Data: 
Mercoledì, 25 Ottobre, 2023
Nome: 
Vincenzo Amendola

Grazie, Presidente. Deputate e deputati, Presidente del Consiglio, membri del Governo, io non lo nascondo, di fronte alla solennità di quest'Aula e di fronte a questo tornante della storia, in vista di un Consiglio europeo storico, io userei le parole anche con rispetto. Mi trema la voce, perché tutto quello che si dice in queste fasi è qualcosa che riguarda la nostra storia e riguarda la solennità che quest'Aula ha approvato dopo il 7 ottobre, tutti insieme contro l'orrore, l'abisso, ed è lo stesso orrore e abisso quando si parla di guerra, perché la guerra è ordine delle cose, tutto viene dopo. E noi sappiamo benissimo che, di fronte a questo tornante della storia, l'utilizzo delle parole e restare umani di fronte alle sofferenze dei civili oggi a Gaza, come in tutte le guerre, è qualcosa che non chiama le bandiere, non chiama i tweet, chiama quella che è la solennità che la Presidente del Consiglio, domani, affronterà nel Consiglio europeo. Il 10 e 11 marzo ci fu il Consiglio europeo a Versailles, Presidenza francese, era appena scoppiata la sciagurata invasione criminale di Putin in Ucraina. I 27 si trovarono dinanzi a un tornante della storia che non avevano previsto e fecero una risoluzione, scrivendo tre cose semplici: uno, serve una capacità di difesa comune, dobbiamo stare insieme; due, serve lavorare sulla nostra capacità energetica; tre, dobbiamo costruire una base solida economica, per noi, per il nostro continente. Tre parole che in tutti i vertici non sono mai state usate.

E, allora, io dico che domani questo Vertice ha quella stessa gravità della storia, perché il tornante, l'incidente o, meglio, quello che è un processo storico che porta alla guerra chiama alla responsabilità. Presidente, c'è l'articolo 1 della Costituzione morale dell'Unione europea, lo scrisse Jean Monnet: l'Europa si farà dalle crisi e sarà la soluzione che noi troveremo alle crisi, perché non c'è nessun articolo di trattato, non c'è nessuna grande convenzione, piccolo o grande foglio che ti dice come affrontare i tornanti imprevisti della storia. La domanda per noi è sempre stata quella. Abbiamo costruito l'Europa per chiudere anni di guerra fratricida, ma la domanda che avevamo e che abbiamo oggi, che avevamo dopo l'invasione l'Ucraina, con la guerra in Terra Santa è: quale è il ruolo dell'Europa nel mondo? Altro che la guerra dei tweet tra il presidente della Commissione e quello del Consiglio europeo, altro che un Presidente ungherese che va a abbracciare Putin, mentre noi, da un anno e sei mesi, stiamo discutendo di come uscire da quel conflitto.

È questa la grande domanda: quale è il ruolo nostro di fronte alla storia, perché la guerra è ordine delle cose e perché pensavamo che le espressioni “logica di potenza”, “deterrenza militare”, “sfere di influenza” fossero un tema per i geopolitici, per gli esperti. No, è la realtà e noi sappiamo - me lo consentite - che, oggi come mai, quando si parla di flussi migratori, si parla di politica estera e di proiezione esterna, quando si parla di energia, si parla di politica estera e di proiezione esterna, commercio, il rapporto con le grandi potenze dell'oggi: è tutto politica estera. E, se qualcuno in giro per l'Europa pensa che noi siamo ancora la fortezza dove tutto è fuori da noi e nessuno entra da noi, ebbene, la storia ci sta chiamando ad una responsabilità e quella responsabilità deve far tremare la voce, perché, quando si parla di guerra, io voglio sfidare chiunque a usare parole gravi, risolute o a usare equilibrismi che non portano a niente.

Serve chiarezza e serve guardare alla nostra carta di identità, perché, se tutto questo è politica estera, noi, in questo mondo, questa Europa ce la dobbiamo riportare e le dobbiamo dare la forza della sua identità, che è nel diritto internazionale, perché è quello che abbiamo usato, dicendo articolo 31 della Carta delle Nazioni Unite, quando la Russia ha invaso l'Ucraina. E la sovranità non si discute, non c'è nessun calcolo geopolitico, quando tu non hai un'identità. È la nostra carta di identità in questo mondo, in cui tutti contano. Era un illusione di fine anni Novanta che ci fosse un modello unificante e convergente. Non è così. Ci sono potenze regionali che non ascoltano nemmeno gli appelli del Quartetto, ci sono grandi potenze mondiali che decidono e ci siamo noi, minoranza, che abbiamo un modello, ma questo modello, in questa storia che stiamo vivendo non è qualcosa che ci dobbiamo raccontare, deve essere azione politica, e l'azione politica si basa sul diritto internazionale. In Ucraina è stato quello che noi abbiamo detto e dobbiamo continuare a dire.

Ma, permettetemelo, dinanzi a tutto ciò - e qui sta la storicità del Consiglio europeo di domani, come a Versailles -, noi non possiamo ritornare adesso a sederci, a dividerci, a una politica estera che ha ancora i veti. È una cosa insopportabile di fronte al mondo che c'è adesso, con uno che si alza e ti blocca qualsiasi decisione.

Noi dobbiamo chiedere di più. Presidente del Consiglio, noi ascoltiamo le parole di equilibrio, sue e del Ministro degli Esteri, perché siamo consapevoli della gravità del tornante che stiamo vivendo, però quello che chiediamo è che questa Europa sia attrice di un'idea di politica, perché noi siamo tutti qui, solidali, di fronte all'abisso e all'orrore del 7 ottobre, qualcosa che non dimenticheremo mai, è la promessa che ci facciamo, ma sappiamo benissimo che qualsiasi cosa noi decideremo e deciderete, che questo Parlamento discuterà è politica, perché c'è il dopo, c'è l'oggi e se si dice “no” all'escalation militare significa muoversi, agire, cercare di capire, cercare quello che si è detto anche ieri al Consiglio di sicurezza, l'incrocio non tra una giustizia e una vendetta, ma tra un'idea di politica che noi mettiamo in campo, perché il fondamento della nostra Europa è il diritto internazionale e nel diritto internazionale non c'è un “sì, ma”, non c'è giustificazionismo. “Sì” al diritto di Israele a difendersi, nel senso che è uno Stato che ha diritto alla sicurezza ma noi sappiamo bene che quel “sì” è dentro al diritto internazionale, ha dei limiti e che non si agisce fuori da quei limiti, perché se per noi vale la politica e vale il diritto, vale sempre un'azione che rispetti i civili. Non si bombardano le scuole, non si bombardano i civili in fuga e, permettetemelo, non si bombardano le organizzazioni umanitarie che stanno aiutando i civili in fuga, ma non perché sia un giustificazionismo. Mai! Non perché c'è un pacifismo imbelle, mai! Ma perché se la forza nostra è il diritto internazionale, per dire: mai più crimini come quelli, così come non abbiamo mai accettato gli attacchi suicidi, così come non abbiamo mai accettato forze politiche che negavano l'esistenza di Israele, allo stesso tempo noi, in questo momento dobbiamo agire politicamente, dobbiamo portare i 27 a essere lì, così come lo stanno facendo altri attori, sapendo anche che il linguaggio è importante, Presidente del Consiglio, glielo dico con il massimo rispetto. Non vogliamo un'escalation, non accetteremo mai, per il senso di identità europea, nessun rigurgito antisemita, ma non possiamo accettare, nel mentre stiamo cercando di portare Gaza fuori da una carneficina, di nuovo questo ritorno della guerra contro l'Islam! Presidente, glielo dica al suo Vicepremier: io capisco che è facile passare dalle magliette con Putin alle crociate per l'Occidente, ma è nel nostro interesse nazionale ed europeo evitare questo scontro! Perché saremo più forti nel produrre una soluzione politica se costruiamo questo ponte, come ha detto lei. L'Italia è questo. Il più grande realista tra gli utopisti, Giorgio la Pira, diceva che se non si risolve quel conflitto non ne usciremo mai e anche tutto il processo fatto dal 2000 in poi, dopo il fallimento della seconda Intifada, dopo la catastrofe della guerra in Iraq, dopo il massacro siriano e dopo gli Accordi di Abramo, tutto ciò ci ricorda sempre che se noi non risolviamo la pace in Terra Santa non ce la faremo e chi lo deve fare se non l'Europa? L'Europa che deve riscoprire la politica estera a Versailles, come domani a Bruxelles, l'Europa del diritto internazionale che non significa “sì, ma”, ma significa che i civili sono sempre civili e non possono essere vittime di disastri creati da altri e che per noi è la forza anche di ritrovare un ruolo nel mare, nel nostro mare, dove la politica serve la politica è forte. Mi permetta, la giustificazione di quello che diciamo non è tanto nel divagare tra le parole, è la forza del diritto internazionale umanitario, è la forza di restare umani di fronte a vittime civili, è la forza anche di chi, Europa, è sempre stata l'idea, la carta d'identità unica che avevamo nel mondo, e ce la siamo dimenticata, nel rispetto delle differenze. Noi siamo questo, siamo la risoluzione dei conflitti, perché so bene che lei come noi, quando ha visto Yasser Arafat e Yitzhak Rabin stringersi la mano, ha detto: cavolo, si può fare la pace, è un fatto umano, si può fare.

E, noi, in questo conflitto, quando diciamo di evitare l'allargamento del conflitto, l'escalation di proteggere i civili, dobbiamo essere quelli che dicono: si può fare, si può uscire da questo orrore, si può isolare Hamas nel mondo arabo, ma se si conquista il mondo arabo è una soluzione politica, se si conquista anche la nostra pubblica opinione a un credo non di paura, non di confronto, non di chiusura.

La seconda bussola è quella dell'ossessione per i civili. Lo dico: noi, il Parlamento europeo, ha votato, all'unanimità, una mozione per liberare gli ostaggi. Serve una pausa umanitaria per liberare gli ostaggi, che è una nostra ossessione, per proteggere civili innocenti che non hanno niente da chiedere all'umanità, se non perché sono nati in quella zona del mondo e non se lo sanno spiegare e noi non possiamo regalarli alla narrativa di chi vuole costruire conflitti.

Mi permette, Presidente? Voi discuterete anche di economia e sembra un tema che non c'entra, ma la riforma del Patto di stabilità è anche politica estera, perché significa noi nel mondo che cosa vogliamo fare, chi vogliamo essere. Vogliamo essere i 27 dei codicilli e dello zero virgola o vogliamo costruire la politica industriale ecosostenibile per il XXI secolo, essere forti, non aver paura di quelle che sono le transizioni ecologiche e le transizioni digitali? Ma essere noi, quello che siamo stati nel secolo scorso: una grande potenza manifatturiera, una grande potenza industriale, che guarda al mondo e che dà dei messaggi. Lei parla di Piano Mattei, noi parliamo di Green Deal con l'Africa: 600 milioni di persone in Africa hanno bisogno di tecnologia, di partnership, di costruire un nuovo tessuto di relazioni, perché lei sa bene che le faglie delle difficoltà, le faglie dell'insicurezza si estendono tutto intorno a noi e anche sui flussi migratori, su cui non trova il nostro consenso nel discorso che ha fatto, c'è una grande proiezione di politica estera su cui dobbiamo lavorare, e quindi evitiamo di bombardare la Commissione e un Commissario, non lo dico per spirito di parte, ma fare la riforma del Patto di stabilità e crescita oggi è decisivo non per un interesse nazionale, per il nostro debito, ma per un interesse collettivo, di costruire strumenti di crescita economica, strumenti di crescita ecosostenibile, è possibile farlo. Mi permetta, Presidente, tutto questo significa avere consapevolezza della storia che viviamo. Io, se le devo fare un appunto, essere un po' irriverente, dico che delle sue comunicazioni, così, mi ha un po' sbalordito il finale: l'Italia è finalmente consapevole di tutto ciò. Io ho sempre pensato che chi fa politica è sempre un nano sulle spalle dei giganti, io più di tutti quanti qui e che se siamo arrivati a un incontro storico e con uno strumento storico come l'Unione europea e come il Consiglio a cui domani parteciperà è perché c'è chi ha lavorato consapevolmente per tutto ciò, c'è chi l'ha pensato nel confino fascista che dovevamo costruire l'Unione europea, c'è chi c'è morto, c'è chi ha costruito l'idea di transatlantismo; grandi personaggi, da De Gasperi a Moro, da Napolitano a Sassoli sono l'Italia consapevole che tutto quello che domani voi avrete è uno strumento fondamentale per la pace, per la risoluzione dei conflitti, per la giustizia - e chiudo, Presidente -; è per questo, per tutte queste ragioni che il Partito Democratico, dinanzi a tutto quello che sta avvenendo è consapevole, è consapevole del senso della storia, e noi siamo al servizio non di una discussione, ma delle scelte che dovremo fare nei prossimi giorni – drammatiche – e, soprattutto, siamo al servizio della nostra comunità di destino, che è l'Italia e che è l'Unione europea.