Data: 
Mercoledì, 21 Giugno, 2017
Nome: 
Andrea Romano

Presidente, grazie al Presidente del Consiglio per queste comunicazioni, che hanno descritto, io credo con molta precisione, non solo il contributo che l'Italia si appresta a dare al Consiglio europeo, ma anche quanto è accaduto in quest'anno, appunto, un anno non insignificante per la vicenda comunitaria.

Ricordiamo tutti in quest'anno, un anno fa, subito dopo il risultato del referendum, come fossero in moltissimi a profetizzare una crisi terminale per l'Unione europea. Ricordiamo lo sgomento o, viceversa, l'entusiasmo con cui si immaginava, molti immaginavano, che quello che era appena accaduto in Gran Bretagna potesse accadere di lì a poco in Francia, in Austria, in Olanda e - perché no? - in Italia e in Germania.

Ma questi dodici mesi - lo ricordava il Presidente del Consiglio - non sono trascorsi senza conseguenze, perché la fotografia di quest'anno ci racconta che quello che sembrava un destino inevitabile si è, invece, trasformato in una sfida per l'Europa e per i singoli Paesi che ne fanno parte, una sfida a rilanciare il progetto comunitario, le sue ragioni di fondo, ma anche i singoli temi su cui concentrare il nostro impegno politico comune.

Come ha detto il Presidente del Consiglio, la Brexit è stata una sveglia, una sveglia per tutti noi e per l'Unione Europea, una sveglia alla quale poi si è associata, di lì a poco, l'elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, con i suoi effetti di ripiegamento nazionalistico, di quella che è stata e rimane una grandissima, una grande superpotenza globale, che per larga parte dell'ultimo secolo ha svolto un'importante funzione di integrazione e di motore della cooperazione internazionale.

E cosa hanno imparato in questi dodici mesi i popoli europei? Innanzitutto che l'Unione europea è un potente fattore di stabilità per i singoli Stati che ne fanno parte. Guardiamo proprio al caso britannico e anche alla cronaca di questi ultimi giorni, persino di queste ultime ore.

Solo nell'anno che è trascorso dalla Brexit in Gran Bretagna ci sono stati tre diversi Governi: il Governo di David Cameron caduto subito dopo il referendum; il Governo di Theresa May e il Governo che si sta formando in queste ore, un Governo di minoranza, ricordiamolo, che chissà quanto durerà a leggere le cronache di questi giorni. E non vi è dubbio che l'ondata di instabilità che ha colpito la più antica democrazia del pianeta sia legata anche e soprattutto alla decisione assunta dal popolo britannico di uscire dall'Unione europea, una decisione che naturalmente noi rispettiamo perché è stata assunta in totale libertà dalla maggioranza di quell'elettorato, ma che non di meno dobbiamo considerare con franchezza e con onestà intellettuale per i suoi effetti economici, per le conseguenze che ha già avuto sulle fasce più deboli della popolazione e infine per il contraccolpo molto evidente, come dicevo, che ha comportato sulla tenuta del sistema politico di quella grande nazione. Dunque domandiamoci con altrettanta franchezza e onestà intellettuale, per esempio, cosa accadrebbe al nostro sistema politico, che è attraversato da correnti così evidenti di nostalgia per il passato, se fossimo fuori dal recinto dell'Unione europea, se fossimo fuori da questo effetto di stabilità, potente effetto di stabilità che l'Unione europea conserva. È un anno dunque questo segnato dalla sveglia della Brexit e dai fenomeni di ripiegamento nazionalistico che hanno coinvolto aree importanti dell'Occidente, un effetto sveglia che però si è tradotto in un importante passo avanti dell'Unione europea su alcuni temi. Voglio sceglierne due tra i tanti. Il tema della difesa comune, che ricordava poco fa il Presidente del Consiglio; è un campo questo dove finalmente dopo molti anni, troppi anni in cui ci si era limitati ad auspicare questo e quello sì è finalmente deciso di destinare risorse economiche certe e consistenti alla costruzione di un'autonoma capacità di difesa europea. Mi riferisco al paper adottato pochi giorni fa dalla Commissione europea per iniziativa del suo Vicepresidente e dell'Alto rappresentante, Mogherini, e che sarà oggetto di decisione al prossimo Consiglio europeo con il quale si stanziano 250 milioni di euro l'anno per il 2018 e il 2019, destinati auspicabilmente a diventare un miliardo di euro l'anno per il bilancio pluriennale dal 2020 in avanti, per un fondo comune europeo per la difesa.

Ricordiamo che si tratta di uno strumento che non entrerà in conflitto con l'Alleanza atlantica, di cui sono membri ventuno dei ventisette Paesi che compongono l'Unione europea, ma che sarà uno strumento fondamentale per dotarci di una capacità autonoma di difesa come Unione europea. È una decisione lungamente attesa, una decisione sacrosanta soprattutto sullo sfondo delle preoccupanti tensioni che proprio in questi giorni si vedono con chiarezza. Mi riferisco alle tensioni tra Stati Uniti e la Federazione russa e, di fronte a questo scenario associato - va ricordato - alla crescita di una certa aggressività da parte di Mosca e insieme anche al rischio di un'attenzione degli Stati Uniti a fare alcuni passi indietro dall'impegno multilaterale, questa decisione dell'Unione europea permette di dotarci di strumenti di sicurezza e stabilizzazione che sono indispensabili. Ma quanto è accaduto sul tema della difesa dove, a fronte del ritiro di una leadership globale, si è aperto un grande spazio per un'iniziativa europea, quello che è successo in questo campo può e deve accadere per esempio sul tema dell'ambiente. Anche qui la superpotenza statunitense ha fatto un passo indietro: un passo che noi critichiamo con onestà e di cui prendiamo atto. È un passo che tuttavia ha lasciato uno spazio significativo per un impegno europeo sui temi della sostenibilità ambientale, seguendo il percorso che è stato segnato dall'iniziativa di Italia, Francia e Germania che ha segnato molto in positivo il recente G7 sull'ambiente. Sono due esempi, la difesa e l'ambiente, che ci dicono che, quando è posta di fronte al pericolo di indebolimento e disgregazione come accaduto dopo la Brexit, l'Unione europea è capace di reagire, si è mostrata capace di reagire, mettendo finalmente in discussione la tendenza all'inerzia e alla conservazione dell'esistente che ha mostrato nei suoi momenti non brillanti, non brillantissimi e che ancora talvolta rischia di mostrare. Infatti è l'immobilismo la minaccia principale che incombe sulla casa comune europea, la tentazione di lasciare le cose come stanno, rischiando così di finire per essere travolti dalle spinte nazionalistiche e dal malcontento spesso legittimo che attraversa le nostre opinioni pubbliche e i nostri elettorati. Ma solo riformando se stessa, solo scegliendo di investire sulle politiche che incrociano più da vicino la vita concreta dei cittadini l'Unione europea sarà capace di uscire del tutto dalla propria crisi e, quindi, di recuperare appieno la funzione di protezione degli interessi nazionali che essa ha svolto per larga parte dell'ultimo secolo perché la verità è che i singoli interessi nazionali dei Paesi che compongono l'Unione europea si difendono davvero soltanto dentro l'Unione europea, facendo la propria parte fino in fondo come Stati membri dell'Unione, come membri attivi e consapevoli di una grande istituzione multilaterale com'è e come rimane l'Unione europea.

Mentre fuori dall'Unione europea è inevitabile un destino di debolezza, instabilità e marginalità come ci mostra purtroppo il caso britannico. È una lezione che hanno appreso i nostri padri, che abbiamo appreso anche noi dalla storia del nostro continente e che va ricordata ogni volta a chi gioca con l'antieuropeismo più becero e mi riferisco a un caso di questi giorni. C'è una forza politica ben rappresentata in questo Parlamento che non fa mistero di sventolare la bandiera dell'antieuropeismo, salvo poi chiamare in causa proprio l'Unione Europea, come hanno fatto i nostri colleghi 5 Stelle a proposito ieri dello ius soli, quando ci si arrampica sugli specchi per difendere l'indifendibile opposizione ad un provvedimento che è necessario e di civiltà (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), e anche questo - concludo - è una lezione sull'europeismo inteso bene e sull'antieuropeismo invece opportunistico e d'occasione.