La Camera,
premesso che:
secondo gli ultimi dati Istat sulla natalità e fecondità della popolazione residente in Italia pubblicato il 27 novembre 2015, aggiornato al 19 febbraio 2016, nel 2015 le nascite sono state 488 mila (8 per mille dei residenti), quindicimila in meno rispetto al 2014 (nuovo minimo storico dall'Unità di Italia), quasi 12 mila in meno rispetto al 2013, 74 mila in meno sul 2008;
sempre secondo il documento Istat, la diminuzione delle nascite riguarda soprattutto le coppie di genitori entrambi italiani: 398.540, quasi 82 mila in meno negli ultimi sei anni perché le donne italiane in età riproduttiva sono sempre meno e hanno una propensione ad avere figli sempre più bassa mentre si mantiene stabile il livello dei nati con almeno un genitore straniero (20,7 per cento per cento dei nati, 29 per cento nel Nord e 8 per cento nel Mezzogiorno), mentre diminuiscono i nati con entrambi i genitori stranieri (14,9 per cento del totale delle nascite) ed anche i nati all'interno del matrimonio: nel 2014 sono appena 363.916, ben 100 mila in meno rispetto al 2008. Al contrario, aumentano i nati da genitori non coniugati: oltre 138 mila nel 2014, quasi 26 mila in più sul 2008, con un peso relativo rispetto ai nati da coppie coniugate pari al 27,6 per cento del totale delle nascite; quasi l'8 per cento dei nati nel 2014 ha una madre di almeno 40 anni mentre in un caso su dieci (10,7 per cento) la madre è sotto i 25 anni; il numero medio di figli per donna scende a 1,35 (rispetto a 1,46 del 2010). Le donne italiane hanno in media 1,28 figli, le cittadine straniere residenti 1,93; in quest'ultimo caso il calo è rilevante rispetto al 2008, quando avevano in media 2,65 figli;
la popolazione residente in Italia è sostanzialmente arrivata alla crescita zero: i flussi migratori riescono a malapena a compensare il calo demografico dovuto alla dinamica naturale (nati meno morti), il movimento naturale della popolazione ha fatto registrare nel 2015 un saldo negativo di 165 mila unità, che segna un picco mai raggiunto nel nostro Paese dal biennio 1917-1918 (primo conflitto mondiale);
inoltre, continua l'invecchiamento della popolazione italiana: l'età media è 44,6 anni, in costante aumento di due decimi all'anno nel periodo 2011-2015; la popolazione anziana (65 anni e oltre) è pari al 22 per cento, quasi un punto percentuale in più rispetto al 2011. In particolare, i cosiddetti «grandi vecchi» (80 anni e più) crescono ogni anno di un punto decimale, arrivando nel 2014 al 6,5 per cento della popolazione. Le persone ultracentenarie in vita al 31 dicembre 2014 sono 19 mila (3 mila uomini e 16 mila donne). Le persone con almeno 105 anni sono più di 800, di cui solo un centinaio sono uomini. Infine le persone con 110 anni e oltre sono 18, tutte donne;
l'aumento dell'invecchiamento della popolazione e della vita media, da un lato, e il regime di persistente bassa fecondità, dall'altro, fanno sì che l'Italia abbia conquistato, a più riprese, il primato di Paese con il più alto indice di vecchiaia del mondo (rapporto percentuale tra il numero degli ultrasessantacinquenni ed il numero dei giovani fino ai 14 anni) pari a 157,7 anziani ogni 100 giovani nel 2015;
tutti questi dati rappresentano il «debito demografico» contratto da un Paese nei confronti delle generazioni future, soprattutto in termini di previdenza, spesa sanitaria e assistenza. Trent'anni di tale evoluzione demografica hanno determinato un Paese profondamente trasformato nella sua struttura e nelle sue dinamiche sociali e demografiche. Alle sfide che la globalizzazione e le crisi finanziarie impongono ai sistemi Paese, l'Italia si presenta dunque con una struttura per età fortemente squilibrata;
la concomitanza tra la fase di crisi economica, la precarietà del lavoro e la diminuzione delle nascite (ravvisabile in quasi tutti i Paesi europei), fa presumere una relazione di causa-effetto tra i fenomeni, anche se non è possibile stabilirne con certezza il legame causale. Lo stesso è avvenuto per la diminuzione dei matrimoni, registrata proprio negli ultimi quattro anni;
nel nostro Paese gli effetti della sfavorevole congiuntura economica si sommano a quelli strutturali dovuti alle importanti modificazioni della popolazione femminile in età feconda perché, con l'uscita dall'età feconda delle generazioni più numerose, si registra una progressiva riduzione delle potenziali madri dovuta al prolungato calo delle nascite iniziato a metà degli anni Settanta, con effetti che si prevedono ancora più rilevanti per il futuro;
una delle cause della bassa natalità italiana è costituita dagli ostacoli economici e culturali che si frappongono alla serena e libera scelta delle donne di diventare madri per i risvolti negativi nella loro vita legati alla maternità. A partire dalla discriminazione nell'accesso al lavoro e nella prestazione di lavoro che aumenta in maniera direttamente proporzionale al numero di figli (il 22,4 per cento delle madri dopo la gravidanza perde il lavoro, numero che sale in presenza di un secondo figlio, di un livello di istruzione basso e in presenza di lavori non stabili (Istat 2014). Discriminazione aggravata da un sistema di welfare debole che spesso lascia alle donne il lavoro di cura di bambini e anziani senza che poi questo venga riconosciuto almeno dal punto di vista previdenziale come avviene in altri Paesi attraverso l'accredito di contribuzione figurativa;
l'innalzamento dell'età per pensione di vecchiaia senza gradualità, in particolare per le donne, ha fatto mancare anche l'aiuto storicamente consolidato delle nonne;
le politiche per la famiglia non sono separate dalle politiche per la crescita e per il lavoro, ma ne fanno parte orientando l'azione dell'Esecutivo al sostegno delle famiglie;
alla luce di questo quadro, assumono un significato rilevante le molteplici iniziative intraprese da questo Governo di sostegno alle famiglie in difficoltà economica, alla conciliazione dei tempi tra lavoro e famiglia; alla condivisione delle responsabilità genitoriali; al contrasto della povertà estrema, in particolare di quella infantile;
in particolare, le politiche per la conciliazione e la condivisione delle responsabilità familiari rappresentano un importante fattore di innovazione dei modelli sociali, economici e culturali e si ripropongono di fornire strumenti che, rendendo compatibili sfera lavorativa e sfera familiare, consentano di vivere al meglio i molteplici ruoli che ciascuno gioca all'interno di società complesse;
esse interessano gli uomini, le donne e le organizzazioni, toccano la sfera privata, ma anche quella pubblica, politica e sociale e hanno un impatto evidente sul riequilibrio dei carichi di cura all'interno della coppia, sull'organizzazione del lavoro e dei tempi delle città, nonché sul coordinamento dei servizi di interesse pubblico;
a innovare tale materia è intervenuto il decreto legislativo 15 giugno 2015 n. 80, attuativo dell'articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (il cosiddetto jobs act e i relativi decreti attuativi), che ha rivisto e esteso le misure per i congedi parentali e per rendere l'indennità di maternità un diritto garantito a tutte le lavoratrici, dipendenti e autonome, anche in assenza del versamento dei contributi. In particolare, con esso si prevede: la concessione del part-timeobbligatorio al rientro dal periodo di maternità, la possibilità di rendere il congedo per maternità flessibile, la cancellazione definitiva dell'abuso delle cosiddette «dimissioni in bianco» che colpiva soprattutto le giovani donne madri. Nella legge di stabilità poi è stato ampliato il congedo di paternità obbligatorio, è stato introdotto l'obbligo per le imprese di riconoscere il congedo di maternità ai fini dell'ottenimento del premio di produttività, è stato potenziato il welfare aziendale, con l'ampliamento della gamma dei servizi di cura possibili, è stato rifinanziato e esteso alle lavoratrici autonome il voucher per baby sitting. Sotto questo profilo, un ulteriore contributo potrà derivare dall'auspicata approvazione, entro tempi ravvicinati, delle disposizioni volte ad introdurre nel nostro ordinamento l'istituto dello smart working;
uno specifico rilievo merita l'intervento del Governo che ha promosso l'istituzione del fondo destinato alla copertura finanziaria di interventi legislativi recanti misure per il sostegno di persone con disabilità grave prive di sostegno familiare nella legge di stabilità 2016, che ammonta a 90 milioni di euro; è attualmente all'esame del Senato della Repubblica il disegno di legge recante «Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare», con cui è stabilita la dotazione del suddetto fondo;
altre misure come la carta famiglia, il fondo di solidarietà sospensione mutuo, il fondo mutui per le giovani coppie, il sostegno all'affitto, i bonus bebé, il bonus gas e il bonus elettricità, Il Fondo per la non autosufficienza, il fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile così come il piano nazionale contro la povertà riguardano le persone e le tante famiglie più fragili costrette a domandare aiuti pubblici per far fronte alle spese quotidiane dal mutuo, all'affitto, dalle spese per i bambini alle bollette secondo l'Istat, infatti, nel 2014, 1 milione e 470 mila famiglie (5,7 per cento di quelle residenti) è in condizione di povertà assoluta, 4,2 per cento al Nord, 4,8 per cento al Centro e 8,6 per cento nel Mezzogiorno, per un totale di 4 milioni 102 mila persone (6,8 per cento della popolazione residente), mentre sempre nel 2014 il 10,3 per cento delle famiglie e il 12,9 per cento delle persone residenti, per un totale di 2 milioni 654 mila famiglie e 7 milioni 815 mila persone, è in povertà relativa;
il basso tasso di occupazione femminile è una delle cause della fragilità economica delle famiglie e su questo fronte i dati dimostrano che c’è ancora molto da fare; infatti, il divario occupazionale tra uomini e donne, dopo una riduzione nel periodo della crisi, ha ripreso a salire, anche se in misura modesta, a causa di un tasso di occupazione femminile sostanzialmente costante e uno maschile leggermente in crescita; fenomeno che si accentua in alcuni settori come i servizi, in cui l'occupazione maschile sale dell'1,6 per cento, mentre quella femminile scende del 3,4 per cento o l'industria, in cui l'occupazione maschile sale dello 0,2 per cento, mentre quella femminile si riduce del 2,7 per cento. Andamenti che confermano un tasso di occupazione femminile oscillante attorno al 47 per cento, come nel 2000;
le nuove configurazioni familiari, la complessità sociale ed i nuovi rischi ai quali la famiglia va incontro, inducono a dedicare una particolare attenzione alle politiche per la famiglia, ponendo in atto politiche di lungo termine e non solo dettate da necessità ed emergenza, poiché lo sviluppo demografico è un fattore decisivo di sviluppo economico e sociale,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative normative per incrementare la quota di bilancio statale destinata alle politiche di sostegno alle famiglie;
ad assumere ulteriori iniziative normative per incrementare l'occupazione femminile, prevedendo incentivi per le imprese che assumono a tempo indeterminato manodopera femminile, nonché incentivi fiscali per aumentare l'occupabilità delle donne dopo la maternità e politiche di detassazione per sostenere il reddito delle donne al rientro al lavoro dopo il congedo di maternità;
ad assumere iniziative volte a prevedere, come negli altri Paesi europei, la contribuzione figurativa e il riconoscimento previdenziale per i lavori di cura, con particolare attenzione alla cura di figli e all'assistenza di familiari disabili;
a rafforzare le politiche sociali di sostegno alla maternità e alla paternità, anche attraverso l'incremento delle strutture e dei servizi socio-educativi per l'infanzia e, in particolare, per la fascia neo-natale e pre-scolastica, garantendone l'attuazione e l'uniformità delle prestazioni su tutto il territorio nazionale;
ad assumere iniziative per dare continuità alla misura del «bonus bebé» che va inserito in misure strutturali di sostegno alla natalità, cui assegnare carattere prioritario per lo sviluppo del Paese superando l'episodicità che ha caratterizzato la politica di trasferimenti monetari degli anni scorsi;
a sviluppare iniziative per promuovere la genitorialità, anche attraverso interventi di sostegno alla quotidianità, di promozione delle competenze genitoriali, per riconoscere e implementare le risorse, accogliere e prevenire le fragilità, rafforzando servizi di preparazione al ruolo genitoriale, assistenza post partum, orientamento delle neo mamme;
ad assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a garantire l'accesso alle mense scolastiche a tutti i bambini e per continuare e rafforzare la lotta alla povertà educativa;
a favorire e stabilizzare le politiche di conciliazione dei tempi di cura, di vita e di lavoro al fine di consentire alle lavoratrici ed ai lavoratori di conciliare le proprie responsabilità professionali con quelle familiari, di educazione e cura dei figli e degli anziani e a consolidare la sperimentazione di azioni positive per la conciliazione famiglia-lavoro;
ad assumere iniziative per rafforzare la condivisione delle responsabilità genitoriali ed in particolare il coinvolgimento nella vita familiare dei padri, attraverso l'estensione del congedo di paternità obbligatorio, come obiettivo primario;
ad assumere iniziative per interventi, anche di tipo fiscale, per il sostegno alle famiglie più disagiate (in particolare, per le spese di cura).
Seduta del 22 febbraio 2016
Illustra Anna Margherita Miotto
Seduta del 2 marzo 2016
Dichiarazione di voto di Titti Di Salvo