10/10/2018
Elena Carnevali
De Filippo, Rosato, Ubaldo Pagano, Marco Di Maio, Morani, Pezzopane, Gadda, Siani, Pini, Enrico Borghi, Serracchiani, Fragomeli
1-00059

La Camera,

   premesso che:

    secondo l'ultimo rapporto sulla salute mentale (2016), sono 807.035 le persone con problemi di salute mentale assistite dai dipartimenti di salute mentale (esclusi i dati della regione Valle d'Aosta e della provincia autonoma di Bolzano);

    sono passati quarant'anni anni dall'approvazione della legge 13 maggio 1978, n. 180, nota anche come «legge Basaglia» che ha avviato in Italia un percorso di riforma della psichiatria sulla base di tre princìpi fondamentali: superamento della logica manicomiale fondata sull'esclusione della persona da comunità di appartenenza, precisa regolamentazione dei trattamenti sanitari obbligatori circoscritti solo a casi limitati e preferenza per servizi e presìdi socio-sanitari extraospedalieri di cura, prevenzione e riabilitazione diffusi nel territorio, per favorire l'inclusione sociale;

    tale strategia ha dato finalmente dignità e diritti a chi soffre di disturbi mentali. Per la prima volta, infatti con la «riforma Basaglia» chi soffre di disturbi mentali da soggetto pericoloso, incurabile, da allontanare dalla società, è diventato soggetto protagonista della propria vita con i diritti di cittadinanza, compreso il diritto alla cura e alla possibilità di guarigione;

    prima della legge n. 180 in Italia erano presenti 98 ospedali psichiatrici, regolati dalla legge 14 febbraio 1904, n. 36, che ospitavano più di 89.000 persone e dove i ricoveri avvenivano in modo coatto, perfino su richiesta di chi segnalava la presunta pericolosità della persona in questione, dove non esistevano limiti di età per il ricovero, e bastava un certificato medico che dichiarasse il soggetto pericoloso per sé o per gli altri. Per questo spesso venivano internati anche bambini piccolissimi, solo perché le famiglie non potevano o non volevano prendersene cura e dove, più che curare i pazienti si tendeva a sedarli e contenerli;

    la prima modifica dei manicomi si ebbe con la legge 12 febbraio 1968, n. 132, che fissò un massimo di 500 posti letto per manicomio, abolì l'iscrizione al casellario giudiziario degli internati e introdusse il ricovero volontario con la speranza che nel tempo potesse diventare la modalità principale di ricovero;

    soltanto con la legge Basaglia, però, vi sono stati il superamento dell'istituto del manicomio e la restituzione del diritto di cittadinanza alle persone con problemi di salute mentale, l'eliminazione della pericolosità dai criteri per cui una persona doveva essere curata, e l'introduzione del trattamento sanitario obbligatorio (TSO), sempre «nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici garantiti dalla Costituzione»;

    la portata storica della legge n. 180, quindi, non risiede soltanto nelle norme di immediata attuazione, quanto piuttosto nella affermazione della dignità delle persone, del godimento dei diritti civili e politici dei malati, della volontarietà nell'accesso alle cure, che sono state poi perseguite con legislazione ordinaria in primis dalla legge n. 833 del 1978 di riforma sanitaria e dalla normativa di dettaglio, che tuttavia hanno faticato ad affermarsi nella concreta declinazione nelle regioni e nei territori;

    infatti, la rivoluzione iniziata con la «legge Basaglia» ha richiesto e continua a richiedere molto tempo differenziandosi da regione a regione e, se molte di quelle disposizioni hanno trovato piena applicazione, diverse norme di principio, la cui attuazione era affidata a provvedimenti successivi e conseguenti, non hanno trovato risposta. Un esempio ne è il principio della cosiddetta «territorializzazione» dell'assistenza psichiatrica per il quale una definizione a livello nazionale della responsabilità, dei compiti e degli standard qualitativi è affidata ad un Progetto obiettivo per la salute mentale di 20 anni fa;

    tutt'oggi, gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione relativi alle malattie mentali attuati di norma dai servizi e presìdi extraospedalieri hanno assoluto bisogno di una rinnovata cornice di obbiettivi e strumenti nazionali chiari, forti e condivisi per orientarne l'operatività;

    l'unico atto formale di carattere generale dello Stato, dal 1978 ad oggi, che si è occupato di normare i princìpi della legge 180 è stato il progetto obiettivo «Tutela salute mentale 1998-2000», di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 274 del 22 novembre 1999. Un testo sicuramente condivisibile, ma privo per sua propria natura della «forza» giuridica necessaria e ormai ampiamente datato;

    lo stesso superamento dell'istituto del manicomio, pilastro della rivoluzione della «legge Basaglia» è stato lento e ci sono voluti circa vent'anni, perché gli ospedali psichiatrici fossero sostituti da centri di salute mentale (Csm), da centri diurni (Cd) per favorire la permanenza a casa, da strutture residenziali per chi ha bisogno di assistenza per lunghi periodi e da servizi psichiatrici di diagnosi e cura (Spdc) cioè i reparti psichiatrici degli ospedali generali;

    solo con la legge 17 febbraio 2012, n. 9, e la legge 30 maggio 2014, n. 81, è stata stabilita la chiusura dei sei ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), le cui condizioni erano simili se non peggiori di quelle dei vecchi manicomi. Il superamento effettivo di queste strutture è stato completato nel 2017 per far posto non solo alle residenze per le misure di sicurezza detentive (Rems), ma soprattutto a percorsi di cura e riabilitazione individuali con misure di sicurezza non detentive; le Rems dovrebbero ospitare ex lege, non più di 20 posti letto, mentre invece nella struttura più grande d'Italia, Castiglione delle Stiviere, nata dalle ceneri del vecchio ospedale psichiatrico giudiziario sono ricoverati 160 pazienti, di cui 140 uomini e 20 donne;

    si tratta di 28 strutture presenti in tutta Italia, di cui 4 definitive, per 604 persone ricoverate. Sono forti le differenze tra regioni visto che accanto a edifici all'avanguardia provvisti di spazi verdi, laboratori e aree ricreative, resistono strutture che assomigliano a piccole carceri in cui si applica persino il regolamento penitenziario nonostante l'accordo della Conferenza unificata del 26 febbraio 2015; Una particolare criticità è rappresentata dalla lista d'attesa per l'ingresso in Rems: in teoria, sarebbero oltre 400 le persone con misura di sicurezza detentiva che non hanno trovato ancora posto, ma in realtà molte di queste persone hanno già trovato una soluzione con l'inserimento in altre strutture sanitarie, suscita invece preoccupazione la situazione delle persone rimaste in carcere. La soluzione, come ha rappresentato anche il Consiglio superiore della magistratura, non è l'aumento dei posti Rems (da considerarsi extrema ratio) quanto una più puntuale attuazione della legge n. 81 del 2014 per l'adozione di misure di sicurezza non detentive;

    anche gli Spdc e i Csm sono spesso oggetto di critiche, poiché tra le regioni ci sono molte differenze nei servizi di cura alle persone con disturbi mentali: così come oggetto di critica sono le modalità con cui troppo spesso viene adottato il trattamento sanitario obbligatorio (Tso), regolamentato dalla legge 23 dicembre 1978, n. 833 (articoli 33-35), un atto composito, di tipo medico e giuridico, che consente l'effettuazione di determinati accertamenti e terapie ad un soggetto contro la sua volontà, che talvolta è stato praticato in modo violento con episodi estremi di morte del paziente;

    al di là delle criticità evidenziate, c'è bisogno di diffondere una maggiore cognizione sulla curabilità dei gravi disturbi psichiatrici, dai quali si può guarire, avendo ben presente che, secondo le attuali conoscenze scientifiche, sono da considerarsi multifattoriali con componenti psicologiche, biologiche e sociali;

    è necessario comunque dare risposte concrete a queste critiche, senza per altro giustificare pericolose scorciatoie verso un ritorno alla logica manicomiale;

    appare oggi sempre più urgente assicurare una uniformità di trattamento ai malati mentali su tutto il territorio nazionale, con interventi che si pongano in continuità con la legge 180 e con il progetto obiettivo «Tutela salute mentale 1998-2000»;

    affinché si possa affermare un dibattito privo di conflitti ideologici, utile alla stesura di norme che partano dalle buone pratiche che esistono nel nostro Paese, è necessario che le istituzioni ascoltino e dialoghino con chi quotidianamente affronta la malattia mentale: le oltre 800.000 persone affette, i circa 2 milioni di familiari che le seguono, gli operatori del servizio sanitario nazionale;

    da quanto anche è emerso dall'inchiesta sui dipartimenti di salute mentale della Commissione parlamentare di inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del servizio sanitario nazionale avviata dal Senato nel corso della XVI legislatura nel contesto sanitario italiano, le normative vigenti sulla tutela della salute mentale offrirebbero sufficienti possibilità di attuazione ed organizzazione dei servizi, attraverso la filosofia di cura territoriale, individualizzata e centrata sui luoghi di vita delle persone, come delineata già dalla legge n. 180: dove l'applicazione della normativa vigente è avvenuta senza indugio e i servizi di salute mentale sono stati realizzati in modo efficiente, gli stessi sono stati valutati dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) come un modello di eccellenza internazionale; ove ciò non è avvenuto, si sono prodotte lacune, anche gravi, nella rete globale dell'assistenza sanitaria, fino a situazioni di franco degrado. Peraltro, le diverse declinazioni regionali delle normative nazionali, anche quando legittimamente congrue agli indirizzi generali, hanno comunque prodotto una difformità di servizi sul territorio nazionale, con differenze, anche sostanziali, nelle possibilità di cura del cittadino nel luogo di vita;

    ove è presente la disapplicazione delle norme, per disimpegno politico e/o incapacità amministrativa, sono conseguite carenze e difformità negli interventi sociosanitari per la psichiatria a livello regionale e locale come ad esempio l'apertura solo diurna dei centri di salute mentale, spesso per fasce orarie ridotte e l'esiguità di interventi territoriali individualizzati ed integrati con il sociale;

    in una disciplina come la psichiatria e nel campo più vasto della salute mentale, più che l'uso di tecnologie sofisticate (pur esistendo un sempre migliore ed evoluto trattamento farmacologico), conta la relazione interpersonale e la presenza di personale sufficiente, motivato e competente come condizione necessaria per la realizzazione di interventi di qualità;

    il quadro complessivo del personale dei Dsm in Italia risente di un contenimento finanziario ma anche di difficoltà di investimento per quanto riguarda le risorse umane del servizio sanitario (si vedano, ad esempio, i recenti rapporti della Siep, la Società Italia di epidemiologia psichiatrica);

    la riduzione del personale ha riguardato in modo rilevante i Dsm italiani, nei quali operano in media 57,7 unità di personale per 100.000 abitanti di età superiore ai 18 anni, dato significativamente inferiore al 66,6 x 100.000 indicato nel Po 1998-2000;

    da ultimo, se si riconosce che i bisogni e i diritti di chi soffre di disturbi mentali, anche gravi, sono da rispettare diventa fondamentale che l'inclusione sociale, abitativa e lavorativa rientri a pieno titolo nel percorso terapeutico-riabilitativo;

    infatti, una delle maggiori problematiche aperte nel campo della salute mentale è rappresentata dalla difficoltà che gli utenti, le famiglie e i servizi hanno nel portare avanti percorsi di inserimento lavorativo. Ai sensi della legge 12 marzo 1999, n. 68, le aziende hanno l'obbligo di assumere persone rientranti nelle categorie protette in relazione al numero dei propri dipendenti; inoltre, le cooperative sociali rappresentano una reale opportunità di impiego per chi soffre di disturbi psichiatrici anche gravi. Si tratta, però, di due possibilità ancora troppo poco utilizzate ed estremamente difficoltose per le quali un importante ruolo lo possono svolgere i dipartimenti di salute mentale come dimostrano le esperienze più avanzate;

    in fine, sono trascorsi più di diciassette anni dall'ultima conferenza nazionale sulla salute mentale tenutasi nel gennaio 2001, e per tutte le ragioni sopra descritte, si rende necessaria una nuova convocazione,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per rimuovere qualsiasi forma di discriminazione, stigmatizzazione ed esclusione nei confronti delle persone con disagio e disturbo mentali, nonché promuovere l'esercizio attivo dei diritti costituzionali e delle libertà fondamentali da parte degli stessi;

2) a valorizzare le attività e le iniziative volte a promuovere la prevenzione del disagio e del disturbo mentali, con particolare riferimento ai determinanti sociali, allo stile di vita, all'ambito familiare, al lavoro, alla scuola, agli ambienti di lavoro e alla comunità;

3) ad aggiornare, al fine di garantire l'effettiva tutela della salute mentale quale componente essenziale del diritto alla salute, i livelli essenziali di assistenza di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, 12 gennaio 2017, privilegiando percorsi di cura individuali in una prospettiva di presa in carico della persona nel complesso dei suoi bisogni, per una piena inclusione sociale secondo i principi della «recovery», e sulla base di un processo partecipato;

4) ad adottare, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, un piano nazionale per la salute mentale, prevedendo interventi, azioni e strategie finalizzati alla promozione della salute mentale, alla prevenzione del disagio e dei disturbi, al contrasto della discriminazione e delle violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali;

5) a promuovere la seconda Conferenza nazionale per la salute mentale per un confronto vero dal quale uscire con un rinnovato impegno per attuare i principi della legge n. 180 del 1978, a partire dal diritto alla tutela della salute mentale e dai diritti di cittadinanza, così come indicato dall'articolo 32 della Costituzione;

6) ad adottare iniziative per ricostituire la Commissione ministeriale salute mentale quale tavolo di confronto permanente tra il Ministero della salute, le regioni e la società civile che rappresenti, a livello nazionale, gli interessi delle persone con problemi di salute mentale e delle loro famiglie;

7) ad adottare le iniziative di competenza per verificare il rispetto della normativa in materia trattamento sanitario obbligatorio (Tso) in modo tale da offrire ogni tutela possibile contro l'illegittimo ricorso a forme di restrizione della libertà personale nei riguardi delle persone con disturbo mentale nonché eliminare ogni forma di trattamento degradante, a partire dalla contenzione meccanica e di segregazione;

8) ad adottare iniziative per assicurare, in collaborazione con le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nell'ambito della programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali, la risposta ai bisogni di cura, di salute e di integrazione sociale attraverso un approccio multisettoriale e intersettoriale al fine di favorire l'inclusione nelle attività del territorio;

9) ad adottare iniziative per considerare le Rems, in continuità con il superamento degli Opg, solo come extrema ratio evitando un loro utilizzo in modo improprio, considerando, invece, il progetto terapeutico-riabilitativo individuale quale strumento per adottare misure alternative alla detenzione come previsto dalla legge n. 81 del 2014 e richiamato dalla delibera del Consiglio superiore della magistratura 19 aprile 2017;

10) ad adottare iniziative per definire adeguate risorse, in sede di riparto delle disponibilità finanziarie per il servizio sanitario nazionale, visti anche i livelli essenziali di assistenza, da destinare alla tutela della salute mentale.