Signora Presidente, onorevoli colleghi, la discussione di oggi, ben introdotta dal relatore Gandolfi, che ringrazio per la competenza e la passione che contraddistinguono da tempo il suo impegno in questa materia, riguarda la delega al Governo per la riforma del codice della strada, delega che si compone di tre articoli e prevede l'adozione, entro dodici mesi dall'entrata in vigore della legge, di decreti legislativi di modifica e riordino del codice della strada, risalente al 1992. Tre sono i cardini principali su cui poggia la delega: la semplificazione, la sicurezza e la sostenibilità. Cardini di un lavoro che, alla fine del suo percorso, dovrà darci un codice della strada più snello e facile, da capire e applicare, strade e città più sicure, un ambiente migliore e maggiore qualità urbana. Oggi, in Italia, la consistenza del parco veicolare ha raggiunto la cifra di circa 50 milioni di unità, la gente si muove di più e con mezzi diversi e nuovi. Il codice non può che diventare uno strumento snello ed efficace nella gestione di un fenomeno così poderoso, proprio per le dimensioni e la complessità dello stesso.
È, insomma, un codice della strada 2.0, potremmo dire, un codice nuovo, uno strumento attraverso cui si regola il rapporto tra le persone, lo spazio e il tempo in cui queste si muovono. Considerando che quasi tutta la popolazione si muove e che alla mobilità si dedicano crescenti quantità di tempo e risorse, ne deriva che tutto questo muoversi genera una quantità straordinaria di relazioni, superiore a qualsiasi altra forma di rete sociale. In altre parole, la mobilità è il più potente sistema di interrelazione tra i cittadini.
Nel fare una buona riforma, si può aiutare la mobilità ad essere più sicura, sostenibile ed efficiente; fare un'ottima riforma del codice della strada e della mobilità nel suo complesso, vuol dire anche saper far funzionare meglio le relazioni tra i cittadini, renderle più feconde, rendere la società più creativa, più intelligente, più smart, come si direbbe oggi, e rendere, quindi, i cittadini non solo più sicuri, ma anche più sani, più produttivi e più sereni.
Per queste ragioni, si deve lavorare con uno spirito nuovo e aperto e occorre anche cambiare il linguaggio, parlando di mobilità e non più di traffico, di spazio pubblico e non più solo di strada, ma, soprattutto, di persone e non di veicoli. Proprio le persone devono essere al centro delle norme e non i mezzi di trasporto, come ben articolato dal relatore Gandolfi.
Venendo ora ai punti principali della riforma, prima di tutto, come è ovvio, troviamo la sicurezza, principio che deve essere posto alla base di qualsiasi politica di trasporto. La riforma rafforza il concetto di sicurezza e lo estende all'utenza vulnerabile: in tutte le scelte, la sicurezza delle persone deve prevalere su qualsiasi altra esigenza funzionale ed economica. Ma non possiamo certo non porre l'attenzione su quella parte di utenza più debole, i bambini, che si muovono in libertà nei quartieri in cui vivono e alla quantità di problemi ancora irrisolti, che si annidano in questa dinamica. Su questo, anche e soprattutto su questo, il codice della strada può e deve avere un ruolo importante.
È fondamentale cambiare la mobilità urbana, in linea con la normativa di altri Paesi europei, curando la condivisione dello spazio, l'integrazione dei flussi di traffico, il miglioramento delle funzioni dedicate al trasporto pubblico, la mobilità ciclistica e pedonale, la diffusione di zone sicure, dove le attività residenziali, scolastiche, commerciali o ricreative siano salvaguardate e valorizzate. La sostenibilità ambientale e sociale dei sistemi di mobilità è il secondo punto fondamentale della riforma.
Oggi la mobilità ha il dovere di essere sostenibile, altrimenti si rischia il collasso del sistema dei trasporti, soprattutto nelle nostre società. Il codice della strada deve favorire i mezzi meno inquinanti, migliorando il benessere delle persone e, conseguentemente, la qualità più in generale della vita.
La semplificazione e l'aggiornamento del codice è il terzo punto. Serve un testo più semplice, una segnaletica più chiara, come più chiari devono essere gli adempimenti burocratici e le sanzioni. Anche la strada e lo spazio pubblico devono diventare più semplici e razionali a beneficio della serenità degli utenti. Il rispetto delle regole, che deve essere sempre certo e controllato, va perseguito anche attraverso l'educazione ed il radicamento della natura benigna delle norme stesse. Le sanzioni e i controlli devono essere commisurati al pericolo causato ad altri e a se stessi. Semplificazione significa anche saper sapere aprire a innovazioni tecnologiche, informatiche e telematiche, elementi che possono contribuire sostanzialmente a rendere le strade più sicure e la vita degli utenti della strada più semplice. Insomma, la riforma deve mettere al centro della propria azione le persone, la loro sicurezza e il loro benessere e non più e solo le strade ed i veicoli.
Questi sono i principi che hanno mosso il lavoro anche del Partito Democratico, non solo in Commissione trasporti, un lavoro che ripercorre tutta la durata di questa legislatura e che trova oggi ragion d'essere negli indirizzi che questa Camera è tenuta a dare alla legge delega. Ambire ad una mobilità migliore passa dalla valorizzazione del comportamento e della componente soggettiva di ogni utente della strada, passa nel rendere il rispetto delle regole sempre più naturale e lo spazio stradale sempre più sicuro e democratico, passa nel concepire un semplice gesto quotidiano come quello del muoversi come uno degli specchi di un Paese più civile e, a mio avviso, come un modo distintivo per impostarne il suo sviluppo, soprattutto oggi, ovvero nel momento in cui ci apprestiamo a dare finalmente vita e corpo alle nuove istituzioni metropolitane.
Poco più di un decennio fa, l'autorevole sociologo americano Richard Florida consegnò alla storia uno dei suoi lavori più efficaci e suggestivi: la classe creativa e la teoria delle «3T». In questa teoria Florida sostiene che lo sviluppo e la crescita delle regioni urbane, che per il nostro Paese vale a dire lo sviluppo e la crescita delle aree metropolitane policentriche, essendo il nostro Paese delle tante, anzi cento, piccole città, dipendono da tre fattori fondamentali: la tecnologia, il talento e la tolleranza, intesa come apertura alle diversità culturali. Le «3T», dice Florida, non solo ci devono essere nelle regioni urbane ma devono fortemente interconnettersi, perché così circolano conoscenze, finanze, creatività, relazioni e scambi. Ora, è del tutto evidente che la mobilità di buona parte di questi fattori è immateriale ma è altrettanto evidente che una parte comunque rilevante riguarda la mobilità materiale, senza la quale una regione urbana non è attrattiva per le persone e quindi non può porre le basi per il proprio sviluppo. Questa, io penso, sia la sfida, cioè non sottovalutare nessun dettaglio e orientare ogni provvedimento in questo Parlamento a creare maggiore capacità di attrarre per il nostro Paese, quella capacità di attrarre conoscenze, investimenti, culture. In questa sfida, un argomento come quello di oggi solo in apparenza è eccentrico, perché è anche e proprio da una migliore mobilità che si misura la nostra capacità di riuscire ad attrarre davvero. Con questa discussione di oggi dobbiamo dire che il Parlamento c’è, che il Partito Democratico c’è in questo tentativo di allargare il senso di codice della strada a tutto il tema della mobilità come la stiamo interpretando e c’è al fianco del Governo, e, ancora una volta, che riformare il Paese, per renderlo più bello e competitivo, è possibile.