Grazie, Presidente. Il Consiglio europeo che si terrà giovedì e venerdì a Bruxelles riveste un'importanza particolare: tanti temi economici e sociali trattati, ma anche questioni importanti legate da un fil rouge, quello dei confini in senso lato, che rappresenta una delle sfide più importanti per l'Europa. Non parlo solo di confini fisici, ma anche di confini di contenuto, per cercare di capire, in altre parole, in quale direzione debba muoversi l'Europa e quale sia, appunto, lo spazio di azione sui temi che hanno proprio il confine come tratto caratteristico, dall'immigrazione, alla politica di difesa comune, all'allargamento.
E al concetto dei confini ci richiama anche quella che si è imposta come l'urgenza dell'urgenza in tema di politica estera, cioè la vicenda di Gerusalemme. Parto dalla Brexit, che proprio negli scorsi giorni ha registrato una vera e propria svolta con l'accordo siglato tra Bruxelles e Londra. È stato un accordo sofferto, ma anche positivo, che ci lascia ben sperare. Ora, chiaramente bisogna guardare con responsabilità ai negoziati e all'uscita della Gran Bretagna, rispettare sì, la decisione dei britannici, ma allo stesso tempo riaffermare con forza il concetto che il progetto europeo va avanti e deve andare avanti con ancora maggiore determinazione.
Il Consiglio europeo farà anche il punto sulle politiche europee in tema di migrazione. È doveroso capire se la direzione che abbiamo intrapreso è quella giusta. Il grande lavoro portato avanti dall'Italia a Bruxelles per richiamare ogni Paese alla propria responsabilità sul fronte dell'accoglienza, ma anche le importanti misure adottate dal Governo italiano, stanno dimostrando che un altro tipo di politiche non solo sono possibili, ma sono doverose. Accoglienza e sicurezza sono dei principi che possono e devono conciliarsi.
Mi preme qui sottolineare l'importanza dell'approccio che sta diventando proprio dell'Europa e che ha avuto nell'Italia il suo precursore del guardare all'Africa: mi riferisco al Migration compact, al trust fund, che è uno strumento che va però potenziato attraverso nuove risorse. L'Italia su questo fronte è un esempio: dei 199 milioni versati dai principali Stati membri, infatti, 102 sono arrivati da noi, siamo il primo contributore, ma tanti partner europei hanno versato troppo poco; e se Europa deve essere, Europa lo si è anche e soprattutto sul fronte degli impegni che vanno ad impattare sulle emergenze enormi, come quella dei flussi migratori. L'impegno dell'Italia per sostenere la via che guarda all'Africa e l'aiuto alle popolazioni locali si è sostanziato anche nel contributo offerto al quinto vertice dell'Unione africana e Unione Europea in Costa d'Avorio, lo scorso 29 novembre. Dobbiamo riportare l'Africa in cima alla nostra agenda di politica internazionale, nella consapevolezza - e forse sono anche i grandi flussi migratori a ricordarcelo - che dal destino dell'Africa dipende il futuro dell'Europa.
Occorre, tuttavia, rinforzare anche le azioni interne all'Europa, il tema della gestione dei flussi migratori si lega inevitabilmente a quello della sicurezza e della difesa comune. Non a caso, tra i punti all'ordine del giorno nel Consiglio europeo, c'è l'avvio della cooperazione strutturata permanente in materia di difesa, la cosiddetta PESC.
Ricordiamo che il 13 novembre i 23 Stati membri hanno notificato la loro intenzione di aderire alla PESC per rafforzare la cooperazione in materia di difesa. La nascita di questa struttura di difesa, con obblighi precisi per gli Stati aderenti, può favorire nuovi e più incisivi processi di cooperazione e un maggior livello di approfondimento in materia di difesa e sicurezza. Ciò consentirà all'Europa di avere una difesa più efficace ed efficiente, meno frammentata e più reattiva. La prevista collaborazione nei settori degli investimenti in progetti comuni, nello sviluppo delle capacità difensive e di organizzazione delle operazioni è necessaria per aumentare e consolidare il grado di autonomia strategica dell'Europa nel settore della difesa e della sicurezza.
E legata al tema della difesa e della sicurezza senza dubbio vi è la politica di allargamento ai Balcani occidentali. Credo sia necessario assicurare che il processo di allargamento ai Balcani occidentali resti credibile e bidirezionale: se un Paese introduce le necessarie riforme, l'Unione europea deve tenere fede ai suoi impegni e lo sforzo deve essere reciproco. Il successo del percorso dipende molto dall'impegno reale degli attori politici regionali, ma dipende anche dalla capacità dell'Unione europea di evitare messaggi scoraggianti che facciano regredire la regione e frustrino le speranze dei giovani e dei cittadini, con rischi di fuga dal progetto europeo e di crescente instabilità per tutta l'area.
Concludo con la questione di Gerusalemme. Alla luce della gravissima decisione assunta da Trump, l'Italia è tra i cinque Paesi che, attraverso i propri ambasciatori ONU proprio al Palazzo di vetro, hanno esposto tutto il loro disappunto nella dichiarazione comune che sottolinea come la decisione di Trump non sia in linea con le risoluzioni delle Nazioni Unite e non sia di aiuto al processo di pace nella regione. La questione di Gerusalemme deve essere definita attraverso negoziati tra israeliani e palestinesi e non attraverso azioni unilaterali. Credo che su questa vicenda l'Europa dovrebbe parlare con una voce unica, quella della presa di distanza, e le parole dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, vanno assunte come un totem, perché non è pensabile che la situazione tra Israele e Palestina venga risolta in questo modo. Non a caso in quei territori è riesplosa una serie di battaglie e di violenze che non si vedevano da tempo.
Quello del Presidente Trump è stato un gesto a mio avviso sconsiderato, che può innescare una serie di reazioni a catena pericolosissime ponendo le basi per una nuova e sanguinosa escalation del conflitto in un territorio già devastato. Eppure, tutti i più recenti elementi che si sono affermati in quel contesto, dalle infiltrazioni dell'Isis alla polveriera Siria, imponevano, come naturale, un atteggiamento prudente. Quello che bisognava - e a maggior ragione bisogna fare oggi - è costruire la pace non a parole ma attraverso il ripristino della legalità internazionale e riprendendo seriamente in mano l'unico progetto possibile: due Stati per due popoli. Credo che sia giunto il momento di smetterla con gli sterili equilibrismi e dire, con forza, che gli insediamenti israeliani nei territori palestinesi sono illegali e costituiscono il più grande ostacolo al processo di pace.
La decisione di Trump non può essere minimizzata. Di più proprio oggi, dopo la decisione unilaterale di Trump…
sarebbe positivo - e sto concludendo - se l'Europa, anche in un contesto così difficile nel quale gli attori che si confrontano in quel teatro si sono moltiplicati, provasse a giocare un ruolo più forte. La soluzione alla questione israelo-palestinese deve ritornare in cima alla nostra agenda di politica internazionale.
Concludo augurando al Presidente Gentiloni buon lavoro per quello che sarà un Consiglio europeo ricco di questioni importanti e nel quale - sono sicura - l'Italia darà il suo contributo.