Data: 
Martedì, 29 Ottobre, 2019
Nome: 
Serse Soverini

A.C. 2203

Grazie Presidente, onorevoli colleghi, io ho sentito gli interventi che mi hanno preceduto su questo decreto, che è stato chiamato “decreto salva imprese”, che ho trovato abbastanza strani, nel senso che si attribuisce a questo decreto la capacità di fare impresa. Questo decreto si chiama “salva impresa”, per fare impresa bisogna fare tutto un altro provvedimento, questa è la prima cosa che voglio dire per quanto è stato detto finora. Non credo che dai nostri interventi su questo decreto si possa dare un'interpretazione di un atteggiamento contro l'impresa da parte del Partito Democratico e da parte di questa maggioranza: crescita e tutela del lavoro sono due cose che ormai si affiancano e vanno di pari passo, non esiste più un'impresa intesa, come gli anni passati, libera dalla tutela del lavoro. In particolare, nella situazione in cui siamo: oggi, qualsiasi impresa che regge alla crisi, tutela i propri lavoratori come patrimonio di impresa. Io penso che in questo decreto abbiamo rispettato una continuità tra tutela del lavoro, tra crescita e sviluppo e sviluppo ambientale e sviluppo sostenibile e penso che ci sia un filo comune che le tiene insieme nei provvedimenti che abbiamo adottato. Si tratta di un decreto che noi abbiamo ereditato: l'abbiamo ereditato il 3 settembre dalla maggioranza precedente, lo abbiamo trovato in Senato e abbiamo dovuto lavorare a un iter molto, molto, molto corto, molto stretto, con tempi stretti. È un decreto al quale siamo riusciti comunque, nonostante i tempi stretti, nonostante la condizione e la contingenza in cui ci troviamo, la contingenza economica di crescita zero, nonostante l'impegno che abbiamo sull'IVA, l'impegno di spesa che abbiamo nei confronti delle clausole sull'IVA, siamo riusciti comunque a dargli un'impronta, un'impronta importante in termini di contributo, in termini di provvedimento, ma anche in termini - lasciatemelo dire - di innovazione culturale, perché sulla questione dei riders non la farei così facile come è stato detto finora, c'è stato un secondo me un ragionamento, che più avanti spiegherò, a mio parere non così banale. Quindi un decreto ereditato in un contesto difficile, un impianto definito da una diversa maggioranza, tempi di approfondimenti molto stretti, come dicevo. La nostra maggioranza, con il lavoro svolto al Senato, è riuscita - e lo rivendica con orgoglio - a imporre a questo decreto un cambio di passo e un nuovo segno, un nuovo segno politico. Innanzitutto siamo riusciti a produrre un decreto mirato e puntuale su specificità, su problemi molto specifici, quindi abbiamo anche sviluppato dei provvedimenti a mio parere molto aderenti e focalizzati, seppur circostanziati, perché sono tutte situazioni circostanziate, cioè non è che possiamo far diventare questo decreto salva imprese il provvedimento per il rilancio della manifattura italiana. Qui si trattava di elencare una serie di crisi e andare a tutelare i lavoratori e le aziende stesse. Abbiamo affrontato, come dicevo prima, con un atteggiamento nuovo la questione della green economy, una questione complessa, perché noi siamo abituati a ragionare qui in termini di digitalizzazione, così come abbiamo ragionato a fronte della globalizzazione: noi qui pensiamo alla digitalizzazione come apportatrice di innovazione. Non è affatto vero, lo è e non lo è a seconda dei contesti diciamo economici e sociali in cui la legislazione viene applicata.

In un Paese a crescita zero, digitalizzazione significa riduzione dei posti di lavoro; la digitalizzazione è importante ed è positiva quando ci sono delle politiche di crescita, politiche industriali. Anche queste, non possono essere affrontate all'interno di un decreto-legge di questo tipo: serve un piano strategico sulla digitalizzazione che riguardi il manufatturiero, i servizi, un provvedimento molto più ampio e molto più complessivo.

Abbiamo parlato di tutela di lavoro, ma l'abbiamo fatto senza penalizzare l'impresa: difendiamo l'impresa per difendere il lavoro, ma anche per difendere l'impresa stessa. Non capisco le accuse che ci sono state indirizzate: da parte mia, da parte del mio partito, da parte di questa maggioranza non c'è alcun astio nei confronti dell'impresa, e le motivazioni che sono state fornite sono motivazioni totalmente infondate.

Noi abbiamo quindi provato a dare a un decreto-legge ereditato un'impronta nuova, che rispettasse i princìpi programmatici su cui si basa questa maggioranza: lavoro, lavoro nuovo, diverso, crescita e sviluppo sostenibile, sono questi tre gli assi portanti del programma di questa maggioranza, che io vedo presenti nel decreto-legge.

Sul tema dei rider, abbiamo cercato di innovare un sistema di tutele diverse proprio perché il tema dei rider, come è stato detto bene da chi mi ha preceduto, riguarda tutto il mondo della gig economy ma è un elemento di punta, che però presenta degli aspetti che si possono poi anche estendere a molte altre attività. Siamo di fronte a un ambito di lavoro che ha diversi modi di essere approcciato, o anche abitato. È vero che ci sono persone che fanno i rider perché gli serve un secondo lavoro e chiedono flessibilità, richiedono la libertà di entrare e uscire da quest'ambito di lavoro come meglio credono, ma ci sono anche persone… E guardate che in Italia non sono poche, perché noi o la smettiamo di pensare che gli italiani possano scegliere il lavoro che credono e cambiamo atteggiamento… C'è gente che è costretta a fare il rider! Ed allora, perché non garantire delle tutele, che fra l'altro sono minime? Abbiamo costruito un doppio binario, un doppio modo di abitare e di svolgere questo lavoro, tutelato o non.

Perché a coloro che sono costretti a fare questo mestiere non dobbiamo dare delle misure minime di tutela del proprio lavoro, che hanno a che fare con la civiltà? Perché non dobbiamo pagare loro l'assicurazione in caso di infortunio? Perché non dobbiamo pagare loro i costi previdenziali? Voi vi immaginate ora il giovane ciclista che in giro per il centro urbano consegna pasti ed altre cose, ma se quella persona è costretta a fare quel mestiere per altri vent'anni o altri trent'anni, lo vedete a 50, a 60 anni sulla bicicletta, senza tutele? Questo noi abbiamo evitato, questa prospettiva: noi abbiamo iniziato a lavorare da ora per evitare questa prospettiva.

Bene: abbiamo comunque regolato sulla base del principio che i lavori lasciati a se stessi sono sempre penalizzanti per chi ha il minor potere contrattuale, e questa ovviamente è quasi sempre la posizione del lavoratore non professionale che è costretto a fare il rider. È stato detto, abbiamo portato il superamento del cottimo all'interno di un ambiente di lavoro, ma stiamo parlando di una battaglia di civiltà: siamo usciti da un arretramento. Noi abbiamo di fronte una scommessa veramente importante e complessa, che è quella di portare i diritti in un sistema di flessibilità estrema.

È stato detto: sì, ma c'è anche il padroncino col camioncino; ma quello il camioncino se l'è comprato lui, e ha deciso di fare il lavoratore autonomo.

No, non è vero, perché la piattaforma è di una società, la piattaforma che organizza il lavoro, ti dice dove devi andare, e se una sera piove e tu non hai lavoro quella sera non guadagni: questa è la differenza.

Non è affatto vero, perché il rider non è proprietario della piattaforma, è la piattaforma che ti dice dove devi consegnare quel pasto, quella cena.

Tu sei dipendente da quella piattaforma! Queste cose vanno chiarite.

Fra l'altro, questa idea che avete che, nel lavoro flessibile, la gente debba guadagnare sul numero di pasti venduti: ma guardate che non esiste più! Ci sono i contratti che hanno un minimo garantito; e poi c'è una parte dello stipendio, come si dice, per farmi capire dalle persone, che è relativo alla produttività, a quanto fai. Cioè, stiamo parlando di cosa? Di una visione arretrata!

E anche quando prima è stato detto “il PD è il partito che è contro la crescita”: siete voi che non vedete la crescita in questo decreto-legge, siete voi che non vedete i provvedimenti introdotti sui rifiuti. Lì dentro c'è l'economia circolare; siete voi che avete un concetto dell'economia che è ancora quello legato agli anni Ottanta, della libera impresa e del libero mercato lasciati a loro stessi. Oggi quella cosa lì non c'è più per chi è andato a lavorare, e lo sa bene. Noi abbiamo investito con questo decreto-legge in un sistema nuovo di economia circolare, abbiamo regolato un settore e abbiamo ricreato opportunità per le piccole e medie imprese.

Ho sentito dire prima che in Italia c'è… Come se noi privilegiassimo la media e la grande impresa: la grande impresa non c'è più. Quando voi dite che oggi c'è un rapporto troppo stretto tra imprese e politica, prima c'era un rapporto troppo stretto tra imprese e politica, c'era l'IRI, allora sì che c'era un rapporto tra politica e impresa; oggi c'è quasi solo piccola e media impresa, che non ha bisogno del rapporto troppo stretto con la politica, ma ha bisogno di una politica di visione sul settore manifatturiero. Di questo ha bisogno, perché la piccola e media impresa da sola non è in grado di entrare in una nuova economia, cosa di cui abbiamo urgente bisogno e che dobbiamo fare, non certo con un decreto-legge “salva imprese”.

Noi abbiamo quindi apportato modifiche alla disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto, end of waste, grazie alla quale sarà possibile riprendere numerose attività legate al ciclo dei rifiuti di origine urbana e industriale, realizzare nuove attività ed impianti utili a contrastare ulteriori ricadute sull'ambiente, sulla salute dei cittadini, sui costi di gestione dei rifiuti: provvedimenti che ci permettono di affermare che finalmente anche nel nostro Paese inizia a prendere corpo il settore dell'economia circolare, un settore finora bloccato, con investimenti fermi, che bloccava le prospettive di crescita occupazionale, che da oggi sarà meno esposto anche al rischio di infiltrazioni mafiose.

Voglio concludere dicendo anche che mi sembra un po' - come dire? - irriconoscente il fatto che non si sia valorizzato, per esempio, il Fondo per quanto riguarda le cooperative dei lavoratori. Sicuramente vi è sfuggito questo aspetto, ma noi abbiamo bisogno anche di provvedimenti che partano con 500 mila euro di Fondo: sì, va bene; e che tra due anni avranno 5 milioni, ma noi abbiamo bisogno anche di questi piccoli provvedimenti all'interno di un'economia sostenibile. Qui si tratta di mettere in campo un'infinità di strumenti che, anche se sono micro, dipende dalla moltitudine, non dal peso, dalla quantità di opportunità, di finestre che noi diamo alle persone per rientrare e inventare nuovi lavori. Ed anche qui, quel provvedimento tiene legato il lavoro, la tutela della persona con la possibilità di fare impresa; e anche qui rifiuto l'accusa che ci formulate, di tenere distanti tra loro la tutela del lavoro e la crescita e la difesa dell'impresa.

Per questo motivo, con orgoglio dichiaro il parere favorevole ed il supporto a questo decreto-legge del Partito Democratico.