11/05/2015
Romina Mura
Cani, Capelli, Di Gioia, Marrocu, Martella, Marco Meloni, Meta, Pes, Rosato, Francesco Sanna, Giovanna Sanna, Scanu
1-00854

La Camera, premesso che: 
il rapporto Svimez 2014 sull'economia del Mezzogiorno ha rilevato come tra le principali economie industrializzate, principalmente per effetto della crisi di competitività che la colpisce da oltre dieci anni, l'Italia è fra le più lente a recuperare: dal 2001 al 2013 il prodotto interno lordo nazionale ha infatti registrato una flessione dello 0,2 per cento, per effetto dell'ampia forbice tra un Centro-Nord positivo (+ 2 per cento) e un Mezzogiorno fortemente in ribasso (-7,2 per cento); 
in base a valutazioni Svimez, nel 2013 il prodotto interno lordo è crollato nel Mezzogiorno del 3,5 per cento con un calo superiore di quasi due punti percentuali rispetto al Centro-Nord e che per il sesto anno consecutivo registra un segno negativo, a testimonianza della criticità dell'area. Il divario di prodotto interno lordo pro capite tra Centro-Nord e Sud nel 2013 è sceso al 56,6 per cento, tornando ai livelli del 2003, oltre dieci anni fa, con un prodotto interno lordo pro capite pari a 16.888 euro; 
il rapporto Svimez evidenzia due grandi emergenze nel nostro Paese: quella sociale con il crollo occupazionale e quella produttiva con il rischio di desertificazione industriale, che caratterizzano oramai per il sesto anno consecutivo il Mezzogiorno. Nel caso del Sud la peggior crisi economica del dopoguerra rischia di essere sempre più paragonabile, scrive l'istituto di ricerca, alla Grande depressione del 1929; 
in questo quadro, la Sardegna si mostra sempre più povera, con una disoccupazione giovanile allarmante, e in recessione. Nel 2013, il prodotto interno lordo della Sardegna è diminuito del 4,4 per cento, più della media registrata nelle regioni meridionali e insulari. Negli anni della crisi – dal 2007 al 2013 – l'isola ha perso il 13 per cento del suo prodotto, meno di Basilicata e Molise (-16 per cento) ma più di Abruzzo e Campania (-12 per cento). Sempre nel 2013, in tutto il Sud gli occupati sono diminuiti di circa 280 mila unità (-4,6 per cento): 43 mila erano posti di lavoro sardi (-7,3 per cento). E anche la disoccupazione giovanile, nell'isola, è risultata ben più alta della media del Mezzogiorno: 54,2 per cento per cento contro il 46,9 per cento; 
sempre secondo i dati Svimez, in Sardegna si sono registrati: 10 milioni di ore di cassa integrazione nella manifattura, il calo dei consumi (-2 per cento), l'aumento delle famiglie che si trovano in una condizione di povertà relativa (24,8 per cento, una su quattro). Alla desertificazione produttiva e industriale si registra anche quella umana. La Sardegna è, infatti, sempre di più una terra di emigrazione, in cui i morti superano i nati – il tasso di mortalità sardo nel 2013 è stato del 7,2 per mille, quello di mortalità del 9,2 per mille e in tutto il Sud il numero dei nati ha toccato il suo minimo storico ovvero 177 mila, il più basso dal 1861 – e i giovani fanno la fila per staccare un biglietto di sola andata verso il resto d'Italia e del mondo; 
la gravissima situazione economica e sociale dell'isola, così come delineata, si inserisce all'interno della cosiddetta «vertenza Sardegna» e dei rapporti tra Stato e regione, con l'individuazione di una serie di temi che, ancora oggi, non hanno trovato una soluzione e che impongono di inserire nell'agenda dei lavori del Governo la «questione sarda» come vera e propria questione nazionale; 
a tal fine, il presidente della regione autonoma della Sardegna ha convocato un tavolo permanente di consultazione con le forze politiche e sociali per approfondire temi, priorità e modalità di azione per trovare una soluzione a questioni che fino a oggi non hanno trovato alcuna soluzione nel rapporto con lo Stato. Se, da un lato, la giunta sarda ha incassato la cancellazione dei vincoli di spesa sul patto di stabilità (prima regione ad aver ottenuto il solo pareggio di bilancio da rispettare), dall'altro rimangono ancora da risolvere nella loro interezza le seguenti questioni: vertenza entrate, energia, trasporti e continuità territoriale interna ed esterna, superamento del deficit infrastrutturale, servitù militari, G8 de La Maddalena con la gestione delle opere incompiute, insularità e mantenimento della condizione di specialità nell'attuale quadro costituzionale; 
per quanto riguarda la «vertenza entrate», la Sardegna attende ancora una soluzione del mancato versamento di parte delle entrate tributarie dovute dallo Stato alla regione, nel corso degli anni tra il 1991 e oggi. Secondo l'articolo 8 dello statuto della regione Sardegna (legge di rango costituzionale) la regione sarda ha, infatti, diritto a una parte delle entrate tributarie statali riscosse in Sardegna. Tra queste, ad esempio i 7 decimi dell'Irpef e analoghe percentuali di altre imposte, soprattutto indirette (IVA, accise). Secondo le verifiche effettuate, lo Stato ha mancato di versare per intero la quota di compartecipazione sull'Irpef spettante alla Sardegna: avrebbe restituito i 4 decimi del totale riscosso anziché i 7 decimi stabiliti nello statuto. Questa è la voce principale dell'intera «vertenza entrate», ma non l'unica. Il 1o aprile 2015, alla regione sono stati versati i primi 300 milioni di euro, primo acconto per gli anni dal 2010 al 2014, del credito che la regione vanta nei confronti dello Stato. Si tratta solo di un anticipo, giacché all'appello mancano altri trecento milioni di euro, saldo del credito complessivo vantato dalla Sardegna nei confronti dello Stato. Queste somme in ogni caso sono di gran lunga inferiori a quanto lo Stato dovrebbe in realtà versare alla Sardegna in base al suo statuto speciale. Dai 16 miliardi di euro iniziali, un accordo tra regione e Governo ha portato il debito dello Stato italiano a circa 5 miliardi di euro, a fronte di una garanzia di «maggiori entrate» (da inserire nello statuto). L'accordo definitivo sull'entrate attende di trovare una completa definizione in una norma di attuazione dello statuto speciale per la redazione della quale, entro il mese di giugno 2015, la regione ha annunciato una proposta; 
a livello politico si è riacceso il dibattito sulle regioni a statuto speciale e sull'opportunità che il nostro sistema costituzionale ne riconosca ruolo, prerogative e poteri. Si tratta di una prerogativa costituzionale che le regioni hanno assunto in virtù di evidenti condizioni di svantaggio e di peculiarità che sono elemento di forza e di arricchimento nella repubblica italiana. È sbagliato sostenere che le cinque regioni ad autonomie differenziate, tra le quali c’è anche la Sardegna, godano di ingiusti privilegi. Come è noto, e la tesi è sostenuta anche da autorevoli costituzionalisti e dalla giurisprudenza prevalente, la riforma del Titolo V (2001) della Carta costituzionale ha quasi annullato la specialità delle regioni, attribuendo una serie di poteri e funzioni così ampie a quelle «ordinarie» che, di fatto, allinea le realtà speciali a quelle ordinarie. Oggi, quella specialità quasi non esiste, se non nella compensazione di una serie di spese e trasferimenti che ancora non sono sufficienti ad assicurare la parità di condizioni tra tutte le regioni italiane. L'equivalenza tra specialità e privilegi non solo è un assurdo giuridico e storico ma è anche ingiusto sotto il profilo politico. Nel caso della Sardegna, la regione gestisce con il proprio bilancio, senza alcun fondo statale, tutto il servizio sanitario regionale, il trasporto pubblico locale e la continuità territoriale aerea. La presenza di regioni a statuto speciale è ancora utile al Paese e non può essere messa in discussione se non si vuole rompere la coesione territoriale e il principio di solidarietà nazionale; 
altra questione irrisolta è quella delle servitù militari nazionali, il 65 per cento delle quali grava sulla Sardegna. È necessario un equilibrio, poiché, come ha ricordato il presidente della regione Francesco Pigliaru in audizione presso la IV Commissione (Difesa) della Camera dei deputati, si tratta di numeri significativi: 30 mila ettari, di cui 13 mila con limitazioni totali, impegnati dal demanio militare a cui si devono aggiungere gli spazi aerei e circa 80 chilometri di costa. La giunta regionale della Sardegna non ha ancora firmato l'accordo con il Ministero della difesa sulle servitù militari e non lo firmerà in assenza di nuove prospettive per la presenza militare nell'isola. Da tempo, è richiesta una riqualificazione della presenza militare alleggerendo il territorio dal carico delle servitù, nel rispetto delle esigenze di difesa nazionali. Si tratta di prestare una fattiva attenzione alla tutela del territorio a mezzo di bonifiche, del riconoscimento del diritto di fruire anche a fini turistici delle aree costiere attualmente occupate dalle basi militari, nonché dell'investimento di risorse della difesa in ricerca tecnologica applicata anche al campo civile, per un rapporto sostenibile tra presenza militare e contributo allo sviluppo economico del territorio in termini dinamici e non assistenziali. Tutto questo anche al fine di dimostrare che non è vero che la presenza militare in Sardegna rechi soltanto svantaggi; 
la regione autonoma della Sardegna, per soddisfare esigenze non proprie, sta diventando una grande piattaforma di produzione di energia attraverso la costruzione di impianti fotovoltaici ed eolici e lo scavo di pozzi marini per la ricerca del gas naturale. Ferme restando le responsabilità regionali per la mancanza di un piano energetico, la questione del costo dell'energia resta un problema irrisolto e trascurato che compromette pesantemente lo sviluppo economico dell'isola. Sul punto spicca la questione del riconoscimento del regime di essenzialità per gli impianti di produzione sardi, in particolare per quello di Ottana: infatti, la regione è in attesa della proroga anche per il 2015 e del parere dell'Autorità per l'energia elettrica il gas ed il sistema idrico. Il riconoscimento dell'essenzialità è fondamentale per permettere ai gestori delle centrali sarde di vedersi riconosciuti da Terna i costi di produzione dell'energia e garantire pertanto alle imprese sarde di fruire di prezzi dell'energia più bassi; 
questo avviene in un contesto segnato dalla mancata metanizzazione e da costi per energia altissimi. Occorre, infatti, ricordare che la Sardegna è l'unica regione a non utilizzare il metano (a seguito anche dell'uscita dal progetto Galsi, società sostenuta oltre che dalla regione anche da Enel ed Edison) e che l'energia ha il costo più elevato d'Italia (20-30 per cento in più) in una realtà nazionale in cui l'energia ha già un costo maggiore rispetto al resto d'Europa. Tale gap si risolve in un danno economico valutato, ogni anno, in circa 400 milioni di euro sul bilancio di imprese e famiglie. Rispetto al tempo in cui è maturato il progetto Galsi, è cambiata sia la geopolitica mondiale degli scambi commerciali del gas naturale liquido, sia la valutazione sulla consistenza dei giacimenti, sia le tecniche di esplorazione ed estrazione. L'autonomia energetica degli Stati Uniti, derivante dall'utilizzazione di quote sempre più rilevanti di shale gas e shale oil, e la prospettiva che questo Paese diventi addirittura esportatore in Europa di materie prime energetiche, insieme alla messa in produzione di grandi giacimenti in Africa centrale, non connessi ad una significativa rete di trasporto, sta rendendo obbligata e profittevole la scelta tecnologica della liquefazione del gas metano ed il suo trasporto con navi gasiere. Un sistema, questo, che potrebbe rapidamente consentire alla Sardegna, senza opere infrastrutturali di lunga e costosa realizzazione, di avere una disponibilità pressoché immediata di metano. A questo proposito risulta decisiva l'azione del Governo per attuare in tempi rapidissimi la direttiva comunitaria 94/2014/UE, che prevede la realizzazione di infrastrutture di stoccaggio del gas naturale liquido per la realizzazione di una politica europea energetica che agevoli, tra le altre, l'utilizzazione di questa fonte. Il Governo ha la possibilità di «iniziare dalla Sardegna» l'attuazione della direttiva, concordando con la regione procedure autorizzative semplificate, la definizione di chiaristandard di sicurezza per gli stoccaggi nelle aree portuali, e la destinazione di risorse, anche comunitarie, per favorire investimenti privati nella creazione di un numero adeguato di siti di stoccaggio, a partire dalle aree industriali attrezzate. Ciò non deve escludere la possibilità, in proseguo, di programmare e favorire la realizzazione di una dorsale sarda (nord/sud) di trasporto del metano, la realizzazione di grandi impianti di rigassificazione e la connessione della Sardegna alla rete nazionale dei gasdotti con una connessione alla Corsica ed al continente. Occorre inoltre agevolare, anche con atti di indirizzo all'autorità competente, la prima diffusione dell'utilizzo del metano tra le famiglie e le imprese, valutando un'eliminazione temporanea o un alleggerimento significativo delle accise sul gas, in modo da compensare rapidamente i costi di allaccio delle utenze; 
collaterale a questo tema, ma con tempi urgentissimi per la definizione della cornice normativa necessaria a garantire la certezza degli investimenti, rimane la ricerca di una soluzione a sostegno dell'industria metallurgica energivora (filiera dell'alluminio e del piombo-zinco) per la quale da tempo è in corso un'inesauribile trattativa tra regione, Stato e Unione europea sulle «compensazioni per i servizi di interrompibilità» in tutte le sue possibili declinazioni; 
rimangono le criticità relative al sistema dei trasporti da e per l'isola, specialmente sul versante della continuità aerea e marittima. Malgrado gli innegabili passi in avanti compiuti in questi ultimi anni, si pone l'esigenza di disegnare una Sardegna più coesa al suo interno e più vicina al resto del continente. La continuità territoriale aerea è totalmente sostenuta dal bilancio della regione per oltre 50 milioni di euro, nonostante il diritto alla mobilità in tutto il territorio italiano debba essere garantito a tutti i cittadini, compresi gli abitanti della Sardegna; 
relativamente alla continuità territoriale marittima, si rende necessaria l'approvazione di una nuova legge sulla continuità territoriale marittima ovvero di norme di attuazione dello statuto speciale, per regolamentare qualità e tipologia dei servizi anche in situazioni come quella attuale in cui un unico armatore risulta titolare di tutte le sovvenzioni statali, la cui erogazione è disciplinata da una convenzione da 72,5 milioni di euro all'anno e scade nel 2020 – sia per il trasporto dei passeggeri che delle merci. Una normativa speciale per la Sardegna, rispettosa delle disposizioni comunitarie e nazionali che disciplinano la materia, che tenga presenti i principi di permanenza (l'insularità è un handicap costante nel tempo), discriminazione positiva (garantire autentica parità con le altre regioni mediante misure volte a bilanciare gli svantaggi) e proporzionalità (tenere conto delle differenti situazioni che sono certamente il ristretto mercato regionale ma anche e soprattutto la distanza degli scali sardi da quelli del continente che nel minimo è di 125 miglia nautiche – praticamente sette ore di navigazione – contro le appena 2 miglia della Sicilia) e finalizzata a garantire un'efficiente mobilità delle persone e delle merci. In definitiva, nuove regole sulla continuità, che confermino la copertura finanziaria in capo allo Stato degli oneri per il servizio di trasporto sovvenzionato, riconoscano alla Sardegna il ruolo preminente nell'individuazione del contenuto degli oneri di servizio e compartecipazione alla responsabilità di selezione, con procedura di evidenza pubblica, delle compagnie di navigazione concessionarie del servizio. Nella prospettiva dell'attuazione della direttiva 2012/33/UE dell'Unione Europea, che impone l'abbattimento dello zolfo nei combustibili per il trasporto marittimo nel Mediterraneo proprio entro il 2020, e la prospettiva di diffusione del gas naturale liquido in Sardegna, la gara internazionale per la scelta dei vettori marittimi potrebbe ben essere associata alla realizzazione di infrastrutture portuali per il rifornimento delle navi nei porti sardi di destinazione delle rotte gravate da oneri di servizio pubblico, nonché da misure che favoriscano l'utilizzazione del gas naturale liquido come carburante pulito nei trasporti marittimi; 
la Sardegna è la regione italiana con i maggiori deficit infrastrutturali: l'indice di dotazione stradale della Sardegna è pari a un valore di 43,9, mentre nel Mezzogiorno e nelle altre isole è al 111,2. L'indice di dotazione ferroviaria è pari al 17,4 a fronte del 102,6 del Sud e delle altre isole. L'Unione europea nella definizione dello spazio unico europeo dei trasporti sostiene che «gli investimenti nell'infrastruttura di trasporto hanno un impatto positivo sulla crescita economica, creano ricchezza e occupazione e migliorano gli scambi commerciali, l'accessibilità geografica e la mobilità delle persone». Tutto ciò, evidentemente, non riguarda la Sardegna, dove il deficit delle infrastrutture si ripercuote negativamente sul tessuto sociale ed economico regionale. L'isola detiene, infatti, il record nazionale di disoccupazione giovanile, oltre il 40 per cento di giovani in età 15-24 anni; è ai primi posti fra le regioni italiane con il maggior numero di disoccupati (il 29 per cento degli italiani in fascia di età 20-64 anni); la percentuale di abbandono scolastico dei giovani sardi (oltre il 25 per cento) è la più alta in Italia; la Sardegna è la regione dove si registra il più alto indice di spopolamento nelle zone interne e svantaggiate; 
in un contesto regionale complessivamente al di sotto dei livelli minimi di infrastrutture e servizi e con complessi problemi demografici, si ripropongono ogni anno più drammatici, gli squilibri territoriali (mai risolti nonostante le numerose direttive e risorse europee destinate a risolvere, strutturalmente e definitivamente, gli squilibri territoriali), per cui in diverse sub-aree geografiche, in particolare ricadenti nell'entroterra sardo e nella Sardegna centro-meridionale, gli indici di cui si è trattato in premessa presentano valori prossimi al dramma e prefigurano situazioni sociali, economiche, demografiche e di ordine pubblico oramai, insostenibili. Si tratta di realtà territoriali particolarmente aspre dal punto di vista morfologico e significativamente distanti dai centri di offerta di servizi essenziali (di istruzione, salute e mobilità), ricche di importanti risorse ambientali e culturali e fortemente diversificate; 
la questione Sardegna come questione nazionale è strettamente legata al tema dell'insularità: alle problematiche legate a questa condizione, che vedono la regione non efficientemente collegata alle reti dell'energia, delle comunicazioni e dei trasporti, con costi aggiuntivi per la popolazione; alla conseguenti difficoltà di cogliere e valorizzare le opportunità che, pure, derivano, dallo stato di insularità, in particolare, vista la centralità della Sardegna nel Mediterraneo, e le connesse potenzialità, che dalla stessa potrebbero derivare, per la costruzione di serie e lungimiranti politiche euro-mediterranee. Quello dell'insularità e del suo riconoscimento in ogni sede è un tema strettamente legato allo sviluppo economico, in particolare per quanto riguarda la mobilità, l'energia e il turismo della Sardegna, ma di tutta l'area euro-mediterranea; 
la Sardegna ha bisogno di un sistema industriale moderno ed ecocompatibile. Devono essere chiuse in tempi rapidi crisi industriali ormai aperte da troppo tempo. In particolare le grandi vertenze del Sulcis, che riguardano gli stabilimenti dell'Alcoa e dell'Eurallumina. Nell'area di Ottana si è prodotto un deserto industriale non più accettabile. Relativamente a Porto Torres, il protocollo d'intesa sulla chimica verde del 2011 prevedeva 1,2 miliardi di euro di investimenti entro 5 anni, eppure finora ne sono stati spesi solo il 25 per cento ed è stato comunicato da Eni che si proseguirà solo sulle bonifiche, cancellando altri investimenti senza una vera ipotesi alternativa alla prospettata centrale a biomasse da 250 milioni di euro; 
poiché il valore degli investimenti relativi alle bonifiche industriali e legate alle aree militari supera i 500 milioni di euro e interessa almeno 5 siti, non si possono ammettere ritardi e serve, soprattutto, che il Governo definisca una regia istituzionale consentendo che, oltre al risanamento, la Sardegna possa beneficiare anche di parte degli investimenti economici e delle competenze professionali e d'impresa necessarie; 
la Sardegna è da considerarsi parte lesa in quello che può essere considerato uno dei più grandi scandali della recente storia italiana: il mancato svolgimento del G8 sull'Isola de La Maddalena. Quattrocentosettanta milioni di euro di denaro pubblico che hanno consegnato al nulla 27 mila metri quadrati di edifici, 90 mila metri di aree a terra e 110 mila metri quadri di mare. Nessun progetto privato fino a oggi è mai partito. Insieme allo spreco di denaro, c’è l'enorme danno ambientale, con i veleni liberati dai fondali della darsena dell'ex arsenale militare, mercurio e idrocarburi pesanti, la cui dispersione ha raggiunto, sedimentandosi in profondità, l'area limitrofa allo specchio di mare del Parco de La Maddalena. Urgono bonifiche urgenti per le quali non esistono risorse sufficienti e anche se si dovessero trovare, l'accordo tra le amministrazioni dello Stato (Presidenza del Consiglio dei ministri, ministero, regione, comune) non è ancora raggiunto. La Protezione civile al termine dei lavori ha consegnato l'hotel e centro congressi al concessionario Mita Resort. Questo, una volta verificato che le bonifiche non erano state fatte e che era impossibile aprire l'albergo in quelle condizioni, senza poter usare la darsena, ha tirato in causa la Protezione civile, ottenendone in un arbitrato la condanna al pagamento dei danni (39 milioni di euro). Nel lodo arbitrale si è deciso, inoltre, che le chiavi delle strutture debbano essere riconsegnate alla Protezione civile, non alla regione, che ne è proprietaria ma non ne è mai venuta in possesso. E viene esplicitamente affermato che la regione Sardegna è estranea alla contesa. Ora la Protezione civile ha presentato un ricorso, prolungando una vicenda giudiziaria che ancora una volta taglia fuori la regione, alla quale rimane soltanto l'obbligo di versare ogni anno circa 500 mila euro di Imu a fronte del canone annuo di 65 mila euro che la società Mita Resort deve alla regione per 40 anni, ma che, dal 2009 a oggi, non ha mai versato; 
nell'anno di Expo 2015 dedicata al cibo, la Sardegna non può essere posta ai margini del sistema agroalimentare nazionale per motivi legati alla peculiarità di alcune produzioni o al mantenimento di alcune condizioni di privilegio di altre regioni più grandi, impedendo la competizione tramite la valorizzazione dei suoi sistemi produttivi. Serve un indirizzo politico del Governo anche nei confronti di uffici che tendono alla conservazione: il fondo di valorizzazione del comparto del latte bovino che oggi esclude il comparto ovicaprino al quale la Sardegna contribuisce con quasi l'80 per cento dell'intero patrimonio nazionale; il comparto ittico che vede la Sardegna esclusa dall'aumento del 20 per cento annuo delle quote europee per l'Italia, come confermano le scelte recenti per la regolamentazione della pesca del tonno rosso, nelle quali è stata del tutto ignorata una richiesta equilibrata della regione; il settore ippico considerato di grande interesse per gli investitori internazionali provenienti dal Medio oriente e che richiede normative più avanzate sulle quali viene opposto un ostacolo incomprensibile alle richieste della regione; 
deve essere garantito il pagamento delle mensilità degli ammortizzatori sociali in deroga, dai quali, in Sardegna, dipendono oltre 43.000 persone nell'isola e per i quali si è fermi ai primi due ratei del 2014. A legislazione vigente solo altre 4 mensilità saranno pagate se non si consente all'isola di accedere alle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione decurtate nel giugno 2014. E infatti, le richieste di accesso agli ammortizzatori sociali in deroga relative all'anno 2014 interessano, in Sardegna, complessivamente, 26.763 lavoratori, dei quali 9.494 per provvedimenti di cassa integrazione in deroga e 17.269 di mobilità in deroga e ad oggi, il Governo ha assegnato, 17.313.000 euro (decreto ministeriale 6 agosto 2014) e 21.641.000 euro (decreto ministeriale 4 dicembre 2014), così che con le prime risorse assegnate sono state pagate due mensilità di trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga, ma l'Inps dai primi di febbraio 2015 ha interrotto i pagamenti a seguito dell'esaurimento dei fondi. Per il completamento dei pagamenti relativi al 2014 sono necessari ancora 179 milioni di euro, di cui solo 50 arriveranno dopo un prossimo decreto ministeriale che il Ministro del lavoro, Giuliano Poletti, ha annunciato e che consentirà il pagamento di ulteriori tre/quattro mensilità rendendo ancora necessario il reperimento di circa 130 milioni di euro: tali risorse potrebbero essere recuperate considerato che la delibera Cipe 30 giugno 2014, n. 21, nel disporre meccanismi di disimpegno automatico e sanzionatori a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione 2007-2013, ha disposto a carico della regione Sardegna, una decurtazione pari a circa 107 milioni di euro, derivante dall'applicazione di misure sanzionatorie nella misura del 10 per cento, per un importo di circa 24 milioni di euro, e nella misura del 15 per cento, per un valore pari a circa 83 milioni di euro, su interventi che hanno fatto registrare ritardi nell'assunzione delle obbligazioni giuridicamente vincolanti e che la sopra citata delibera Cipe n. 21 del 2014 ha disposto il finanziamento degli «ammortizzatori sociali in deroga», per un importo pari a 100 milioni di euro, a valere sulle decurtazioni operate dalla stessa, e che tali risorse sono confluite tra le fonti generali di finanziamento dei decreti ministeriali di assegnazione delle risorse alle regioni e che al netto delle finalizzazioni operate dalla suddetta delibera Cipe n. 21 del 2014, risulta, quindi, la disponibilità per successive finalizzazioni per un importo complessivo di 182 milioni euro, tra i quali è moralmente indispensabile prevedere la copertura del fabbisogno della cassa integrazione guadagni in deroga nell'isola; 
l'alluvione in Sardegna del 2003 è l'unica tra le calamità naturali avvenute negli ultimi tre anni in Italia i cui danni non siano stati ripagati né alle imprese né alle famiglie. In sede di esame del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 151 (cosiddetto «salva Roma bis») era parso possibile ottenere specifiche misure di sostegno finanziario che furono invece rinviate ad un disegno di legge ordinario rimasto bloccato alla Camera dei deputati. Gli unici interventi finora realizzati sono il finanziamento iniziale di 20 milioni di euro per il ripristino immediato della viabilità temporanea, il mandato di commissario al presidente Anas per il ripristino delle strade provinciali e un intervento di 10 milioni di euro per le scuole primarie introdotto con la legge di stabilità 2015; 
il previsto trasferimento in Sardegna di decine di detenuti sottoposti ai regimi di massima sicurezza, condannati per reati di mafia, ha destato un forte allarme sociale per il timore che possano prodursi infiltrazioni mafiose in una regione impreparata, anche considerato che, a tutt'oggi, non sono conosciuti né il piano dei trasferimenti, né il piano definitivo di razionalizzazione del sistema penitenziario sardo, né la presenza di nuove e ulteriori strutture di prevenzione e sicurezza a partire dalla richiesta di una seconda direzione distrettuale antimafia da parte del sistema istituzionale e giudiziario sardo; 
quella sarda è la più grande minoranza linguistica italiana, composta da oltre un milione e mezzo di persone, come riconosciuto dalle legge n. 482 del 1999, adottata in applicazione dell'articolo 6 della Costituzione. In virtù di questa specificità, da anni la regione autonoma della Sardegna si è dotata di un suo piano della lingua e sostiene la produzione di notiziari radiotelevisivi e programmi in lingua sarda, diffusi anche dal servizio pubblico per effetto di una convenzione stipulata con la Rai-Radiotelevisione italiana. La situazione isolana non solo è assimilabile a quella presente nelle province autonome di Trento e Bolzano e nelle regioni della Valle d'Aosta e del Friuli Venezia Giulia, ma presenta delle sue specificità, essendo in Sardegna presenti delle lingue alloglotte, come il catalano di Alghero, il Sassarese, il Gallurese e il Tabarchino dell'isola di San Pietro. In virtù di questa varietà e ricchezza linguistica e delle leggi già vigenti nell'ordinamento, sarebbe auspicabile estendere alla Sardegna il medesimo trattamento normativo e relativo ai trasferimenti statali previsto per la diffusione di trasmissioni radiofoniche e televisive in lingua tedesca e ladina per la provincia autonoma di Bolzano, in lingua ladina per la provincia autonoma di Trento, in lingua francese per la regione autonoma Valle d'Aosta e in lingua slovena per la regione autonoma Friuli Venezia Giulia,

impegna il Governo:

a promuovere ogni necessaria iniziativa istituzionale, legislativa, economica-finanziaria e organizzativa finalizzata allo sviluppo locale e alla crescita dell'occupazione in Sardegna, connessa alla più efficace valorizzazione delle principali vocazioni produttive della regione, anche per il particolare ruolo che occupa nel Mediterraneo; 
a riconoscere la «specialità» della condizione di insularità, nella programmazione di tutte le politiche di sviluppo nazionali, insularità comprensiva dell'accezione problematica, come costo aggiuntivo per la popolazione, naturale difficoltà per la Sardegna di essere connessa ai network nazionali e intesa come opportunità, considerata la centralità della Sardegna nel Mediterraneo, e le connesse potenzialità, che dalla stessa potrebbero derivare, per la costruzione di serie e lungimiranti politiche euro-mediterranee; 
ad inserire nell'agenda di Governo la questione sarda, i vincoli allo sviluppo e, insieme, le opportunità legate all'insularità e ai limiti infrastrutturali, anche attraverso la convocazione di uno specifico tavolo istituzionale Stato-regione, all'occorrenza partecipato anche dalle rappresentanze delle autonomie locali e delle forze sociali sarde, per l'esame del complesso delle vertenze aperte, sul fronte istituzionale, finanziario, economico-produttivo e sociale, al fine di una loro progressiva e celere risoluzione; 
a definire la questione energetica con l'avvio immediato di un tavolo tecnico e istituzionale per la metanizzazione dell'isola, che veda l'attuazione privilegiata sia nei tempi sia nelle risorse delle direttive dell'Unione europea 2014/94/UE e 2012/33/UE in materia di infrastrutture di stoccaggio del gas naturale liquido e di abbattimento dello zolfo nei combustibili per il trasporto marittimo; a monitorare e definire procedure chiare, rapide e semplificate per l'autorizzazione di impianti di stoccaggio del gas naturale liquido non solo a terra ma anche nelle aree portuali e per le tecnologie navali di trasporto, utili ad una quanto più veloce dotazione infrastrutturale che consenta l'uso del gas naturale liquido nell'isola; 
a valutare la possibilità di applicare misure fiscali atte a favorire la rapida compensazione dei costi delle famiglie e delle imprese finalizzate alla dotazione tecnologica per l'utilizzazione del metano, anche mediante gli opportuni indirizzi all'Autorità per l'energia il gas e il servizio idrico; 
a promuovere una continuità territoriale aerea e marittima in grado di garantire la concorrenza e il miglior servizio per i cittadini, sardi e non, in particolare, a sostenere e favorire, per quanto di competenza, l'introduzione di una nuova disciplina sulla continuità territoriale marittima ovvero a concorrere con la regione Sardegna alla redazione di norme di attuazione dello statuto speciale in materia di trasporto marittimo; 
a favorire il superamento del deficit infrastrutturale della Sardegna, assegnando alla regione risorse statali e comunitarie aggiuntive e con specifica destinazione, fra le altre, per le aree interne della Sardegna, per interventi volti a superare il deficitstesso, l'inefficienza dei servizi scolastici e sanitari, le problematiche legate all'abbandono del territorio; 
a promuovere la chiusura rapida del confronto sull'applicazione dell'articolo 8 dello statuto e il pieno riconoscimento del debito pregresso come richiesto dalla giunta regionale della Sardegna; 
a definire un nuovo accordo tra la regione e lo Stato che preveda la revisione dell'estensione territoriale delle servitù militari con un accordo con i comuni sui quali gravitano le servitù per l'accesso alle spiagge nella stagione turistica, una programmazione pluriennale per investimenti nel campo della ricerca scientifica e tecnologica che si rapporti con la quantità di territorio utilizzato rendendo sostenibile l'impegno dell'isola nel campo della difesa; 
ad assumere iniziative per estendere alla Sardegna, quale più grande minoranza linguistica italiana, il medesimo trattamento normativo, e relativo ai trasferimenti statali, previsto per la diffusione di trasmissioni radiofoniche e televisive in lingua tedesca e ladina per la provincia autonoma di Bolzano, in lingua ladina per la provincia autonoma di Trento, in lingua francese per la regione autonoma Valle d'Aosta e in lingua slovena per la regione autonoma Friuli Venezia Giulia; 
a promuovere l'apertura di un tavolo generale sulle tre aree di crisi industriali per valutare nell'insieme una strategia produttiva ed energetica per l'isola, una possibile nuova declinazione della vocazione industriale di alcuni territori, portando a conclusione le vertenze industriali ormai aperte da troppo tempo, valutando il possibile utilizzo di alcuni strumenti legislativi già disponibili, come l'istituzione delle aree di crisi complessa, per definire un piano operativo regionale di rilancio delle imprese strategiche (si veda il settore dell'alluminio), come di bonifica delle aree inquinate; 
ad istituire un tavolo istituzionale per individuare le necessarie iniziative normative volte a incentivare il settore agroalimentare al fine del rilancio a livello regionale di un comparto strategico anche alla luce del ruolo di Expo, sia sul fronte della produzione legata al patrimonio ovino che a quello ittico che ad ambiti strategici per gli investitori internazionali; 
ad assumere iniziative per individuare la copertura dei costi del 2014 della cassa integrazione guadagni in deroga per i 43.000 lavoratori sardi attraverso l'adozione di una delibera Cipe di assegnazione, in favore della regione Sardegna, dell'importo derivante dai meccanismi sanzionatori disposti nel giugno 2014 (delibera Cipe n. 21 del 2014, pari a circa 110 milioni di euro, per il finanziamento degli «ammortizzatori sociali in deroga»); 
a definire le vicende relative al mancato svolgimento del G8 sull'isola de La Maddalena, con la conclusione delle bonifiche marine e di superficie e il subentro della regione nelle proprietà ancora in capo alla Protezione civile, pur in costanza di un conflitto giudiziario, per far partire, dopo 7 anni, la conversione dell'economia dell'isola da militare a turistica; 
a ridiscutere il piano carcerario per l'isola, degli interventi a breve e medio termine, compresi quelli relativi al rafforzamento della struttura di prevenzione e di sicurezza per l'isola. 

 

Seduta dell' 11 maggio 2015

Illustra Emanuele Cani

Intervento di Gian Piero Scanu

Intervento di Francesco Sanna
 

Seduta del 4 giugno 2015

Dichiarazione di voto di Romina Mura