18/09/2015
Titti Di Salvo
Miccoli, Gnecchi, Albanella, Baruffi, Boccuzzi, Casellato, Cuomo, Damiano, Giacobbe, Gribaudo, Incerti,Patrizia Maestri, Martelli, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Rostellato, Rotta, Simoni, Tinagli, Zappulla
1-00988

La Camera, 
premesso che: 
il Governo in carica ha ereditato le precedenti e numerose misure di blocco o contenimento della contrattazione collettiva nel pubblico impiego: 
l'emanazione del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica» ha determinato, per quanto concerne il pubblico impiego, il congelamento dei trattamenti economici per tre anni, con la finalità del contenimento delle spese, mediante l'articolo 9, comma 21, in base al quale le retribuzioni del personale interessato sono state escluse tanto dai meccanismi di adeguamento di cui all'articolo 24 della legge n. 448 del 1998, quanto dall'applicazione degli aumenti retributivi, i cosiddetti «scatti» e «classi di stipendio», collegati all'anzianità di ruolo, quanto, addirittura, dal riconoscimento dei benefici economici correlati alle progressioni di carriera, senza possibilità successiva di recupero; 
successivamente il decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, ha previsto, all'articolo 16, comma 1, con uno o più regolamenti da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri per la semplificazione e la pubblica amministrazione e dell'economia e delle finanze, la possibilità di prorogare di un anno, ovvero al 2014, le sopradette disposizioni restrittive; 
la formulazione dell'articolo 40 e dell'articolo 5, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 modificano gli spazi delle relazioni sindacali come precedentemente configurati dalla legge e dalla contrattazione collettiva; 
l'articolo 40 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, modificato dall'articolo 54 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, testualmente recita «tramite appositi accordi tra l'Aran e le Confederazioni rappresentative, secondo le procedure di cui agli articoli 41, comma 5, e 47 (...) sono definiti fino a un massimo di quattro comparti di contrattazione collettiva nazionale, cui corrispondono non più di quattro separate aree per la dirigenza (...)»; 
occorre, pertanto, giungere preliminarmente ad un accordo attuativo delle citate disposizioni, al fine di ricondurre alle previsioni normative il numero dei comparti, quale premessa per la riapertura del tavolo contrattuale; 
la legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (legge di stabilità 2015) ha prorogato fino al 31 dicembre 2015 il blocco economico della contrattazione nel pubblico impiego, già previsto dalla normativa vigente fino al 31 dicembre 2014, con conseguente slittamento del triennio contrattuale dal 2015-2017 al 2016-2018; 
pur con la conferma del blocco contrattuale, la stessa legge di stabilità 2015 ha comunque opportunamente sbloccato gli automatismi e le progressioni per determinate categorie di pubblici dipendenti (tra tutti, le forze di polizia) e, in particolare, ha ripristinato gli effetti economici legati alle progressioni di carriera e gli assegni connessi con il merito e con l'anzianità di servizio; 
la Corte costituzionale il 23 luglio 2015, in relazione alle questioni di legittimità costituzionale sollevate con le ordinanze r.o. n. 76/2014 e r.o. n. 125/2014, con decorrenza dalla pubblicazione della sentenza, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del blocco della contrattazione collettiva per il lavoro pubblico, così come risulta dalle norme impugnate e da quelle che lo hanno prorogato che rischiano di rendere strutturale tale blocco; 
la Corte costituzionale ha ribadito la piena legittimità – già affermata in sentenze precedenti – dell'intervento del legislatore volto a far fronte a esigenze eccezionali di riequilibrio del bilancio pubblico, riaffermando alcune peculiarità del settore pubblico rispetto a quello privato, che permangono anche dopo la cosiddetta «contrattualizzazione» dell'impiego pubblico, negando altresì che il blocco temporaneo abbia determinato una situazione di insufficienza della retribuzione alla stregua dell'articolo 36 della Costituzione, osservando che prima del blocco i livelli salariali del settore pubblico si erano già attestati su livelli superiori, a parità di contenuto della prestazione lavorativa, rispetto al settore privato; 
nell'affermare l'illegittimità costituzionale sopravvenuta del blocco della contrattazione collettiva nel settore pubblico, la Corte costituzionale ha precisato che la riattivazione della negoziazione collettiva costituisce un dato essenzialmente procedurale, «disgiunto da qualsiasi vincolo di risultato»; 
già antecedentemente alla sentenza della Corte costituzionale, in data 17 giugno 2015, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, rispondendo ad un'interrogazione «in merito alla sospensione o alla revoca, a partire dal secondo semestre 2015, del blocco della contrattazione nazionale del pubblico impiego», in tale sede ha riferito – sostanzialmente d'intesa con la Ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione – che il Governo nella sua collegialità ha ritenuto di confermare il blocco della contrattazione collettiva economica per il pubblico impiego prorogato al 2015 ma parzialmente compensato da un periodo di bassa inflazione. È evidente tuttavia che il blocco dei contratti non può essere la normalità e per questo l'auspicio è di riaprire il prima possibile una normale contrattazione; 
successivamente, durante il passaggio al Senato della Repubblica del disegno di legge delega approvato ad agosto 2015, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, la stessa Ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione, ha preannunciato la volontà del Governo di superare il blocco della contrattazione, dopo cinque anni di fermo della parte economica dei contratti collettivi di lavoro nel pubblico impiego; 
il rinnovo del contratto collettivo per tre milioni e mezzo di lavoratrici e lavoratori del pubblico impiego è una scelta utile per l'economia e indispensabile per riconoscere il valore al lavoro pubblico; 
la valorizzazione dei lavoratori del pubblico impiego è condizione necessaria per la piena realizzazione degli obiettivi positivi di semplificazione, qualità e maggiore efficacia della pubblica amministrazione perseguiti della legge 7 agosto 2015, n. 124; 
il processo di semplificazione e di innovazione prefigurato dalla legge 7 agosto 2015, n. 124, individua all'articolo 17 i principi e criteri direttivi cui debbono uniformarsi i decreti attuativi sul riordino e la semplificazione della disciplina in materia di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e dei connessi profili di organizzazione amministrativa e, all'articolo 11, introduce un nuovo modello organizzativo della dirigenza pubblica,

impegna il Governo:

a favorire la chiusura degli accordi di cui all'articolo 40 del decreto legislativo n. 165 del 2001, ai fini della conclusione rapida e comunque entro il 2015 del processo di ridefinizione dei comparti, così come previsto dal citato decreto legislativo n. 165 del 2001 e successive modificazioni, apportate dal decreto legislativo n. 150 del 2009, anche con soluzioni innovative, in coerenza con l'impianto della legge n. 124 del 2015; 
a prevedere, nell'ambito della prossima manovra finanziaria e nel quadro delle compatibilità finanziarie individuate in quella sede, adeguate risorse da destinare al rinnovo dei contratti del pubblico impiego. 
 

Seduta del 21 settembre 2015

Discussione sulle linee generali

 

Seduta del 24 settembre 2015