Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 19 Ottobre, 2015
Nome: 
Simona Flavia Malpezzi

A.C. 3315-A

 

Grazie, Presidente e Governo. C’è una parola che noi sentiamo ripetere spesso, fortunatamente dico io, in questa legislatura, ed è la parola «semplificazione». Una parola che è legata strettamente alla politica e lo abbiamo visto anche rispetto a tutti i provvedimenti che sono stati presi nei confronti della pubblica amministrazione. Semplificare fa bene perché significa andare anche incontro ai cittadini. Quando, però, si semplificano, invece, i messaggi, allora ecco che si incorre in un problema. Noi anche qui, oggi, abbiamo assistito un'altra volta alla semplificazione di un messaggio.
Io faccio parte della Commissione cultura, non sono sicuramente qui a discutere di un decreto che va ad abrogare il diritto di sciopero, come qualcuno semplificando sta cercando di fare capire. 
Infatti stiamo parlando di ben altro. In quelle poche righe, in quell'unico articolo di cui è composto il decreto di cui noi stiamo portando avanti una discussione a carattere generale, si dice una cosa che con il diritto di sciopero non c'entra assolutamente niente, e non c'entra assolutamente niente con il ledere l'autonomia e il diritto, da parte dei lavoratori, di riunirsi in assemblea. In quelle poche righe c’è, invece, un messaggio che è straordinario, per la semplicità ma anche per l'efficacia. È quel messaggio che molti di noi, coloro che fanno parte di quella cultura di centrosinistra, cercavano di portare avanti anche negli anni scorsi, quando qualcuno diceva che con la cultura non si mangiava, mentre noi scendevamo in piazza dicendo invece che la cultura doveva essere un diritto e un bene fruibile a tutti. Ed era per noi un elemento di lotta connaturato proprio in quelli che erano i nostri valori. 
Ebbene, con questo decreto, la cultura e i beni culturali diventano servizi pubblici essenziali. Significa dire che diventano un diritto, che andiamo a garantirne il diritto alla fruizione, cioè aggiungiamo un diritto, non togliamo diritti. Ne stiamo aggiungendo uno a tutti i cittadini e non solo ai cittadini italiani. Lo stiamo aggiungendo a tutti coloro che ogni anno vengono in Italia a visitare il nostro bellissimo patrimonio, unico al mondo, oserei dire. E questo – ripeto – senza togliere il diritto a nessuno. 
Infatti io sono una dipendente di un cosiddetto servizio pubblico essenziale, sono una dipendente del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sono un'insegnante in aspettativa, ma rimango comunque insegnante. E ho sempre avuto il diritto alle mie assemblee, ho sempre avuto il mio diritto allo sciopero e mi sembra che anche nei mesi scorsi vi siano stati esempi anche plateali di manifestazione in piazza, che hanno chiaramente portato avanti i lavoratori del comparto scuola, dimostrando il loro dissenso da alcuni provvedimenti che stavamo portando avanti. Non mi sembra che il diritto sia stato negato a nessuno. Quindi significa che tutti i lavoratori di questi comparti, che sono appunto regolamentati anche dalla legge n. 146 del 1990, sono lavoratori tutelati da tutti i punti di vista. Infatti voglio ricordare che non c’è una parola, in alcuna delle dichiarazioni che sono state fatte per spiegare anche questo provvedimento, che vada nella direzione del punire. 
C’è una direzione, però, ben chiara, che è quella di migliorare un sistema che sta dimostrando di non funzionare ed è un sistema che viene affrontato da due punti di vista. Infatti quando noi ascoltiamo anche in quest'Aula e anche poco fa dalla relatrice di minoranza la cronistoria di quello che sarebbe successo – e quindi di lavoratori legittimamente radunati in un'assemblea, con un'assemblea che era stata annunciata giorni prima, per la quale era stato dato il permesso e sulla quale nessuno va a sindacare, tantomeno il Ministro che interpellato in Aula ha garantito assolutamente il suo pieno rispetto nei confronti di quei fatti – sta di fatto, però, che nessuno racconta che, mentre quei lavoratori si ritrovavano in assemblea per manifestare giustamente e discutere rispetto a pagamenti che non erano avvenuti, il Governo stava facendo la sua parte: si trovava al MEF a chiedere come mai quei pagamenti non erano stati effettuati. Infatti proprio quel sistema, anche quel sistema degli straordinari, non stava funzionando. 
Da questo punto di vista – e lo hanno ripetuto qui snocciolando dei numeri che io non vado a ribadire – mi sembra che in legge di stabilità i numeri ci siano. Ci possiamo credere o meno – lo dico al collega Simone Valente – però fatto sta che i numeri della legge di stabilità sono presenti – poi si andranno a discutere – e mi sembra che il Ministro e questo Governo stiano intervenendo. Pertanto, mentre si interviene a favore dei lavoratori, riconoscendo quelli che sono i loro diritti e andando a cercare di integrare un comparto che dopo tantissimi anni finalmente riceve una boccata di ossigeno, con i numeri che – ripeto – sono quelli che sono stati ribaditi più volte in quest'Aula, dall'altra parte, però, si va anche a dire che, proprio perché ribadiamo che quel comparto è importante, vogliamo che quel comparto diventi davvero un diritto. Ed è il diritto di cui tutti possono e devono godere, che è il diritto alla fruizione. 
Infatti, non c’è scritto «fruizione» o «tutela» nella legge n. 146, ma c’è scritto «vigilanza» e la vigilanza è un'altra cosa. Significa che si può chiudere il museo e vigilare che non vengano tolti i reperti, stare attenti e controllare che tutto proceda in sicurezza. Ma non significa garantirne la fruizione, che, invece, diventa un elemento importante, perché è l'elemento su cui noi basiamo anche una parte della nostra economia, se la vogliamo vedere dal punto di vista monetario, ma è anche l'elemento su cui noi basiamo la nostra tradizione, il nostro essere cittadini. È una peculiarità del nostro essere italiani. 
Le due cose non sono assolutamente in contrapposizione. Allora, diventa anche poco credibile il fatto che tre quarti di questa discussione verta su un diritto di sciopero che non viene assolutamente toccato all'interno di questo decreto. Infatti, allora, andiamo a impoverire quella che è una grande vittoria. La si vuole impoverire ? Allora, tutti coloro che non sono d'accordo rispetto a quello che viene espresso all'interno di questo decreto sono coloro che, evidentemente, pensano che la cultura possa essere di serie B e che non possa essere considerata un vero patrimonio da tutelare e da proteggere e soprattutto un diritto di cui tutti debbano assolutamente godere. È un elemento di civiltà quello che noi cercheremo di votare, portandolo a casa come un successo nel quale noi crediamo. 
Aggiungo, però, una serie di cose. Ho sentito qui dire che questa è una Repubblica parlamentare e io ne sono pienamente convinta. Non penso che siano stati tolti i poteri al Parlamento. Ne è la riprova che questo decreto arriva, viene destinato alla Commissione lavoro, che lavora anche con la Commissione cultura, e viene poi migliorato. I parlamentari hanno svolto il loro lavoro, presentando degli emendamenti che hanno cercato anche di rendere più chiaro l'intento. Infatti, arrivare a dire che si parlerà di apertura regolamentata, aggiungere questa sorta di aggettivazione, arricchisce quello che per noi era già chiaro, ma che poteva non essere chiaro per altri. È chiaro che si tratterà di un'apertura regolamentata e questa regolamentazione spetterà a coloro che sono deputati a mettersi d'accordo e a stabilire quali saranno i paletti e i limiti entro i quali si svolgerà questa regolamentazione. 
Mi dispiace che in tutta questa discussione non si veda, invece, il rovescio positivo della medaglia. Infatti, nel momento in cui la cultura diventa un diritto così essenziale tanto da diventare servizio pubblico essenziale, pertanto legato strettamente alla vita di ciascuno, non si vede l'elemento per cui, se la cultura diventa tale, questo Governo sarà spinto a fare sempre di più per quel comparto. Sarà spinto a dover incrementare la propria attenzione a un comparto rispetto al quale – mi sembra che in Parlamento, qui alla Camera sia stato ribadito più volte – troppo spesso e troppo a lungo non è stato fatto niente. 
Allora, ci sono sicuramente delle attenzioni e delle migliorie da portare a tutto il settore dei beni culturali. Io ripeto: abbiamo parlato di art bonus, abbiamo parlato di una serie di misure che sono presenti nella legge di stabilità. In quest'Aula, poco fa, sono stati sollevati dei problemi, come una serie di gestioni private che forse costano troppo allo Stato. Nulla ci vieta di riprendere in mano tutto l'assetto per poterlo migliorare. Ma quanto più questo decreto prenderà vita e troverà una risposta che possa essere una risposta così positiva e di largo respiro da parte di tutti coloro che fanno parte di questo Parlamento, tanto più forte sarà la pressione per spingere in quella direzione, per prendere in mano tutto il comparto e poterlo migliorare. 
Ricordo che l'Italia – lo citava prima la relatrice – ha questa peculiarità nella sua ricchezza: un patrimonio culturale che non ha pari al mondo. E noi siamo chiamati ad avere una legislazione che sia diversa da quella degli altri Paesi, proprio perché è il comparto che è diverso da tutti quelli degli altri Paesi. Mi sembra che questo possa essere un grandissimo esempio di civiltà. 
Mi stupisco – lo dico anche con qualche perplessità – che da alcuni movimenti e da alcuni partiti politici che sono anche firmatari di proposte molto forti, che dicono addirittura di porre il diritto al bello all'interno della Costituzione, nel momento in cui noi trasformiamo questo diritto in qualcosa di concreto all'interno di un decreto, ecco che immediatamente scatta l'opposizione. Allora forse è un diritto al bello solo se viene proposto da un ramo del Parlamento e non se viene proposto dal Governo ? Diventa un diritto al bello solo ed esclusivamente se questa cosa non la fa chi sta governando, ma, invece, diventa un elemento che l'opposizione porta avanti ?
Io ho i miei dubbi rispetto a questo e penso che, se questo decreto-legge va nella direzione di rafforzare invece la possibilità di godere di quel bello che è anche estremamente educativo, ecco allora noi abbiamo fatto un passo avanti. Concludo con un piccolissimo aneddoto che mi è capitato questa mattina perché, mentre frequentavo uno dei tanti social, il mio sguardo si è soffermato sull'immagine di una lavagna ed era la lavagna della classe di una mia amica che fa l'insegnante nella scuola primaria in una quinta elementare che oggi, guarda caso, ha aperto una sorta di discussione sul valore della cultura perché poi produrrà una serie di materiali con i suoi alunni. E su questa lavagna lei aveva scritto quelli che sono i concetti che questi bambini di dieci anni hanno espresso rispetto al valore della cultura e tra le diverse affermazioni – c'era lo stupore per l'arte, la formazione, cultura come esperienza che arricchisce, arricchimento dell'anima – c’è un altro elemento: cultura come conoscenza reciproca e rispetto dei valori. Se noi siamo disposti a dire che la cultura è conoscenza reciproca ed è rispetto dei valori e quindi è prioritaria, non possiamo assolutamente pensare che la cultura possa chiudere le proprie porte in un qualche momento dell'anno.