A.C. 1990-A
Presidente, colleghi, credo che siamo arrivati ad un punto interessante, di svolta, rispetto a questo provvedimento, che ha avuto un percorso in Commissione piuttosto lungo e molto approfondito. Di fronte a una proposta dell'opposizione che prevedeva e che prevede una completa abrogazione dell'attuale situazione, dell'attuale normativa sul finanziamento all'editoria, l'atteggiamento della Commissione è stato quello, innanzitutto, di provare ad andare ad individuare nel dettaglio di quale argomento stavamo parlando. Infatti, credo sia giusto rendere noto, sia all'Aula sia all'opinione pubblica, che probabilmente la discussione su questo tema subisce un errore di fondo di percezione rispetto a quelle che erano le normative antecedenti al 2010. Credo che, sia in quest'Aula che fuori, quando si parla di finanziamento all'editoria, si abbiano in mente dei fatti assolutamente incresciosi che hanno riguardato il finanziamento, che è continuato per diversi anni senza alcuna verifica, ad esempio, del numero di copie effettivamente vendute e distribuite, quindi un sistema di sostegno a realtà che magari dichiaravano una distribuzione di copie oppure la realizzazione effettivamente in quanto a tiratura, ma che poi non avevano un reale impatto sul territorio.
Questo sistema, che effettivamente ha funzionato a partire dagli anni Ottanta, con le prime normative degli anni Ottanta e fino a tutti gli anni Duemila, è stato sostanzialmente messo in discussione da un regolamento del 2010, che ha iniziato a correggere in maniera significativa nel merito questo tipo di erogazioni e poi anche a rivederne la quantità.
Oggi quali e quante testate e che tipo di testate vengono finanziate è trasparentemente visibile per tutti sul sito del Dipartimento editoria del Governo. Ci sono i finanziamenti erogati dal 2003 al 2013. Chi avesse l'interesse di andare ad analizzarlo, scoprirebbe intanto un fondo che va a decrescere in maniera significativa e un numero di testate che viaggiano attorno alle 200-220, nessuna delle quali ho trovato oggi nelle due edicole che ho avuto modo di frequentare nel percorso dal mio territorio qui alla Camera, quella della stazione Centrale e della stazione Termini.
Perché dico questo ? Perché nessuno dei grandi giornali, delle grandi testate che tutti noi conosciamo è sostenuto oggi sostanzialmente da un finanziamento pubblico; è, invece, sostenuto da un finanziamento pubblico quel gran numero di piccole testate locali che svolgono a nostro parere un lavoro prezioso.
È come se oggi il mercato dell'editoria fosse, da un lato, tutto concentrato sulle grandi notizie, per cui quello che ha detto l'altro giorno il Papa al Congresso americano o all'Assemblea delle Nazioni Unite oppure quello che dice il Presidente del Consiglio o quello che succede magari di natura scandalistica o la grande questione della Volkswagen è accessibile a tutti in tempo reale, praticamente un secondo dopo l'altro, su tutti i siti, sui social network, sulle testate principali e poi approfondito sulle riviste.
Quello che succede sotto casa nostra, invece, dipende esclusivamente da un lavoro quotidiano faticoso di tanti giornalisti, che impegnano il loro tempo e la loro attività con una quantità di passione significativa e importante dal punto di vista civico, e senza i quali noi non ne sapremmo assolutamente nulla. Noi rischiamo di essere comodamente seduti a casa nostra sul divano di casa, sapere tutto di ciò che accade nel mondo e non sapere mai nulla di ciò che accade nella via sotto casa nostra.
È di questo che la Commissione ha provato a farsi carico, partendo da un percorso di audizioni. Abbiamo sentito oltre 40 voci in Commissione. Abbiamo sentito i rappresentanti di tutta la filiera del settore, quindi abbiamo sentito i rappresentanti dei giornalisti, degli editori, le società cooperative di giornali. Abbiamo sentito anche gli edicolanti, che rappresentano la fase terminale di questo processo ma rappresentano comunque un passaggio importante, perché oggi in questo Paese abbiamo oggettivamente un problema di riqualificazione dei punti vendita dei giornali e abbiamo il problema di garantire l'accesso ai giornali che sopravvivono in tante aree cosiddette marginali del Paese. Il problema non è l'edicola vicino al Parlamento, ma sono le tante edicole dei territori minori e delle piccole città, dove si rischia addirittura che un giornale pur edito, di quelli che riescono ancora a sopravvivere e ad essere stampati, non arrivi mai.
Di fronte a questa situazione noi abbiamo voluto ascoltare e in qualche caso anche visitare, come ho fatto io, qualcuna di queste piccole realtà esistenti. Su richiesta di diversi gruppi della Commissione abbiamo anche sentito i grandi nomi del giornalismo. Abbiamo sentito figure che hanno opinioni chiaramente molto diverse, da Stefano Folli a Zaccaria, da Giuliano Ferrara a Marco Travaglio, abbiamo sentito figure che la pensano in maniera differente. Abbiamo voluto ascoltare anche degli studiosi universitari e confrontarci con quanto accade effettivamente nel mondo in questo campo, in particolare nella nostra Europa, di cui facciamo parte a pieno titolo.
Siccome in alcuni casi, anche in questa proposta di legge, si fa riferimento alla normativa europea dobbiamo andare a vedere cosa succede negli altri Paesi europei. Vediamo che negli altri Paesi, tra finanziamento diretto e indiretto, esiste un fattivo sostegno all'editoria sostanzialmente superiore a quello italiano in quasi tutti i Paesi. Questo perché ? E qui credo sia il nodo di cui io sono tenuto a relazionare, perché ciò che è emerso da questo lavoro approfondito è che noi siamo di fronte ad una scelta di comprensione. Noi dobbiamo capire se quando parliamo di informazione noi stiamo parlando di un prodotto o stiamo parlando di qualcosa d'altro. Se noi stiamo parlando di un prodotto è chiaro che valgono le leggi del mercato, quindi se tu hai la capacità di vendere e di arrivare al tuo pubblico e di sostenerti con quella vendita e con il contributo della pubblicità, bene; altrimenti, morta lì, fine della questione.
Tuttavia, la maggioranza della Commissione, che mi ha dato un mandato contrario a questa norma, ritiene che da questo dibattito sia emerso chiaramente come la nostra Costituzione, innanzitutto, interpreti l'informazione – in realtà lo fanno un po’ tutte le costituzioni del mondo – come una forma fondamentale di quel diritto alla conoscenza che sta sempre più maturando come un tema da porre a livello nazionale e internazionale, di cui il nostro Paese purtroppo non gode di grande e buona salute.
Quindi, forse, piuttosto che venir meno ai doveri costituzionali, il Parlamento dovrebbe capire in quali forme nuove garantire l'accesso alla conoscenza, il diritto alla conoscenza e il diritto all'informazione per deliberare.
Da questo punto di vista, è importante capire quale dibattito avverrà in questa Aula, perché fino a qualche settimana fa il percorso della Commissione si era attestato, anche con un rinvio dall'estate all'inizio dell'autunno, condiviso con i proponenti della proposta, per provare ad addivenire ad un testo congiunto. Lo dico con chiarezza, un testo congiunto che tenesse ovviamente conto delle differenze di impostazione che esistono in Commissione, perché non la pensiamo tutti allo stesso modo e sarebbe grave se così fosse, in quanto sarebbe un deficit per la democrazia.
Dal dibattito sembravano però emergere due punti. In primo luogo che, se togliamo il focus dagli scandali, dalle grandi testate e ad esempio dai giornali politici collegati ai gruppi parlamentari – di cui si parla ancora molto, ma che non hanno più quel sistema di finanziamento in realtà da un po’ di tempo – e andiamo a vedere che cosa oggi noi effettivamente sosteniamo, allora forse vi è la condivisione della necessità di un accompagnamento almeno per un periodo verso una riorganizzazione di questo settore, spingere di più verso l'innovazione, aiutare questi giornali ad affrontare l'era del digitale in maniera compiuta e completa; ciò, pur sapendo che non solo di digitale può vivere l'informazione, perché ad esempio grandi Paesi come gli Stati Uniti, che hanno avuto una trasmigrazione forte di tutte le testate sull’online, hanno poi visto il settore fare dei passi indietro e tornare in parte, magari con formule nuove di stampa, al cartaceo proprio per arrivare appunto vicino ai territori.
Quindi, quello che posso dire, che posso relazionare, è che esiste una condivisione ampia di tutta la Commissione verso la necessità di una revisione radicale del sistema e, quindi, forse di far tesoro nella legge e, quindi, nella normativa primaria di quelle modifiche introdotte con il regolamento del 2010 che però non sono mai entrate nella normativa primaria.
Ci fu un tentativo nella scorsa legislatura, quel tentativo non andò in porto e, quindi, oggi noi viviamo una situazione in cui c’è una normativa precedente con una filosofia diversa, corretta di fatto da un regolamento. Far tesoro di questa normativa e provare a renderla una normativa vigente: lo dico anche qui in maniera trasparente, con un rapporto dialettico e costruttivo con il Governo. Infatti, il Parlamento è legato al Governo da un rapporto di fiducia, con i gruppi che la esprimono e i gruppi che non la esprimono, che fa sì che nell'ordinamento italiano il Governo non è altro dal Parlamento, ma è strettamente legato al Parlamento. Quindi, la costruzione di un percorso condiviso, come è avvenuto. Perché questo dibattito in Commissione ha stimolato – per me è importante dirlo qui – un lavoro del Dipartimento editoria, del sottosegretario all'editoria, una fase di ascolto delle categorie da questo punto di vista anche da parte del Governo e una condivisione di alcuni obiettivi: obiettivi di riorganizzazione, obiettivi di ripensamento, obiettivi anche di individuazione di chi e come sostenere e di come dare però a questi soggetti delle garanzie di un sostegno pronto e con un tempo definito. Infatti, l'incertezza delle norme è stato uno dei fattori negativi in generale per il sistema Paese e, in particolare, anche per questo settore che ogni volta è in attesa di capire il mattino dopo che cosa succede.
Quindi, provare a disegnare una norma, che noi abbiamo ipotizzato, come quella della fine del finanziamento dell'editoria e della nascita di un fondo per il pluralismo dell'informazione con criteri chiari e netti, che sostenga sostanzialmente, da un lato, l'innovazione del settore, che permetta a nuove voci di entrare (come oggi non è possibile in questo settore), a voci giovani o meno giovani, che permetta di sostenere l'innovazione, di accompagnare i processi di riorganizzazione e, quindi, che consenta una riduzione sostanziale delle spese a tutti quei soggetti che però dimostrino di avere effettivamente un pubblico che li legge, quindi un sostegno delle entrate che derivino anche dai loro lettori e anche una capacità di intercettare, magari favorendoli dal punto di vista fiscale, la pubblicità; e, quindi, il sostegno anche dell'impresa e del territorio a quel settore, pensando e avendo in mente appunto le tante voci del territorio, non solo quelle – che pur sono importanti – ad esempio delle minoranze linguistiche, ma quelle realtà che esistono in tutto il Paese.
Capiamoci, noi pensiamo – mi sembra di interpretare in questo l'opinione maggioritaria della Commissione – che, se in un territorio del Paese esiste una sola voce editoriale, è bene che quella voce non si spenga e pensiamo che, se ne esistono due, è bene che non vengano ricondotte a una.
Si è parlato in questi giorni, in queste ore, di bavaglio all'informazione: ecco, noi pensiamo che venir meno al sostegno all'informazione e soprattutto all'informazione locale, quello sia sì un vero bavaglio all'informazione, perché vuol dire farla chiudere.
Non è secondario l'aspetto occupazionale. Io da relatore l'ho detto più volte in Commissione: io non sono per niente convinto che i provvedimenti sul pluralismo dell'informazione che abbiano questo come oggetto debbano avere come oggetto interventi occupazionali, ci sono altri settori e altri Ministeri che se ne devono occupare.
Però, sicuramente, se parliamo ad esempio dell'impatto sulla spesa pubblica di un provvedimento, dobbiamo calcolare le risorse che noi togliamo, da una parte, ma anche le risorse che rischiamo di andare a stanziare, dall'altra parte, in forma di ammortizzatori sociali, che sono risorse molto meno produttive e che rischiano, invece di aiutare delle persone a fare il loro lavoro, di andare a sostenere delle persone che quel lavoro lo hanno appena perso.
Allora, quando si chiede di garantire a tutti i cittadini italiani un reddito minimo, è chiaro che magari è bene continuare a sostenere quelle forme di finanziamento che permettono ai cittadini di avere un reddito, perché il loro lavoro effettivamente lo fanno, come sono tanti quelli che lavorano nell'informazione.
Dico questo perché l'attuale normativa prevede un collegamento stretto tra la possibilità di accedere a un finanziamento, quella corretta, con il regolamento del 2010, e l'obbligo di mettere in regola i propri dipendenti e quindi di garantire l'occupazione.
Ecco, questo a me sembra il quadro che noi oggi consegniamo al lavoro della Camera dei deputati, un quadro che è, per quanto mi riguarda, ancora aperto, perché l'ultimo episodio in Commissione della scorsa settimana vede due sostanziali novità, se non tre.
La prima novità è che il Partito Democratico presenta un testo di legge, un testo di legge che era nell'aria dal punto di vista politico – lo dirà il PD – però io devo dire che ho apprezzato la scelta che sia un testo che sostanzialmente nasce con una natura parlamentare, pur in una relazione stretta con il Governo indubbiamente. Questo testo di legge è adesso un fatto concreto, è lì da vedere e da discutere. È possibile confrontarsi su quel testo e da quel testo far emergere delle cose. È un testo che contiene una revisione netta del sistema e porta nella norma primaria anche tutte quelle innovazioni fino ad ora introdotte e ne porta anche delle altre radicalmente nuove.
Il testo oggi presentato, che contiene tra l'altro una serie di problematiche anche a livello di normativa che il presentatore conosce benissimo (e, infatti, il MoVimento 5 Stelle ha tentato di intervenire anche in correzione di questi interventi), è quindi sicuramente un testo che nella forma attuale – io sono tenuto a dirlo come relatore – creerebbe anche una serie di problematiche perché tocca settori che in realtà non c'entrano con l'oggetto della materia, perché lascia non chiarite alcune relazioni tra norme che vengono soppresse e norme che non vengono soppresse.
Diciamo che sicuramente la maggioranza della Commissione – e quindi mi sento di dire del Parlamento che mi ha conferito per questo un mandato contrario in virtù di un emendamento soppressivo presentato, fra l'altro, da una forza di opposizione – vede una contrarietà all'idea di un'abolizione tout court e istantanea delle attuali norme, senza la costruzione di norme nuove, che di fatto toglierebbe quel tipo di intervento previsto, se non indicato anche dalla nostra Costituzione rispetto al pluralismo dell'informazione.
Di fronte a questo, cosa vogliamo fare ? Io, come relatore, sono qui per ascoltare l'Assemblea e per capire, intanto dai proponenti, se c’è la volontà, di fronte al testo presentato e di fronte alle altre proposte che possono venire dalle altre forze, di provare a completare un percorso, che a questo punto avrebbe indubbiamente tempi molto brevi, perché i testi sono lì da vedere, le audizioni sono state fatte e tutto il lavoro di istruttoria è un lavoro compiuto, e permettere finalmente al Parlamento italiano di aggiornare la normativa ai tempi, di innovare la normativa e di chiarire, una volta per tutte, quali, come, con quali modalità e con quali tempi si vuole intervenire.
È chiaro che se la volontà invece fosse solo quella di misurarsi rispetto a una norma, di prendere o lasciare, credo che il mandato che ho ricevuto sia abbastanza netto rispetto alla scelta del lasciare e, quindi, questo sarà l'orientamento della mia relazione, ma sono qui anche per ascoltare oggi e nei giorni successivi.