delle donne che da altri soggetti, sia non governativi che istituzionali, ed ha trovato risposta sia nello statuto della Corte penale internazionale che in altre recenti interpretazioni del diritto umanitario; la risoluzione 1325 su «Donne, Pace e Sicurezza», approvata all'unanimità dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU il 31 ottobre del 2000, è la prima in assoluto che menziona esplicitamente l'impatto della guerra sulle donne ed il contributo delle stesse nella risoluzione dei conflitti per una pace durevole; il provvedimento rafforza, estendendoli a tutte le Parti in conflitto e alle Parti «terze», importanti impegni derivanti dalla più ampia «Convention on the elimination of all forms of discrimination against women» (CEDAW), elaborata dalle Nazioni Unite e ratificata dall'Italia il 10 giugno 1985, quali la piena partecipazione delle donne nei processi decisionali, il ripudio della violenza contro le donne, l'esigenza della loro protezione e la valorizzazione delle loro esperienze; nell'ambito dell'attuazione del Piano nazionale donne, pace e sicurezza 2014-2016, il Ministero della difesa ha avviato nel giugno 2014 il primo corso per gender advisor con l'obbiettivo di formare una nuova figura professionale, istituita in ambito Nato, di supporto ai comandanti nel rendere le forze armate sempre più aderenti ai principi delle pari opportunità e dell'uguaglianza di genere e di contribuire a una pace sempre più stabile e duratura nei territori di missione; 
l'uso dello stupro come arma di guerra è stato ufficialmente condannato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, con la risoluzione 1820, appoggiata da trenta Paesi, tra cui l'Italia, e approvata dai 15 Stati membri del Consiglio di sicurezza; il quarto paragrafo di tale risoluzione osserva che «lo stupro e altre forme di violenza sessuale possono rappresentare un crimine di guerra, un crimine contro l'umanità o comunque un atto che afferisce al genocidio» e sottolinea inoltre «l'importanza di porre fine all'impunità nei confronti di tali atti, come parte di un approccio globale per la ricerca della pace della giustizia, della verità e della riconciliazione nazionale»; l'opportunità di avviare indagini sulle violenze contro le donne in Siria si conferma urgente e prioritaria in ragione del fatto che se potesse essere provato che essi sono stati pianificati, i responsabili potrebbero essere imputati davanti ai tribunali internazionali di crimini contro l'umanità e di crimini di guerra, anche in relazione a tale fattispecie criminosa; in linea con la dottrina che vuole attribuire alla Corte penale internazionale un ruolo sempre più concreto nella valutazione delle questioni internazionali, il Governo italiano ha assicurato un costante impegno per autorizzare e promuovere un'indagine della Corte penale internazionale sulle atrocità commesse in Siria; tuttavia, l'iniziativa per una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite volta a deferire, come avvenuto per la situazione in Libia, le due parti in conflitto in Siria davanti alla Corte penale internazionale ha incontrato per quattro volte il veto di due rappresentanti permanenti, ossia la Cina e la Federazione Russa; l'Italia ha altresì svolto un ruolo importante nel percorso internazionale volto all'adozione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta ad Istanbul l'11 maggio 2011, che rappresenta il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativa completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza; 
il Capo VIII (articoli 62-65) della Convenzione prevede obblighi di cooperazione internazionale tra Stati al fine di rafforzare l'azione di contrasto alla violenza nei confronti delle donne; l'articolo 62, paragrafo 4, in particolare, dispone che «Le Parti si sforzano di integrare, se del caso, la prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica nei programmi di assistenza allo sviluppo condotti a favore di paesi terzi, compresa la conclusione di accordi bilaterali e multilaterali con paesi terzi, al fine di facilitare la protezione delle vittime»; la violenza sulle donne, gli stupri di guerra, le mutilazioni e più in generale l'uso del corpo delle donne come strumento di repressione e di sottomissione richiamano l'Italia come Paese e come membro della comunità internazionale, ad un'immediata assunzione di responsabilità,

impegna il Governo:

a utilizzare tutti gli strumenti d'azione diplomatica per sostenere gli sforzi internazionali e regionali volti a una soluzione delle crisi e per richiedere il rispetto del diritto internazionale umanitario e del diritto bellico da parte tanto degli eserciti regolari quanto dei gruppi armati di opposizione, monitorandone la condotta e condannandone le violazioni; 
a favorire con ogni mezzo e in ogni sede la raccolta delle testimonianze e delle prove, nonché ogni indagine volta a stabilire la verità sulle violenze di cui sono vittime le donne e i minori nei conflitti e ad individuarne i responsabili, continuando a promuovere un deferimento delle situazioni al procuratore della Corte penale internazionale; 
a riconoscere la protezione e l'assistenza delle donne e dei minori rifugiati come una priorità nell'ambito delle attività della cooperazione internazionale e dell'accoglienza, offrendo supporto per il mantenimento e l'avvio di nuovi progetti di assistenza medica, psicosociale e legale per le donne e i minori che hanno subito violenza; a promuovere nel contesto internazionale la conclusione di accordi bilaterali e multilaterali volti alla prevenzione delle violenze, alla protezione delle vittime e allo sviluppo e il rafforzamento delle istituzioni nazionali, in modo particolare i sistemi giudiziari e sanitari e le reti locali della società civile, allo scopo di fornire una adeguata assistenza alle donne e ai minori vittime di violenze nei conflitti armati e nelle situazioni post-belliche.