Discussione sulle linee generali
Data: 
Giovedì, 6 Dicembre, 2018
Nome: 
Pietro Navarra

A.C. 1334-A

Grazie, Presidente. Dal periodo aprile-giugno del 2014 l'Italia non conosceva il segno meno davanti all'andamento trimestrale del PIL; poi 14 mesi di fila, trimestri di fila positivi, fino ad arrivare all'ultimo segnale, dato dall'ISTAT, nel terzo periodo di quest'anno, un rallentamento dello 0,1 per cento. Siamo quasi in recessione.

In questo clima di forte incertezza e di crescita negativa il Parlamento è chiamato a varare la legge di bilancio, una legge di bilancio che è lo specchio di un Governo vittima della sua superficialità mista a incompetenza nella scelta delle misura di politica economica da adottare, così come della sua presunzione e del suo dilettantismo nei rapporti con la Commissione europea.

È un Governo totalmente isolato in Europa, prigioniero delle promesse fatte in campagna elettorale, un Governo nel pallone, ostaggio di se stesso e della propria arroganza, messo con le spalle al muro dalla minaccia legata alla procedura di infrazione per debito eccessivo e incapace di reagire unitariamente nell'interesse dell'Italia.

Il Governo propone una legge di bilancio ampiamente finanziata in disavanzo per complessivi 37 miliardi di euro, gran parte dei quali a copertura delle due misure cardine scelte per favorire crescita e occupazione: reddito di cittadinanza e quota 100. Proverò a spiegare perché nessuna delle due raggiungerà gli obiettivi che si prefigge e, invece, produrrà effetti deleteri per la nostra economia.

Sebbene al momento esiste solo un fondo e nulla ci è dato sapere sul meccanismo di funzionamento del reddito di cittadinanza, sappiamo però che esso consiste in un sussidio integrale che servirebbe a combattere la povertà e a favorire l'occupazione, specialmente nel Mezzogiorno.

Tuttavia, come è stato autorevolmente affermato dal premio Nobel Muhammad Yunus, persona che di povertà certamente se ne intende, il reddito di cittadinanza rende più poveri, non è utile a chi è povero e a nessun altro, è una tipica idea di assistenzialismo occidentale e nega la dignità umana.

I salari sganciati dal lavoro, dice Yunus, rendono l'uomo un essere improduttivo, ne cancellano la vitalità e il potere creativo.

Seppure il reddito di cittadinanza vuole rispondere a una giusta domanda di sicurezza da parte dei più deboli, lo fa nel modo sbagliato, per due principali motivi. Primo: se il fine è quello di lottare contro la povertà, esiste già una misura strutturale che ha questo obiettivo, il reddito di inclusione, una misura che sta funzionando bene e andrebbe potenziata. Lo abbiamo suggerito al Governo in questi giorni in Commissione bilancio, ma è stato come parlare a un muro di gomma; nessuna reazione, se non la fede incondizionata in un totem di cui però, ancora, non si sa nulla, se non indiscrezioni su una fantomatica card, forse, già in stampa, o un assurdo e liberticida meccanismo di controllo dei consumi.

Secondo: se l'obiettivo è creare più occupazione, non si può prescindere dal fatto che il lavoro lo creano le imprese. Senza imprese nessun reddito di cittadinanza può creare lavoro, e la vostra manovra fa poco o nulla per sostenere le imprese, basti solo pensare che l'appesantimento fiscale a loro carico è aumentato di oltre 6 miliardi di euro.

Abbiamo provato a suggerire un'azione strutturale di sostegno al mondo produttivo, attraverso il taglio, in un solo anno, di quattro punti percentuali del cuneo fiscale; questo shock fiscale a vantaggio del mondo produttivo avrebbe certamente stimolato la crescita, specialmente nel Mezzogiorno, dove le imprese hanno maggiore bisogno di sostegno e, invece, ci siamo scontrati con un Governo sordo che, purtroppo, considera il Meridione come una casa di riposo per anziani o un territorio di fannulloni da mantenere.

E che dire di quota 100? Dovrebbe riportare giustizia nel sistema previdenziale italiano e garantire un ricambio generazionale nel mercato del lavoro; purtroppo, a parte avvantaggiare gli operai maschi del Nord del Paese che hanno iniziato a lavorare da giovani con contratti di lavoro formalizzati, non raggiunge nessuno di questi due obiettivi. Crea ingiustizia intergenerazionale, minando alla base la sostenibilità del nostro sistema pensionistico ed è, nella migliore delle ipotesi, neutrale in termini di effetti occupazionali.

Nel suo delirio di onnipotenza il Ministro Salvini affermava: se l'anno prossimo diamo il diritto alla pensione a tre o quattrocentomila italiani, finalmente ci saranno tre o quattrocento mila giovani che, invece di scappare altrove, potranno costruirselo in Italia il loro futuro. Niente di più falso e niente di più coerente con la superficialità e il pressappochismo del leader leghista. Non soltanto questi afferma l'esistenza di una relazione negativa tra i posti di lavoro degli anziani e i posti lavoro dei giovani, ma sostiene anche che il rapporto tra i due sia di uno a uno. Vorrei suggerire al Vicepremier di approfondire il tema e scoprirà una serie di cose interessanti: primo, le forze lavoro di diverse età non sono omogenee per capacità e vocazioni e, quindi, le diverse generazioni sono complementari più che sostituibili all'interno degli organici; secondo, un pensionamento degli anziani usato per far posto ai giovani creerebbe maggiore spesa previdenziale, che assorbirebbe maggiori risorse fiscali e contributive, con potenziali effetti distorsivi sia sul lato dell'offerta che su quello della domanda di lavoro; terzo, numerosi studi hanno dimostrato l'esistenza di una correlazione positiva tra i livelli di occupazione dei lavoratori più giovani e più anziani in vari Paesi e nel corso degli ultimi decenni; quarto e ultimo, un aumento occupazionale dei lavoratori più anziani non solo stimola l'occupazione giovanile, ma anche i relativi salari medi.

Per quanto attiene alla giustizia intergenerazionale, non soltanto quota 100 non si pone minimamente il problema di come creare le condizioni per garantire una pensione decorosa anche ai giovani di oggi, ma sottovaluta il rischio di un incremento esponenziale nel debito pensionistico che graverà sulle generazioni future. Inoltre, è incomprensibile e mistificante la previsione secondo cui il fondo per finanziare quota 100 non aumenti nel corso dei due anni successivi all'introduzione della riforma.

Signor Presidente, nel mio intervento ho voluto soffermarmi sulle due misure cardine della manovra di bilancio proposta dal Governo, provando a spiegare che gli strumenti proposti per dare risposte alle esigenze del Paese non sono solo sbagliati ma sono dannosi e ingiusti, perché producono l'esatto contrario di ciò di cui l'Italia ha bisogno. Queste due misure, inoltre, ripropongono al meglio la filosofia di fondo che tiene insieme la maggioranza e ispira le scelte del Governo di un Paese che sembra non avere più un futuro, un Paese senza prospettive, impaurito e chiuso in se stesso e incapace di puntare sulle proprie risorse, a partire dalle singole persone.

E, allora, è facile comprendere perché si preferisce scommettere sul sostegno alla disoccupazione piuttosto che all'occupazione, perché si sceglie di spendere risorse per generare nuovi pensionati piuttosto che investire sui giovani puntando sulla scuola e sull'università, perché si sceglie di usare la leva del debito per promuovere mero assistenzialismo piuttosto che per creare condizioni utili al lavoro e impulso al mondo produttivo. Reddito di cittadinanza e “quota 100” sono anche esempi di una filosofia che tende a usare in economia la stessa identica logica perversa già usata con i vaccini: essere disposti a mettere a rischio il futuro dei nostri figli pur di non mettere a rischio il proprio consenso elettorale.