Data: 
Mercoledì, 21 Giugno, 2017
Nome: 
Paolo Gentiloni

Signora Presidente, colleghe e colleghi, il Consiglio europeo che si svolge domani e dopodomani, si svolgerà esattamente ad un anno di distanza da quel voto del 23 giugno dell'anno scorso, che ha portato la maggioranza dei cittadini britannici a decidere l'uscita dall'Unione europea, aprendo in qualche modo - se pensiamo all'atmosfera, alle cronache, alle discussioni di quelle settimane di un anno fa - quello che sembrava dover essere un anno orribile per l'Unione europea. E in effetti le cose sono andate in un modo diverso, quindi un anno dopo possiamo, credo, ragionare su un andamento diverso da quello che in quelle settimane si era immaginato.

L'Europa, certamente, ha attraversato - e Brexit ne è stata, forse, l'episodio saliente - una fase difficilissima, forse la fase più difficile dei suoi sessant'anni di progetto dell'Unione, non solo per la scelta, per la prima volta, dopo tanti allargamenti che da sei componenti avevano portato l'Unione a ventotto, di uno dei membri del club di andarsene, ma anche ovviamente per le caratteristiche dello Stato membro che aveva deciso di lasciare, e cioè un Paese che, pur avendo forse un europeismo riluttante, certamente è stato ed è uno dei protagonisti assoluti dal punto di vista storico, culturale, economico, militare, della storia del nostro continente.

E poi eravamo nel pieno della crisi migratoria, delle conseguenze della crisi economica più grave che ha investito l'Europa nel dopoguerra e degli effetti che questa specie di tempesta perfetta aveva provocato. Brexit, la crisi migratoria, i postumi del grande shock economico hanno provocato una crisi di fiducia, nei confronti del progetto europeo, senza precedenti.

In un certo senso, per molte settimane, quella che per alcuni decenni era stata vista - la prospettiva dell'Unione europea - come un contributo alla soluzione dei nostri problemi, come un traguardo da raggiungere, è stata considerata da una parte consistente delle nostre opinioni pubbliche in Europa, invece, come l'origine di ogni male, come un bersaglio, come l'origine dei problemi. Ora è passato un anno e la coincidenza che il Consiglio europeo si faccia esattamente un anno dopo ci aiuta in questa riflessione un pochino più larga che non solo sull'ordine del giorno della riunione dei Capi di Stato e di Governo.

Un anno dopo si può dire che le cose sono andate diversamente: lunedì c'è stato il primo round del negoziato su Brexit e devo dire che la parte che ha deciso di uscire non affronta certamente questo negoziato su posizioni di forza. Il che non vuol dire - sia detto per inciso - che noi italiani alimentiamo un atteggiamento, tra virgolette, vendicativo nei confronti della scelta democratica del popolo britannico, cui ci lega un rapporto storico per mille ragioni, ma, certamente, l'Unione europea sarà esigente in questo negoziato e noi italiani lo saremo in modo particolare su alcuni punti, non solo sulle questioni economiche e commerciali, ma sulle questioni che riguardano, ad esempio, i diritti maturati dalle centinaia di migliaia di cittadini italiani che hanno deciso di risiedere temporaneamente nel Regno Unito e che noi intendiamo difendere e difenderemo. Ma quel negoziato dimostra che la storia è andata in una direzione diversa da quella che qualcuno temeva, qualcun altro auspicava nel cuore, nel mezzo di questa tempesta perfetta che attraversava l'Europa un anno fa. Quel voto non è stato, come avrebbe potuto essere, una campana a morto per il progetto europeo, ma una sorta di sveglia molto sonora, si potrebbe dire. E il progetto europeo, proprio nel suo momento più critico - non è la prima volta, era accaduto altre volte nel corso dei decenni -, ha rivelato la sua vitalità. Nei giorni scorsi abbiamo tutti ricordato un grande Cancelliere tedesco, cristiano-democratico, Helmut Kohl: una figura alla quale anche dall'Aula della Camera dei deputati deve venire, io credo, un riconoscimento per il suo valore e per il ruolo storico che Helmut Kohl ha avuto (Applausi). Cancelliere della unificazione, Cancelliere del rilancio del progetto europeo: sarà difficile dimenticare quell'immagine dell'interminabile stretta di mano tra Kohl e Mitterrand di fronte al cimitero di Verdun, in Francia. E intervenendo nell'Assemblea nazionale francese, Helmut Kohl ammoniva dicendo che: “Gli spiriti del male non sono stati banditi per sempre dall'Europa; a ogni generazione si pone, di nuovo, il compito di impedire il loro ritorno”.

E ora, onorevoli colleghe e colleghi, questo compito di impedire il ritorno degli spiriti del male in Europa, che hanno segnato la storia della prima parte del secolo scorso europeo, è in fondo nelle nostre mani, nelle mani delle classi dirigenti politiche, economiche, culturali, sociali europee e italiane. Ora è il nostro compito, ora che riscopriamo la vitalità del progetto europeo e credo che è con orgoglio che noi italiani possiamo rivendicare il fatto che la riscoperta di questa vitalità del progetto europeo, in parte, si è materializzata proprio qui, proprio a Roma, nel marzo scorso, nell'occasione dei sessant'anni dei Trattati di Roma, in cui credo che noi abbiamo percepito, anche fisicamente, l'idea che prima ho cercato di dire e, cioè, una volontà di riscatto, una volontà di affrontare i problemi, una volontà di rispondere in avanti alla crisi del progetto europeo.

Non è stato un successo del Governo, è stato un successo del Paese, della città di Roma il fatto di aver ospitato questo momento di riscatto e di orgoglio europeo. Ora che l'Unione, che qualcuno ha definito “superpotenza tranquilla”, ha uno spazio geopolitico, per certi versi, inedito da occupare di fronte alle scelte di quello che è stato e che, ovviamente, resta il nostro principale alleato, gli Stati Uniti, che, tuttavia, stanno compiendo delle scelte molto concentrate all'interno dei loro confini nazionali; e questo apre all'Europa un compito geopolitico di un certo rilievo, visto che gli spazi vuoti nella politica internazionale vuoti non rimangono. Ora siamo alla prova di questa vitalità, perché è molto sulle spalle del progetto e dell'Unione europea che pesa la responsabilità di non fare marcia indietro rispetto agli impegni che sono stati presi per il contrasto ai cambiamenti climatici nel dicembre del 2015 a Parigi. Noi lo abbiamo detto subito, qualche ora dopo l'annuncio ufficiale dell'amministrazione americana, di voler recedere dagli Accordi di Parigi. In una dichiarazione congiunta con la Cancelliera Merkel e il Presidente Macron abbiamo detto subito una cosa molto semplice e, cioè, che quegli Accordi non solo vanno difesi, ma non possono essere rinegoziati. Perché, naturalmente, anche la posizione americana non è una posizione genericamente contraria a contrastare i cambiamenti climatici, ma è una posizione che vorrebbe, per così dire, alleggerire il peso economico che i grandi Paesi, i Paesi più industrializzati, i Paesi più ricchi, i Paesi più forti si sono assunti a Parigi per favorire l'impegno di tutto il resto del mondo a contrastare i cambiamenti climatici. Ma l'Accordo di Parigi è quella cosa lì: se si è rinegozia quell'impegno, di fatto, restano solo delle buone intenzioni. Quindi, anche lì, c'è il ruolo fondamentale dell'Unione europea.

Detto questo, naturalmente, care colleghe e cari colleghi, lungi da me immaginare che dopo una fase nella quale c'è stata perfino una demonizzazione del progetto europeo, oggi, io sia qui a proporvi una sorta di sua esaltazione acritica, euforica. Non si tratta di questo. Il progetto dell'Unione si è dimostrato resistente e più che mai attuale, ma, contemporaneamente, noi dobbiamo sapere che l'Unione europea deve cambiare e, cioè, che la sua prospettiva, la sua capacità di resistenza deve alimentarsi di uno sforzo di innovazione e di cambiamento che deve essere al centro dell'agenda dei prossimi mesi e dei prossimi anni, perché, rimanendo fermo, il progetto, pur avendo dimostrato la sua forza e la sua vitalità, non riuscirà ad assolvere i compiti accresciuti che questa contingenza storica gli propone.

La crescita dell'Eurozona sappiamo è migliore di quanto si fosse previsto - abbiamo ipotesi di crescita per l'Eurozona attorno al 2 per cento per i prossimi anni -, ma questo è un motivo in più per dire che, proprio di fronte alla prospettiva di una crescita meno stentata di quanto si immaginasse soltanto un anno fa, si tratta di mettere mano alle regole che sono state concepite nel momento più difficile della crisi economica europea e che, se non vengono messe in discussione, rischiano di avere un effetto soffocante, deprimente su questa spinta, pure positiva, di crescita dell'Eurozona. Serve una discussione sulle regole, serve una vera unione monetaria, servono politiche del lavoro e degli investimenti. Insomma, non bastano buoni numeri, buoni decimali per quanto riguarda il tasso di crescita, perché il progetto dell'Unione europea, la sua capacità attrattiva in Europa e fuori dall'Europa, in fondo, si basa sul suo essere anche un grande progetto di inclusione, un progetto di welfare, un progetto di lavoro, un progetto di riduzione delle diseguaglianze sociali ed è oggi il momento per mettere alla prova questa capacità del modello europeo, oggi, non tra qualche anno, oggi che ci sono finalmente dati più incoraggianti sul terreno economico (Applausi). Si tratta di imboccare la strada dello sviluppo e dell'inclusione sociale, è il compito da svolgere ora.

Noi ne parliamo da tempo e io mi auguro che la voce dell'Italia, che da anni si batte in questa direzione, sia una voce irrobustita da altri protagonisti, in particolare naturalmente dalla nuova leadership francese, che può dare una spinta in questa direzione, per cui considero molto positivo il fatto che a metà di luglio ci sia qui a Roma un incontro tra i tre Ministri dell'economia e delle finanze di Francia, Italia e Germania, proprio per mettere al centro dell'agenda europea la discussione sulle cose che bisogna cercare di cambiare per accompagnare questa crescita, per prendere questa opportunità.

In questo contesto politico, onorevoli colleghi, si svolge il Consiglio europeo, che sarà concentrato, oltre che su alcune di queste dinamiche - perché si parlerà di Brexit, si parlerà del futuro dell'economia europea - su due questioni particolari nel suo ordine del giorno, sulle quali riferisco prima di concludere: la prima è la questione della sicurezza e della difesa.

Il contesto nel quale lavoriamo, in Italia come nel resto d'Europa, credo che renda molto chiaro a tutti come siamo di fronte a una minaccia alla nostra sicurezza che ha delle rappresentazioni drammatiche nei fatti di cui siamo stati testimoni a Manchester, a Londra, nella stessa Bruxelles dove ci riuniremo (ieri, come sapete, c'è stato un attentato fallito), ma sappiamo che la minaccia è una minaccia comune, che nessun Paese può sentirsene estraneo. È per questo che serve una risposta comune. La risposta comune si alimenterà, nella riunione di domani e dopodomani, di alcune decisioni specifiche, decisioni sullo scambio di informazioni sui viaggi e sui sistemi di ingresso e di uscita nei Paesi dell'Unione e si tradurrà anche in un impegno più generale, che riguarda la necessità -che io sono contento si sia manifestata in modo così solenne, a Taormina, con quella dichiarazione dei sette sulla sicurezza – di mettere i giganti del web di fronte alle loro responsabilità sul tema del contrasto e della prevenzione della sicurezza (Applausi), perché guardate, noi sappiamo perfettamente che i grandi player della rete sono uno strumento indispensabile della nostra libertà, ma sappiamo al tempo stesso che possono essere uno straordinario terreno di coltura per le minacce alla nostra sicurezza e non è una condanna che queste due cose debbano per forza andare insieme.

Possono restare lo straordinario strumento di libertà e di conoscenza che sono, impegnandosi a evitare o a ridurre i rischi che dalla rete e dai social sì manifesti in modo sempre più pericoloso la minaccia alla nostra sicurezza, perché da lì, oltre che da altre sedi fisiche delle nostre società, ma da lì in modo particolare viene il rischio di radicalizzazione di elementi del fondamentalismo islamico, che sono quelli che poi sono pronti a colpire le vittime innocenti nelle nostre strade, nelle nostre piazze, nei nostri teatri, nei nostri luoghi pubblici e quindi sarà fondamentale per il Consiglio europeo, sulla scia di quanto è stato deciso a Taormina, ingaggiare i grandi player della rete in un impegno in questa direzione. Sulla difesa si faranno ulteriori passi in avanti. Si può essere scettici naturalmente su questi passi, si può considerare quella di una difesa comune europea come una utopia e tuttavia io credo che sia doveroso registrare il fatto che negli ultimi mesi si sono fatti dei passi in avanti.

L'ultima decisione della Commissione di istituire un fondo europeo per la difesa ha fatto dire al Presidente Junker che gli Stati membri potrebbero risparmiare, sulla base di una messa in comune di sistemi di ricerca e di sistemi di difesa, una cifra oscillante tra i 25 e i 100 miliardi, il che ci dice una cosa piuttosto ovvia, ma di cui credo dobbiamo essere consapevoli e cioè che la sfida della difesa comune non è soltanto la sfida per occupare quello spazio geopolitico che il contesto del Mediterraneo e della regione in cui ci troviamo ci impone in qualche modo di occupare, ma la sfida della difesa comune è anche una sfida per rendere più efficienti i nostri sistemi di difesa, per risparmiare risorse e per far sì che l'industria europea sia all'avanguardia e questo è un investimento sul futuro e io rivendico il fatto che, proprio su impulso nostro e di altri grandi Paesi europei - ricordo l'incontro dei quattro principali Paesi europei, a Versailles, alcuni mesi fa - è venuto per la prima volta, con grande chiarezza, il messaggio della possibilità, cominciando proprio dal terreno della difesa, di costruire un'Europa con diversi livelli di integrazione al proprio interno.

Poi è stato un tema di cui si è discusso moltissimo in vista dell'anniversario dei sessant'anni qui della Dichiarazione di Roma, ma non dimentichiamo che è stato in quell'incontro, a Versailles - Hollande, Merkel, Rajoy e il Presidente del Consiglio italiano - che noi abbiamo messo nero su bianco l'impegno, a partire dai sistemi di difesa, ad avere livelli differenziati di integrazione.

Non era un discorso contro l'Unione Europea, era un passo avanti dell'Unione europea e credo che lo dobbiamo rivendicare e che il Consiglio di domani e dopodomani sarà un'occasione per rilanciare.

L'altro tema dell'ordine del giorno, accanto a sicurezza e difesa - e ovviamente non sfuggono a da nessuno in quest'Aula i legami tra questi temi - sarà ancora una volta il tema dell'immigrazione, un tema sul quale io voglio dire in modo esplicito che la valutazione del Governo italiano e del Parlamento senz'altro resta una valutazione molto critica, cioè noi non possiamo non rilevare che la velocità con la quale l'Europa si muove sui temi della gestione dei flussi migratori è una velocità ancora troppo, troppo inferiore a quello che sarebbe doveroso, necessario e fondamentale.

Qualcosa si muove naturalmente, ma si muove senza aver raggiunto ancora quella massa critica, che ci può far dire: abbiamo l'Europa finalmente impegnata su questa questione. Per cui, certo, noi credo possiamo rivendicare un fatto, un punto che con grande forza l'Italia aveva sollevato in questi mesi, e cioè che non era accettabile l'idea di un'Europa a due diverse rigidità, una rigidità molto severa, per quanto riguarda alcune regole di bilancio, e una rigidità molto flessibile, molto accomodante, talvolta addirittura inesistente, per quanto riguarda invece le scelte comuni sul terreno migratorio. Questo per noi non era accettabile. E io rivendico come un fatto positivo che l'Unione europea abbia deciso, finalmente, di attivare procedure di infrazione nei confronti di quei Paesi che esplicitamente si rifiutano di mettere in pratica gli impegni vincolanti anche per loro, presi in materia migratoria dal Consiglio europeo.

Ma, detto questo, si fa ancora troppo poco per l'Africa, per intervenire sui Paesi di origine e di transito. E noi, Governo italiano, nelle responsabilità che ci siamo presi in questi ultimi mesi, in particolare nei confronti della Libia e del Nord Africa, responsabilità rilevanti, perché se apre un'ambasciata, se fai un accordo diplomatico con un Governo, pur conoscendone fino in fondo la fragilità, se fai degli accordi con le tribù che controllano la parte meridionale al confine con il Niger, se ti muovi per formare e poi rafforzare la guardia costiera del consiglio presidenziale libico nel suo impegno diretto sulle coste libiche, dove finalmente ci si muove e finalmente nelle ultime settimane sono state dalla guardia costiera libica salvate alcune migliaia di persone, se noi ci muoviamo per dare una mano a organizzare i campi in quei Paesi, ci chiediamo e dobbiamo sapere se l'Unione europea è con noi, è dietro di noi, con la forza economica, politica e organizzativa dell'Unione europea, oppure se questa resta un'impresa e un'iniziativa soltanto italiana (Applausi). Infatti, noi questo lavoro, lo faremo comunque, perché è indispensabile per gestire al meglio, per cercare di ridurre e di rendere più regolari i flussi, per cercare di sconfiggere le reti dei trafficanti. Ma sulla nostra iniziativa vogliamo sapere - e penso che qualche risposta domani e dopodomani positiva dalle discussioni che stiamo facendo ci verrà - se l'Unione europea ci mette la propria forza e le proprie risorse. Non basta stare a guardare e dire: ma, in fondo, l'Italia sta facendo un buon lavoro. Ovviamente ci fa piacere, ne siamo orgogliosi, ma abbiamo bisogno di sostegno e di impegno comuni, non soltanto di un discorso di apprezzamento! E, infine, colleghe e colleghi, c'è una postilla nell'ordine del giorno, di cui però credo sia utile riferire in quest'Aula, che riguarda la discussione sulla destinazione delle principali agenzie europee, che attualmente hanno sede a Londra e che nel corso della Brexit dovranno trovare sede in altri Paesi. Come sapete, le due maggiori agenzie sono l'agenzia europea per le banche e l'agenzia europea per il farmaco.

C'è una discussione sui criteri e c'è una candidatura italiana, la candidatura di Milano, che io credo abbia un dossier molto competitivo, per la forza del settore farmaceutico in quel territorio e in tutta Italia, e anche per la capacità di accoglienza, logistica e di collegamenti internazionali, e per l'offerta di una sede molto prestigiosa, che la città di Milano ha fatto per l'eventuale trasferimento dell'agenzia del farmaco.

Non è una decisione che verrà presa in questo Consiglio europeo - verrà presa in autunno o in inverno - ma si cominceranno a discutere i criteri. E deve essere per noi italiani un punto fermo, che i criteri devono essere innanzitutto criteri di merito e di qualità e non criteri di divisione geopolitica e geografica, perché è chiaro che, se la partita si gioca sul merito e sulla qualità, la candidatura di Milano - che sono certo ha il sostegno dell'intero Parlamento (Applausi) - ha molte chance per essere un successo. Se si gioca con criteri diversi, la partita diventa molto diversa.

Quindi, in conclusione, signora Presidente, colleghi, io credo che lo shock di Brexit, l'andamento dell'economia, le nuove scelte dell'amministrazione americana e l'esito di alcune partite interne ad alcuni Paesi europei, hanno creato questi eventi, un insieme potenzialmente diverso. Lavoriamo in un quadro potenzialmente diverso e di un certo interesse, che a me fa dire che l'Unione europea si trova di fronte a una grande opportunità, per cambiare e per investire sul proprio futuro. E io, con il contributo e il sostegno del Parlamento, naturalmente nelle funzioni diverse della maggioranza e dell'opposizione, ma con il vostro contributo, penso che il Governo può avere la forza in questa opportunità di portare il contributo, che spetta a un grande Paese fondatore come l'Italia