Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
Totò Riina, l'ultimo vero capo dei capi riconosciuto, è stato titolare di un «regno mafioso» lunghissimo ed estremamente sanguinario, durato dai primi anni ’80, cioè dopo la cosiddetta seconda guerra di mafia, fino alla sua morte, avvenuta il 17 novembre 2017;
con la morte in carcere, prima di Provenzano, poi di Riina, si aprono, necessariamente, interrogativi e scenari che interrogano lo Stato e tutte le forze democratiche del nostro Paese;
va ricordato che, nel frattempo, la lotta alla criminalità organizzata ha condotto all'arresto di pericolosi latitanti capi di camorra e ’ndrangheta e che, sul piano repressivo, lo Stato ha inferto colpi durissimi alle organizzazioni criminali, che pure rimangono una minaccia, ben oltre i territori di provenienza tradizionale; basti, ad esempio, ricordare la presenza, accertata e documentata, delle mafie nelle regioni settentrionali, in particolare in Emilia-Romagna, Toscana, Liguria, Lombardia, Umbria, Piemonte e Veneto, ma anche la situazione del Foggiano, del Garganico e della zona di Cerignola (centinaia di omicidi negli ultimi 20 anni sostanzialmente senza colpevoli e accordi criminali con organizzazioni come Cosa nostra, camorra e ’ndrangheta);
catturare i capi, abbattere le leadership cui fanno capo i cartelli criminali appaiono, dunque, fondamentali, ma non basta, come ricordato anche dal nuovo Procuratore nazionale antimafia, che ha sottolineato come sia, nel nostro Paese ma anche a livello internazionale, necessario individuare «le casseforti, circoscrivere le alleanze delle organizzazioni tra politica ed economia e individuare i complici anche nei ceti professionali» –:
quali siano gli ambiti che il Governo ritiene di dover presidiare con maggiore forza, al fine di evitare che divengano terreno fertile per il radicamento e lo sviluppo della criminalità organizzata, e se non ritenga il Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie prerogative, opportuno e necessario verificare l'attualità e l'adeguatezza degli strumenti normativi a disposizione, anche alla luce delle recenti innovazioni, in considerazione del mutare delle forme tradizionali delle medesime organizzazioni, nonché quali iniziative ritenga necessarie al fine di proseguire con decisione nella lotta alle mafie, oltre che sul piano strettamente normativo, anche dal punto di vista delle risorse, dell'organizzazione, dal punto di vista carcerario e da quello più prettamente preventivo.
Seduta del 22 novembre 2017
Illustra David Ermini, Risponde Andrea Orlando Ministro della Giustizia, Replica Walter Verini
Illustrazione
Grazie, signora Presidente. Signor Ministro, dopo la morte di Totò Riina, il capo dei capi, il sanguinario capo dei capi, colui che ha gestito la fase stragista, e dopo la morte di Provenzano, si aprono scenari e interrogativi per lo Stato e per le forze democratiche. Lo Stato ha inferto colpi durissimi alle organizzazioni criminali che oggi vanno ben oltre il loro radicamento in quelli che erano i territori di provenienza. Oggi, la criminalità organizzata si estende anche al nord e pone i suoi tentacoli in Emilia Romagna, in Toscana, in Liguria, in Lombardia, in Umbria, in Piemonte, in Veneto; particolarmente grave è anche nelle altre regioni del Meridione, per esempio in Puglia, nel Foggiano e nel Garganico, nelle zone di Cerignola, dove ci sono state centinaia di morti negli ultimi vent'anni. Quindi, non basta abbattere le leadership, ma occorre lavorare, forse di più, anche tra l'opinione pubblica.
Le chiediamo, signor Ministro, quali sono le iniziative che intende assumere non solo sotto l'aspetto normativo, ma anche sotto l'aspetto di risorse e di organizzazione.
Risposta
Onorevole Ermini, la morte di Riina segna la fine di un'epoca della mafia, quella della mafia visibile, che abbiamo imparato a conoscere, a riconoscere e a contrastare attraverso l'affinamento del sistema normativo sostanziale, processuale e penitenziario, ma non segna certamente la fine della mafia. Se i risultati investigativi e le sentenze della magistratura dimostrano che quella mafia non ha vinto, nel senso che non si è affermato il progetto di dominio che ha segnato i decenni precedenti, non possiamo neanche dire che abbia perso.
Le profonde trasformazioni che hanno interessato la modalità di manifestazione di questi fenomeni criminali, soprattutto in riferimento ai processi di globalizzazione e alle profonde e, spesso, anche opache connessioni con il sistema economico e finanziario, impongono, allora, di fare l'inventario del complesso degli strumenti normativi per misurarne l'efficacia e nel contempo di trovarne dei nuovi. E questo è il metodo, peraltro, che ha orientato anche il contributo all'approvazione del nuovo codice antimafia. Il sistema penale nel suo complesso è ormai più che adeguato, grazie ai recenti interventi normativi finalizzati a contrastare l'illecita accumulazione di ricchezza. Esso richiede solo dei piccoli aggiustamenti.
Occorre, invece, razionalizzare e rendere più efficace l'apparato normativo extra penale a tutela della legalità, per rendere il sistema economico impermeabile alla penetrazione delle mafie e innalzare la soglia di vigilanza sulle amministrazioni pubbliche. Ciò vuol dire regole di trasparenza, di governance e di responsabilizzazione dei soggetti economici e delle professioni e un adeguamento dei meccanismi di vigilanza e controllo sulle amministrazioni pubbliche, specie locali.
Sul piano internazionale, proseguendo gli importanti risultati già raggiunti in attuazione di importanti strumenti normativi e nell'istituzione della Procura europea, occorre un'opera di ampliamento e rafforzamento degli strumenti di cooperazione e delle strutture.
Ma credo che vi sia, soprattutto, il bisogno di una nuova e diffusa spinta di carattere culturale e sociale, in grado di offrire nuove coordinate di decodificazione per leggere l'evoluzione della mafia in tutti gli ambiti della vita sociale, di cogliere i punti di vulnerabilità del sistema, i varchi attraverso cui le organizzazioni criminali riescono a inserirsi e a portare l'azione di contrasto oltre l'ambito dell'azione penale, con l'attenzione all'ordinario svolgersi della vita pubblica e alla cura per le persone, superando anche logiche manichee, meramente repressive, per adottare approcci di prossimità, capaci di guardare ai contesti in cui le mafie proliferano.
Per questo, ispirandoci alla proficua esperienza della consultazione pubblica sull'esecuzione penale, ho voluto avviare una nuova riflessione, istituendo gli Stati Generali della lotta alle mafie. I lavori degli Stati Generali si concluderanno domani, a Milano, alla presenza del Presidente della Repubblica e delle più alte cariche istituzionali con due giornate di dibattito, nel quale abbiamo voluto coinvolgere altre voci, aperto alla più ampia partecipazione della società, con l'obiettivo di pervenire ad un documento finale e condiviso che abbiamo voluto chiamare la Carta di Milano per la lotta alle mafie del XXI secolo. Si tratta di un documento che presenteremo a tutte le istituzioni impegnate su questo fronte, al Governo, al Parlamento e all'Unione europea, con l'accresciuta consapevolezza che un'efficace azione di prevenzione e contrasto richiede un impegno unitario e costante di tutte le forze politiche e sociali e il rafforzamento della democrazia.
Replica
Grazie, Presidente. Ci dichiariamo soddisfatti, perché le cose che ha detto il Ministro danno il senso che il Governo e lo Stato ci sono e ce n'è tanto bisogno, perché le mafie, nonostante la morte di quel criminale, nonostante gli arresti degli anni scorsi, ci sono, sono invasive, gestiscono mercati come quello delle droghe, dei rifiuti, spesso delle armi, gestiscono, spesso, e si inseriscono nella pubblica amministrazione, lavorando per ottenere appalti, anche attraverso società prestanome.
Gli Stati Generali di Milano sono un appuntamento importante per mettere a punto strategie di contrasto. Noi pensiamo di condividere alcune cose, aggiungiamo, solo per titoli, alcuni obiettivi, per noi, irrinunciabili: bisogna rafforzare l'organizzazione investigativa e giudiziaria, le connessioni tra le banche dati, arrivare alla Procura europea e, poi, occorrono maggiori forme di tutela per le donne e i minori che rompono con le famiglie di mafie. Io spero che il Senato, prima della fine della legislatura, riesca ad approvare la legge che abbiamo, qui, licenziato a tutela dei testimoni di giustizia. Poi, bisogna diffondere la cultura della legalità e delle regole nella pubblica amministrazione, nella scuola, nei mezzi di comunicazione, perché quello è il brodo di coltura. E, poi, lavoro, lavoro, lavoro per i giovani, occorre lottare contro il degrado delle periferie, dove spesso c'è brodo di coltura per la cultura mafiosa delle criminalità organizzate e, anche, per raccogliere la manovalanza. Dobbiamo dare, insomma, la percezione e la realtà che lo Stato dà risposte.
In questi anni, infine, abbiamo fatto molte cose, il codice antimafia, la legge per aiutare chi segnala gli episodi di corruzione, ma, guai, nella prossima legislatura, ad abbassare la guardia, perché le mafie ancora ci sono, ma lo Stato e la politica devono essere più forti.