Data: 
Lunedì, 18 Marzo, 2019
Nome: 
Gianluca Benamati

A.C.1637-A

Presidente, guardi, io vengo alla Commissione attività produttive, ma ho chiesto al mio gruppo di poter intervenire quest'oggi, questo pomeriggio ormai, perché il tema che trattiamo oggi è un tema che è sicuramente molto importante, ma è forse potrei dire il cuore del contratto di Governo giallo-verde, è la ragione vera per cui questa maggioranza ha raggiunto un accordo parlamentare e ha dato vita ad un Governo per onorare queste promesse elettorali. Potrei dire che questo decreto-legge è il segno di questa legislatura, sicuramente della prima parte di questa legislatura; poi vedremo se ce ne sarà una successiva.

Io vorrei svolgere una riflessione, perché ho sentito cose molto interessanti in questo dibattito. Io sono convinto che questo decreto-legge potrebbe essere chiamato il decreto-legge delle occasioni perdute. Vedete, l'ultimo intervento, che ho seguito con molta attenzione perché aveva delle parole, dei concetti, esprimeva delle speranze e delle attenzioni che peraltro condivido su larga parte… Perché il lavoro è e deve rimanere l'elemento principale non solo di qualunque battaglia contro la povertà, ma dell'esistenza di una persona, della sua realizzazione personale, del suo essere civile, all'interno del suo essere persona posta all'interno della società, del suo essere cittadino. E allora se il tema del lavoro, così come riconosciuto dall'articolo 1 della nostra Costituzione, è quello essenziale, il reddito di cittadinanza poteva essere l'occasione di un dibattito serio, su cosa significa il lavoro oggi, su quali sono le prospettive del lavoro domani.

Il tema del lavoro, lo sappiamo, è un tema di quantità: diminuisce, c'è un grande spostamento di ricchezza e di lavoro da Occidente ad Oriente, il lavoro diminuisce nelle società occidentali; c'è una rivoluzione tecnologica: la digitalizzazione della manifattura, l'Internet delle cose, i sistemi analitici di big data, che permettono ed anzi richiedono una diminuzione del lavoro per unità di prodotto, un frazionamento anche spesso del lavoro. Cambia il modo di lavorare, cambia la natura, cambiano i tempi, cambia la competenza che è richiesta a chi lavora e la capacità di formarsi per affrontare nuove sfide. Questo è il domani: il lavoro dei saperi, il lavoro della formazione. E siccome cambia il lavoro, dovrà cambiare anche il welfare accessorio, il sistema di protezione sociale per i lavoratori.

In questo, il reddito di cittadinanza poteva essere l'occasione di un dibattito: non c'è stato, si è spento da un lato sull'ambizioso credo di essere sempre i primi a realizzare le cose e dall'altro sulla negazione di tutto ciò che è stato fatto in precedenza. Vorrei informare quest'Aula che sui temi del lavoro e del contrasto alla povertà (è già stato detto meglio di me dai colleghi che mi hanno preceduto, ma lo voglio dire ancora), la XVII legislatura questi temi li ha visti trattati, ci siamo interrogati su questo, non abbiamo solo fatto Industria 4.0: abbiamo aperto il capitolo di come cambia il lavoro e come deve cambiare il welfare ad esso associato. Quando abbiamo rinnovato il contratto di lavoro, il contratto a tutele crescenti, che peraltro non è stato toccato in questa legislatura salvo peggiorarlo col decreto-legge “dignità”, abbiamo anche introdotto una modifica nei sistemi di ammortizzazione sociale, di assistenza ai lavoratori: siamo passati da un sistema basato sostanzialmente sul legame fra l'azienda e il lavoratore, le casse, le casse di integrazione, speciale, ordinaria, in deroga, alla NASPI, che è un ammortizzatore che è focalizzato sulla persona, sulla sua capacità, sul suo percorso.

Guardate, non state inventando niente: gli strumenti c'erano in campo. Così come non si può pensare che solo il lavoro sia una risposta alla povertà, perché vi sono fasce di povertà che non sono intercettate dal lavoro, perché si può essere in condizioni di non avere la capacità lavorativa, si possono avere situazioni in cui il disagio è tale per cui serve l'aiuto dello Stato, serve l'aiuto degli altri insieme al welfare locale, perché informo quest'Aula che l'Italia gode anche di un sistema basato sugli enti locali, di forte welfare locale. Infatti noi chiediamo sempre che questo tipo di misure di lotta alla povertà passino attraverso le realtà locali che conoscono la vera situazione delle persone. Noi abbiamo messo in campo forse, come ha detto qualcuno del mio gruppo che mi ha preceduto, troppo tardi, troppo timidi ma abbiamo messo in campo misure per il contrasto alla povertà come il reddito di inclusione. Su questa doppia linea si poteva sviluppare un ragionamento: l'azzeramento e la costruzione sovra-articolata non porta bene. Allora se io leggo questa passione, leggo l'incipit del decreto-legge laddove emerge la necessità e l'urgenza per cui si emana un decreto-legge di questa natura, io credo che lo scopo - è già stato detto dai colleghi di maggioranza - è avere una misura di contrasto - cito per non sbagliare - “una misura di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all'esclusione sociale…” omissis tesa “…all'inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro…”, garantendo “…così una misura utile ad assicurare un livello minimo di sussistenza, incentivando la crescita personale e sociale dell'individuo”. Ebbene se questo era lo scopo e l'obiettivo, il reddito di cittadinanza non lo coglierà per una molteplicità di fattori, non ultima l'esiguità delle risorse. È già stato detto dalla relatrice di minoranza la risposta in termini di povertà che si potrà avere: forse la metà dei poveri saranno interessati dalla misura. Ma l'altro tema è la molteplicità dei fini che qui viene evocata come una virtù: non sono sinergiche tali realtà; non sono sinergiche ma richiedono strumenti e attuazioni diverse. Avere un sistema ibrido che ha, da un lato, la politica attiva del lavoro nel patto del lavoro, dall'altro, il contrasto alla povertà nel patto per l'inclusione sociale e fa anche, per così dire, una scorribanda nei campi, negli spazi della previdenza con la pensione di cittadinanza, l'insieme, il mélange di tutto questo, a risorse quali quelle presenti, non è - ripeto: non è - certezza di un ottimo risultato. È certezza di raggiungere alcune persone, alcuni cittadini, una massa di cittadini ma non di scalfire il problema perché peraltro si cancella, si tolgono i fondi al reddito di inclusione; si sovrappone il reddito alla NASpI e su questo dirò qualcosa; si interviene in modo scoordinato sul sistema pensionistico che, peraltro, anche qui stiamo andando a toccare.

Mi occupo solo per un attimo, per dovere anche d'ufficio, dei temi del lavoro. Brutta questa distinzione negativa tra disoccupati, tra chi ha il reddito di cittadinanza e chi no; chi se ne va con la NASpI e con gli altri ammortizzatori; tra chi ha 780 euro, un personal trainer, può ricevere tre offerte di lavoro e un assegno di ricollocamento, che è un assegno che è in grado di dare accesso a prestazioni formative importanti. Per contro abbiamo coloro che non ce l'hanno, che hanno cifre inferiori che ovviamente vanno a scalare con il tempo che passa senza trovare lavoro e a cui tagliamo anche l'assegno di ricollocamento perché glielo congeliamo. Ditemi voi se questa non è una discrasia che crea un disoccupato premium e un disoccupato poveretto affidato al buon cuore di chi passa.

Sui 780 euro, sull'entità della cifra è già stato detto molto e non mi soffermo perché sarebbe una questione che ci porterebbe lontano, ma dico anche che c'è un'altra disparità che interessa le aziende e che diventerà evidente perché lo è già. Solo chi non ascolta le persone, chi non ha contatti con il mondo del lavoro non si rende conto di questo. Giustamente se qualcuno percepisce il reddito di cittadinanza e viene assunto sono previsti sgravi; le aziende hanno sgravi che sono collegati alla durata del periodo di percepimento del reddito di cittadinanza, quindi alla diminuzione di quel periodo; possono arrivare sino a 780 euro mensili gli sgravi alle aziende per un minimo di cinque mensilità per un disoccupato senza particolare formazione o a 390 con un minimo di sei mensilità per chi ha invece un percorso formativo alle spalle. Guardate che ci sono aziende che attendono il reddito per assumere e per fare uno screening tra coloro che devono assumere; ci sono aziende che hanno tempi determinati che non rinnovano perché in questo caso il decreto dignità li aiuta perché ha ridotto i tempi, perché semplicemente aspettano gli sgravi per reddito di cittadinanza. Poi adesso, se il Ministro Tria ripulisce i fondi di bilancio, attendiamo tutti con ansia il tema del decreto crescita che darà altri incentivi alle aziende e faremo una politica generalizzata di incentivazione alle assunzioni, ma oggi questo è il quadro. Per questo dicevo si è persa un'occasione vera di discussione in quest'Aula a partire dal tanto fatto per operare sul molto da fare. Questo non è uno strumento efficace di politica attiva del lavoro: è piuttosto qualcosa che crea una dipendenza e forse questo era il fine che si intendeva raggiungere.

Su quota 100: anche qui su quota 100 non dirò molto perché è già stato detto tanto da persone che hanno conoscenza del settore più di me. Però anche su questo scusate: il Paese per vent'anni ha dibattuto un problema storico ossia come coniugare l'aumento dell'aspettativa di vita e il calo demografico con la capacità contributiva dei lavoratori. Informo quest'Aula che abbiamo un sistema a ripartizione per le pensioni: i lavoratori attuali pagano le pensioni di coloro che sono in pensione. Ora non è che la Fornero sia stata il primo e unico esempio di intervento. Cito Dini, cito le proposte del Ministro Maroni con gli scaloni, perché il problema lo possiamo nascondere ma c'è. Allora sulla legge Fornero avremmo potuto fare un ragionamento vero e nella XVII Legislatura se n'è parlato e molte questioni sono state trattate: sono stati trattati gli esodati, i sistemi volontari di pensionamento, i sistemi tagliati sulle esigenze femminili come opzione donna. In quest'Aula non si parla mai di cosa succederà a un giovane trentenne e alla sua pensione, quando avrà la fortuna di andarci. Eppure, sapete, vota anche il ragazzo trentenne. Vi informo che vota anche il ragazzo trentenne anche se è un po' rassegnato da questo punto di vista e quindi noi cosa andiamo a fare invece di aprire questo file seriamente? Apriamo la finestra. Qualcuno prima di me ha detto bene: apriamo una finestra e chi c'è vicino prende aria cioè facciamo una roba sperimentale per tre anni che pagheranno tutti - ripeto: tutti - è già stato detto. I pensionati con trattamenti più elevati, più benestanti potranno permettersi la riduzione del trattamento pensionistico. Penalizziamo gli usuranti; penalizziamo le donne; riduciamo la indicizzazione, anzi cancelliamo l'indicizzazione sopra i 1.500 euro lordi. Concludo, Presidente. Vede, se queste misure - lo dico così - sono misure che dovrebbero nell'immaginario di qualcuno sostenere la crescita, una crescita che non c'è, una crescita che latita, una crescita che manca, allora no, non siamo in questa fattispecie. Un'assunzione per ogni pensionato non è all'orizzonte, l'aumento dei consumi nemmeno, quello che è all'orizzonte è un appuntamento elettorale, e noi sappiamo che quando c'è un appuntamento elettorale due cose non ci mancano: un barcone da fermare e una promessa da regalare. Oggi la promessa è dei 60 miliardi di sgravi sulla flat tax. Concludo veramente, Presidente, con un motto: evitiamo di farci troppo del male, perché questo Paese non ne ha mica tanto bisogno.