Discussione congiunta
Data: 
Martedì, 23 Luglio, 2019
Nome: 
Andrea De Maria

 Doc. VIII, nn. 3 e 4

Presidente, colleghi, la relazione del Collegio dei questori al bilancio di previsione 2019 è stata predisposta tenendo conto dei risultati positivi raggiunti nel 2018 in termini di contenimento della spesa. I dati che sono stati sottoposti alla nostra attenzione, relativi alle singole categorie di spesa, e l'allegato programma dell'attività amministrativa per il triennio 2019-2021 dimostrano che siamo in presenza di un'opera di contenimento dei costi della Camera dei deputati importante e strutturale e questa penso che sia la migliore risposta che si può dare a chi in questi anni ha attaccato duramente il Parlamento, spesso con argomentazioni strumentali e propagandistiche.

La spesa totale della Camera diminuisce costantemente, i risparmi sono imponenti; come è stato ricordato nella relazione, dal 2013, ammontano a 385 milioni di euro. Risultati raggiunti grazie a un percorso fatto di rigore e sobrietà che può ritenersi acquisito e consolidato all'interno di questa istituzione e avviato con grande determinazione già nella scorsa legislatura.

Isolare il solo dato relativo al ricalcolo degli assegni vitalizi, che noi peraltro abbiamo condiviso e sostenuto, significherebbe ignorare il lavoro più complessivo svolto in questi anni su diversi versanti: personale dipendente, beni e servizi, personale non dipendente, indennità di carica dei parlamentari. Questo per dire che, se si vuole assicurare al cittadino un'informazione corretta, occorre che la stessa sia completa, evitando semplificazioni, nella consapevolezza che abbiamo lavorato insieme per promuovere sobrietà e rigore nell'utilizzo delle risorse pubbliche.

Detto questo, non ritengo sia superfluo soffermarci su alcune criticità che si sono manifestate in questi anni, in particolare, in questi ultimi tempi, anche in conseguenza di alcune scelte adottate. La Camera dei deputati da molti anni esternalizza alcuni servizi accessori di carattere non amministrativo e di varia natura, con conseguente risparmio di spesa; sarebbe auspicabile affrontare con maggiore attenzione le ricadute che tali risparmi hanno avuto su centinaia di lavoratori impegnati in servizi che vanno dalla pulizia degli uffici al supporto nella gestione operativa nella sede di vicolo Valdina.

Non penso sia poi più rinviabile un approfondimento, anche attraverso un'interlocuzione con il personale delle aziende interessate, in merito agli orari e alle retribuzioni applicate; come pensiamo non sia più rinviabile una riflessione approfondita sulle ricadute che ha avuto la delibera dell'Ufficio di Presidenza sul personale storico dei gruppi, centinaia di persone che hanno maturato specifiche professionalità ed esperienze nell'ambito delle attività istituzionali dei gruppi che chiedono di vedere tutelate le loro posizioni giuridiche soggettive e le aspettative maturate.

Su questi temi, come su altri aspetti di carattere operativo e organizzativo, ho presentato, in accordo col gruppo del Partito Democratico, alcuni ordini del giorno per quanto riguarda la discussione che dovremo affrontare quest'anno, con spirito propositivo e costruttivo, per contribuire al nostro lavoro sul bilancio 2019.

Mi sia, però, consentita una riflessione più generale sullo stato di salute di questa istituzione, del Parlamento e, quindi, della nostra democrazia che non è, credo, un inutile esercizio di retorica per abbellire di citazioni l'esame di un bilancio. Credo, invece, che tutti in quest'Aula, i colleghi di maggioranza e quelli di opposizione, condividano con me un'opinione: il dibattito sulle risorse finanziarie, sulle entrate e le uscite della Camera dei deputati, non è un tema circoscritto soltanto agli addetti ai lavori, ma ha un grande valore generale, perché ha a che fare direttamente con il buon funzionamento della nostra democrazia parlamentare. Discutere del Parlamento vuol dire discutere della crisi che da troppo tempo, purtroppo, attraversa e dei tanti tentativi di riforma portati avanti per uscirne fuori. Certamente, la questione non riguarda solo il nostro Paese, ma, di fatto, tutte le democrazie moderne e di crisi dei Parlamenti i costituzionalisti scrivono e dibattono dai primi del Novecento.

Oggi, dobbiamo misurarci con una rivoluzione tecnologica che ha impresso un'accelerazione ai cambiamenti della nostra società, un'accelerazione fino a pochi anni fa neppure immaginabile. Da sempre il tema è stato quello di tenere le istituzioni al passo con le trasformazioni della società, trasformazioni economiche e culturali: pensiamo al peso che hanno avuto sui Parlamenti la rivoluzione industriale, poi, l'ingresso sulla scena dei partiti di massa con l'avvento del suffragio universale.

La globalizzazione e lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa hanno inciso in maniera decisiva sui Parlamenti, sulla loro capacità di rappresentare la società, sul loro ruolo, che via via è venuto appannandosi mentre cresceva intanto il peso degli Esecutivi.

In Italia questa trasformazione l'abbiamo avvertita forse più tardi rispetto ad altre democrazie, ma ormai sono decenni che discutiamo della perdita di centralità delle Camere rispetto al Governo e anche ad altre istituzioni europee e sovranazionali.

Non voglio ricordare qui il lungo dibattito sulle riforme istituzionali e costituzionali. Certamente, però, va sottolineato come nella scorsa legislatura fosse stata messa in campo una riforma complessiva degli assetti istituzionali, che affrontava i due nodi di fondo: il superamento del bicameralismo perfetto e il rapporto tra Stato e regioni. Tale riforma non ha superato il vaglio del referendum confermativo, con un esito che di certo va rispettato, ma che, a mio avviso, dimostra tutta la sua attualità a fronte del dibattito in corso anche in questi giorni.

L'indebolimento del Parlamento e della sua funzione sono elementi sempre più presenti in questa XVIII legislatura. Devo dire che Lega e Cinquestelle, che dai banchi dell'opposizione per anni hanno contestato con asprezza il crescente ruolo del Governo a scapito del Parlamento, oggi tacciono e anzi promuovono quanto sta accadendo.

“Invito tutti noi a riflettere sulla necessità che il Parlamento ritrovi la centralità che gli è garantita dalla Costituzione. Obiettivo determinante per affrontare non solo le sfide interne, ma anche per dare nuovo valore all'idea stessa di Europa e affrontare le grandi sfide globali della nostra epoca”: queste le parole, che avevamo molto apprezzato, pronunciate il 24 marzo 2018 in quest'Aula, nel suo discorso di insediamento, dal Presidente della Camera dei deputati. Mi spiace dirlo, ma siamo delusi e preoccupati per la deriva sempre più evidente presa dalla maggioranza nel suo rapporto con il Parlamento; una deriva che non è stata arrestata da iniziative, pur lodevoli, messe in atto in alcune occasioni dallo stesso Presidente della Camera; ce lo dice anche la recente indisponibilità del Ministro dell'Interno a riferire in Aula su temi di grande rilevanza, malgrado l'azione assunta in merito dalla stessa Presidenza della nostra Assemblea.

A parlare sono i numeri: il confronto tra i dati dell'attuale legislatura e quelli della passata, raccolti nell'ultimo Rapporto sulla legislazione e nelle statistiche pubblicate sul sito Internet della Camera è purtroppo impietoso. Nel confronto con la XVII legislatura occorre certamente tenere conto che nel 2013 il primo Governo della legislatura, il Governo Letta, entrò in carica il 28 aprile 2013, a quarantaquattro giorni dall'inizio della legislatura, le Commissioni permanenti furono costituite il 7 maggio, a 53 giorni dall'inizio della legislatura; nel 2018, invece, il Governo Conte è entrato in carica il 1° giugno, a 68 giorni dall'inizio della legislatura e le Commissioni permanenti si sono costituite il 21 giugno, quindi 88 giorni dopo l'inizio della legislatura. Conseguentemente, l'ordinaria attività legislativa ha avuto avvio nella XVIII legislatura con un ritardo maggiore rispetto a quanto avvenuto nella precedente: sostanzialmente un mese di differenza, che non giustifica però la mole di lavoro in meno svolta dall'attuale Camera rispetto alla precedente.

Nel 2013, nel primo anno della XVIII legislatura, le sedute dell'Assemblea sono state 146, per un totale di 790 ore e 49 minuti; nel 2018, primo anno di questa legislatura, abbiamo avuto 106 sedute, per 536 ore e 12 minuti. Ancora più evidente è il confronto con i lavori delle Commissioni permanenti: nel 2018 le sedute sono state 1.934, per un totale di 1.266 ore e 35 minuti; nella scorsa legislatura, nel primo anno, le Commissioni si sono riunite 2.908 volte, per un totale di 1.898 ore e 35 minuti. Conseguentemente, si lavora meno e si produce meno: i progetti di legge deliberati nel 2018, inclusi i decreti-legge, sono stati 33, nel 2013 erano stati 41.

I risultati di questo anno di legislatura rischiano di essere ancora più deludenti, difficilmente la produttività sarà paragonabile a quella della passata legislatura: nel 2014, infatti, furono 89 i progetti di legge deliberati dall'Assemblea, mentre quest'anno siamo fermi a 50, proposte d'iniziativa parlamentare, ratifiche e decreti-legge inclusi. Alla ripresa, poi, saremo impegnati con la legge di bilancio, quindi sarà - credo - difficile ripetere i risultati della legislatura precedente. Certo, il Parlamento non si occupa solo dell'attività legislativa, ha altre competenze. Purtroppo, però, pure gli altri dati non sono positivi: nel 2018 le informative urgenti del Governo sono state 4, nel 2013 erano state 23 (ripeto, 23 solo nel primo anno). Sicuramente, forse, allora c'era una maggiore disponibilità del Governo a venire in Parlamento. Le indagini conoscitive deliberate nel primo anno della scorsa legislatura sono state 27, in questa 17; quelle concluse 10, contro le 3 del 2018.

Nel 2018 l'Aula ha concluso, quindi discusso e votato, 101 fra mozioni e risoluzioni, mentre nel 2013, 199. Temiamo davvero, quindi, che anche l'attività di controllo e di indirizzo del Parlamento siano state messe in discussione.

A gennaio, il Presidente della Camera ha scritto, in una lettera al quotidiano Il Sole 24 Ore: “In questi mesi, inoltre, il Parlamento ha agito efficacemente come trasformatore e integratore dei provvedimenti di origine governativa”. Temo, purtroppo - e lo dico senza polemica ma per contribuire a un dibattito che possiamo fare insieme -, che i dati che ho citato e l'esperienza concreta di questa prima parte della legislatura ci dicono davvero altro; ci dicono di un Parlamento che viene tenuto il più possibile inerte, convocato sostanzialmente per convertire i decreti-legge del Governo (peraltro, lo stesso Presidente della Camera su questo ha scritto una recente lettera al Presidente del Consiglio).

Voglio ricordare anche, in questo caso, una iniziativa assunta dal Presidente della Camera rispetto alla compressione dei tempi di esame della legge di bilancio e anche, se vogliamo, alle modalità, ad esempio, con i quali si è svolto il dibattito sull'ultimo decreto sicurezza.

Temo, quindi, purtroppo, che ci troviamo su una strada pericolosa. Lo abbiamo denunciato anche quando in quest'Aula abbiamo discusso le modifiche costituzionali, che riguardavano l'introduzione del referendum propositivo e la riduzione del numero dei parlamentari, sganciata da qualunque riflessione di sistema sulle funzioni della Camera (dicevo prima, ad esempio, del bicameralismo perfetto), con un combinato disposto tale da determinare una grave tensione rispetto all'equilibrio della Carta costituzionale e rispetto ai suoi principi fondamentali.

Viene da chiedersi se siamo di fronte a un complessivo progetto di superamento e ridimensionamento della democrazia di natura rappresentativa. “Il superamento della democrazia rappresentativa è, quindi, inevitabile”: cito, sempre tra virgolette, come sostiene Casaleggio. Stiamo assistendo a questo? Noi ci battiamo per l'obiettivo opposto: per noi la sfida è riformare la democrazia rappresentativa per ridarle forza e capacità d'azione. È questo modello di democrazia, messo peraltro in discussione da alcuni degli interlocutori internazionali privilegiati di una delle forze di maggioranza, che solo garantisce l'effettiva sovranità popolare e un forte ancoraggio ai principi e ai valori della Costituzione.

Il 20 giugno 1979, quarant'anni fa, Nilde Iotti fu eletta Presidente della Camera: un evento che ha segnato un passaggio importante per questa istituzione, essendo la prima donna che ha assunto questa importante responsabilità. Qualche anno dopo la sua elezione, nel 1982, in occasione di una conferenza dei presidenti di tutte le Assemblee parlamentari europee, la Presidente Iotti tenne un bellissimo intervento, che onorò l'istituzione parlamentare. Disse, fra l'altro: “Le prerogative parlamentari, considerate nel loro complesso sistematico e cioè l'autonomia regolamentare, il potere di auto-organizzarsi, il principio dell'interna corporis, l'autonomia finanziaria e contabile, il sistema di immunità personali e di sede, la verifica dei poteri (…) sono tutti istituti che fanno corpo unico, per assicurare, con disposizioni quasi sempre di rango costituzionale, lo spazio necessario alla libera esplicazione delle funzioni parlamentari. Questa straordinaria combinazione di misure - che comportano deroghe rilevanti al regime ordinario - trova fondamento da un lato nella necessità che il processo di decisione parlamentare si svolga in condizioni di assoluta e reale indipendenza, dall'altro nel ruolo centrale che il Parlamento assume rispetto agli altri poteri dello Stato (…). Il privilegio parlamentare (…)” - conclude Nilde Iotti - “rappresenta la somma dei diritti di cui dispongono collettivamente ciascuna Camera e individualmente ciascun parlamentare per essere in condizione di esercitare le loro funzioni.”

Allora, a tutti noi dico che il bilancio di questo primo anno di legislatura dovrebbe per prima cosa spingersi ad un impegno comune, al di là di ogni logica di schieramento, per ridare centralità al Parlamento con le necessarie riforme, ma anche nelle nostre scelte quotidiane, politiche ed istituziona.