Discussione generale
Data: 
Lunedì, 22 Maggio, 2023
Nome: 
Paolo Ciani

A.C. 622-A

Grazie Presidente, colleghe, colleghi e rappresentante del Governo. Oggi discutiamo una proposta di legge che ha la finalità di definire un programma di salute pubblica, di diagnosi tramite screening, destinato alla popolazione in età infantile e adolescenziale, individuata nel range di età dagli 1 ai 17 anni per identificare i soggetti a rischio di sviluppo di diabete di tipo 1 o di celiachia. Come tutti sappiamo, il diabete di tipo 1 e la celiachia sono due malattie croniche e autoimmuni, che possono causare importanti conseguenze sulla salute dei pazienti e per questo sono importanti le iniziative legislative volte alla tutela di queste condizioni, tanto più se riguardano la salute dei nostri bambini e adolescenti.

Per quanto riguarda la celiachia i dati del Ministero della Salute ci dicono che, al 31 dicembre del 2019, i celiaci diagnosticati erano 233.000, di cui il 34 per cento appartenente alla popolazione maschile e il 66 per cento a quella femminile, ma si stima siano circa 400.000 le persone che non hanno ancora ricevuto una diagnosi corretta. La celiachia - come è noto - è una malattia autoimmune che si manifesta in presenza di una reazione anomala del sistema immunitario alla presenza di glutine nei cibi e l'unica cura esistente è rappresentata solo ed esclusivamente dall'eliminazione del glutine dalla dieta alimentare della persona affetta da questa malattia. Molto spesso non è facile pervenire ad una diagnosi precoce e accurata a causa della sintomatologia lieve o atipica che pertanto passa inosservata, ma risulta essenziale per evitare i danni al sistema digestivo e per migliorare la qualità della vita dei bambini e degli adulti colpiti da questa malattia. Per quanto riguarda il diabete di tipo 1, chiamato anche diabete giovanile e insulino-dipendente, che si distingue dal diabete di tipo 2 perché insorge di solito in giovane età, come riportato dalla Relazione al Parlamento sullo stato delle conoscenze e delle nuove acquisizioni in tema di diabete mellito nella scorsa legislatura, in Italia interessa una percentuale di popolazione tra il 5,6 per cento (nella relazione Istat) ed il 4,7 per cento, nei dati della sorveglianza di popolazione 18-69 anni intervistata dal Passi-Progressi delle aziende sanitarie per la salute in Italia. Le persone con diabete di tipo 1 sono circa 300.000 e l'incidenza di questa patologia è in aumento in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi occidentali. Anche il diabete mellito di tipo 1 è una patologia cronica autoimmune, che fa sì che le cellule del pancreas, le cosiddette beta cellule, che producono insulina vengano distrutte dal sistema immunitario perché riconosciute come estranee. Questo tipo di diabete rappresenta circa il 10 per cento dei casi di diabete ed è una malattia incurabile, che non si può prevenire in alcun modo. Anche in questo caso una diagnosi precoce e un trattamento adeguato possono aiutare a prevenire complicanze a lungo termine e migliorare la qualità della vita di chi ne è affetto. La proposta di legge introduce un programma diagnostico di screening per l'individuazione precoce di queste due malattie. Il programma prevede una serie di test e controlli da eseguirsi su tutti i bambini e adolescenti, al fine di individuare eventuali segni precoci della malattia. Questa iniziativa, dunque, almeno nei suoi intenti, rappresenta un passo significativo nella tutela della salute dei nostri bambini e ragazzi, in quanto si prefigge di individuare in modo più veloce la malattia, consentendo ai pazienti di ricevere cure tempestive e di evitare le complicazioni a queste associate. Inoltre, l'articolo 3 della proposta fissa anche apprezzabili obiettivi di sensibilizzazione e informazione, legati all'importanza della diagnosi precoce. In questi anni abbiamo visto quanto i programmi di informazione siano serviti e siano utili per diagnosticare precocemente questa malattia. Tuttavia mi corre l'obbligo di porre l'accento su alcuni punti che richiedono una valutazione più attenta, a mio avviso, e che fanno emergere alcune criticità nel testo, che spero potranno essere corrette, sia in corso di analisi, sia in corso di attuazione dopo l'eventuale approvazione. Innanzitutto vi è la questione relativa alle due diverse malattie: abbiamo sentito quanto talvolta siano correlate, ma sappiamo anche le distinzioni tra le due patologie.

L'altro tema di fondo è quello relativo allo strumento individuato per arrivare all'obiettivo prefissato di giungere a una diagnosi precoce, ovvero lo screening. Infatti, per esempio, interpellando alcuni esperti - ancor più approfondendo la relazione sullo stato delle conoscenze e delle nuove acquisizioni scientifiche in tema di malattia celiaca (qui parliamo della celiachia) con particolare riferimento ai problemi concernenti la diagnosi precoce e il monitoraggio delle complicanze riferite all'anno 2021, trasmessa dal Ministero della Salute al Parlamento, ossia l'ultimo documento che l'attuale Ministero ha divulgato su uno degli argomenti che oggi trattiamo, cioè la celiachia - emergono dubbi su come lo strumento dello screening possa essere quello più appropriato al fine che la legge si propone.

Quello che emerge dal documento del Ministero, infatti, è che non si possa equiparare lo screening di massa alla diagnosi precoce. Se, in generale, lo screening di massa consiste nel sottoporre tutta la popolazione - in questo caso infantile - ai test, indipendentemente dalla presenza di sintomi e/o fattori di rischio e permettendo così di identificare tutte le persone che probabilmente sono affette da quella certa malattia, nel caso specifico delle malattie prese in considerazione dalla proposta di legge uno screening non equivarrebbe alla diagnosi, poiché quest'ultima è identificabile solo con la comparsa dei primi sintomi e segni della malattia nel paziente.

Cito testualmente un passaggio della relazione ministeriale sulla celiachia, dove si legge: “Al momento, quindi, lo screening di massa per la celiachia non sarebbe in grado di offrire una risposta definitiva e, considerato che la celiachia può esordire a qualsiasi età, un risultato negativo dello screening non escluderebbe l'insorgenza della malattia successivamente allo screening con risultato negativo agli anticorpi. In caso di positività anticorpale per le diagnosi di celiachia potenziale una percentuale di casi intorno al 50 per cento si negativizza e per l'incertezza dell'età di sviluppo della celiachia si avrebbe difficoltà anche a decidere a quale età effettuare lo screening nella popolazione generale. È importante sottolineare che non sono disponibili evidenze definitive neanche sulla storia naturale della celiachia e sul decorso clinico delle persone celiache asintomatiche non trattate con la dieta senza glutine. Esistono solo evidenze indirette, parziali e contraddittorie che il mancato trattamento dietetico possa determinare un maggior rischio di complicanze. Uno studio italiano conferma che coloro che sono stati diagnosticati celiaci, a seguito di programmi di screening e non per i sintomi manifestati anche in età pediatrica, hanno una peggior compliance alla dieta senza glutine e una maggior prevalenza di malattie autoimmuni dopo 20 anni dalla diagnosi rispetto ai celiaci diagnosticati perché sintomatici”.

Peraltro, la scelta dello screening di massa porterebbe sicuramente a un aumento dei costi per il sistema sanitario nazionale sia per i test di screening stessi che per le procedure diagnostiche successive, perché la persona che dovesse risultare positiva inizierebbe comprensibilmente tutta una serie di controlli che potrebbero, però, non rivelarsi utili ai fini di una diagnosi corretta. Inoltre, la diagnosi di celiachia può avere un impatto significativo sulla vita delle persone, portando a un carico psicologico e sociale significativo per i pazienti e per le loro famiglie, questo con l'ulteriore rischio di incontrare reticenze e opposizioni nel sottoporsi al test da parte della popolazione, senza considerare che la persona a cui viene data la diagnosi da screening potrebbe - e non ha già - sviluppare la malattia senza poter incidere realmente sulla comparsa della stessa.

Un discorso analogo sembra potersi fare per il diabete. Il problema più evidente è che se si fa uno screening e si individua una positività, che potrebbe evolversi in diabete in un tempo variabile tra i 2 e i 20 anni, non c'è ad oggi una cura che possa essere proposta. L'argomento più stringente e più importante - è stato sottolineato - è la possibilità di evitare la DKA, la chetoacidosi diabetica, che è una conseguenza, anche mortale, del diabete, se non riconosciuto in tempo in presenza di sintomi. Sicuramente, una buona campagna di sensibilizzazione presso i pediatri di base, verso le scuole e nei pronto soccorso è quello che serve molto per imparare a riconoscere e a trattare con tempismo i sintomi del diabete. Lo screening potrebbe portare a risultati talvolta falsi positivi, indicando erroneamente che un individuo è a rischio di sviluppare il diabete di tipo 1. Inoltre, potrebbero essere necessari ulteriori test e monitoraggi per confermare la diagnosi, aumentando la preoccupazione e l'impatto emotivo presso le famiglie dei bambini.

L'implementazione di programmi di screening su larga scala richiederebbe l'utilizzo di molte risorse, risorse significative - ne sono state ipotizzate alcune, ma bisognerà vedere nel corso del tempo - di personale medico preparato, attrezzature diagnostiche e test specifici.

Ciò potrebbe comportare costi elevati in un momento delicato per il nostro sistema sanitario, con la necessità di bilanciare attentamente l'investimento in programmi di screening rispetto ad altre priorità sanitarie (penso sicuramente alla ricerca e alla comunicazione su questo tipo di malattie).

Con “altre priorità” mi riferisco, ad esempio, a investire oltre che sulla ricerca - è inutile dirlo - anche, come anticipato, sulla sensibilizzazione e sull'informazione, in quanto le persone sappiano riconoscere la comparsa dei primi sintomi della malattia e a quel punto - e soprattutto a quel punto - possano intervenire in maniera pronta e adeguata per tenere sotto controllo lo sviluppo della malattia. Mi ha colpito, andando a studiare l'andamento di questi anni, quando, a seguito di grandi campagne su queste malattie all'inizio degli anni Duemila, sono stati riconosciuti, in quegli anni, molti più casi di diabete di tipo 1 presso la popolazione in età infantile.

Purtroppo, sapere prima che si svilupperà una delle due malattie senza aver ancora sviluppato i primi sintomi - la scienza ci dice ad oggi - non rappresenta sempre un fattore utile alla prevenzione di queste due malattie. In generale, gli screening sulla popolazione hanno la funzione di diagnosticare precocemente una malattia per la quale si ha una cura o un trattamento volto a ridurne le conseguenze. Il progetto di legge ha, rispetto al diabete, l'obiettivo di ridurre l'insorgenza di chetoacidosi. Ma, mi domando, se esista già un protocollo di cura per i pazienti che hanno una diagnosi di predizione di patologia e non di presenza di patologia al momento dello screening - credo che al momento, non essendoci sintomatologia, non sia previsto -, perché se non c'è una cura che permetta la guarigione o, quantomeno, una cura che ritardi l'insorgenza dei sintomi che senso ha una diagnosi con un peso psicologicamente così delicato? Lo domando per farlo meglio.

Chiaramente, ci auguriamo tutti che possa servire a sviluppare una risposta adeguata, ma per ora non ho trovato una risposta né nella presentazione del testo della legge né negli studi correlati. Evidentemente, pur sapendo che la proposta di legge è stata avanzata con la preoccupazione - penso - di una fondazione attiva in Italia su questi temi, sul tema del diabete soprattutto, e si riferisce a uno studio condotto in Germania denominato “Frida”, tuttavia è mancato, in questa fase dei lavori parlamentari, un confronto più ampio, di dialogo con il resto della comunità scientifica, con altre associazioni esperte delle due materie e con le relative associazioni di pazienti, cosa che avrebbe permesso un approfondimento su aspetti non secondari e ora solo brevemente accennati.

È evidente la necessità di investire nella presa in carico e cura dei pazienti con diabete di tipo 1 e celiachia a maggior ragione in età pediatrica come si prefigge questa legge, di cui ringraziamo il proponente, peraltro Vicepresidente della Camera, perché evidentemente questo è il fine a cui si rivolge. Domani il mio collega Girelli spiegherà meglio la nostra posizione, che, comunque, sarà positiva. Mi sono permesso, in questo intervento, di porre alcuni dubbi, che spero potremo approfondire nel corso del tempo, proprio per aiutare quella fascia di popolazione, quei giovani e quei bambini, che possono incappare in queste due malattie.