A.C. 2617-A
Grazie Presidente, la delega che stiamo discutendo è quell'intervento organico, atteso da tempo, da tanto tempo, da tante organizzazioni sociali, una riforma tanto più opportuna alla luce dell'importanza crescente del Terzo settore nel nostro Paese sul piano economico e occupazionale e della dimensione organizzativa e dell'iniziativa degli enti.
Come è stato detto, si tratta di oltre 300 mila enti, quasi 5 milioni di volontari e 1 milione di lavoratori, l'unico settore che negli anni della crisi ha continuato a crescere, sia nel fatturato che negli addetti.
Ci sono interi segmenti del sistema di welfare che non esisterebbero se non fosse per l'iniziativa e la progettualità del Terzo settore: dai servizi di assistenza, alle opportunità di aggregazione sociale, di accesso alla cultura, allo sport per tutti, alla cura dell'ambiente. Associazioni, gruppi di volontariato, cooperative sociali nascono dall'autonoma iniziativa di cittadini che scelgono di porre le proprie esperienze e competenze al servizio del bene comune, impegnandosi in attività di utilità sociale. Non perseguono il profitto, ma l'interesse di tutti; sono un argine alla frammentazione sociale; promuovono partecipazione e cittadinanza attiva; offrono risposte ai bisogni della parte più debole della società; contribuiscono all'innovazione economica, sociale, culturale di questo Paese. Ma è proprio la crescente rilevanza di questo mondo che rende necessario aggiornare le norme di riferimento, sia per tutelare l'identità, l'autonomia e la trasparenza delle formazioni sociali, sia per incentivarne l'azione con idonei strumenti di sostegno.
La delega delinea un ampio intervento. Il corposo insieme di leggi che oggi norma gli enti del Terzo settore, disomogeneo e in parte non più adeguato, andrà aggiornato alla luce di nuove esigenze e di vecchie lacune. La Commissione ha svolto un lavoro approfondito sul testo, avvalendosi anche di molte audizioni e del positivo confronto con gli enti, che sarà bene proseguire, aggiungo, in vista anche dell'emanazione dei decreti.
Fondamentale credo per la coerenza dell'intera riforma è la definizione di Terzo settore che noi diamo all'articolo 1. Sappiamo che questo termine, ormai di uso comune, non ha un preciso riscontro sul piano giuridico. Ebbene, per la prima volta in un testo di legge si definiscono natura, finalità, campi di attività degli enti del Terzo settore, nonchè i principi e i vincoli che ne ispirano l'azione. Si traccia, così, quel perimetro che delimita e identifica questi enti nel più vasto ambito dei soggetti non lucrativi riconducibili al Libro I del codice civile.
Penso che la delega sciolga in modo convincente, a mio parere, anche un nodo spesso discusso, cioè se si debba disciplinare il Terzo settore in base alla natura degli enti o piuttosto alle loro attività. Ebbene, la nuova disciplina dovrà tenere nel giusto conto, sia la forma costitutiva e il possesso dei requisiti degli enti, che le attività da essi svolte e la loro coerenza con i fini statutari.
In altre parole, per definirti ente di Terzo settore non conta soltanto chi sei, ma anche cosa fai, perché lo fai e come lo fai. Devi dimostrare la coerenza fra le finalità che dichiari e le tue azioni e devi rendere conto dell'impatto sociale che producono. Per farlo, è chiaro che servono solidi parametri di riferimento, perché il campo dei soggetti è molto diverso per attività, forma giuridica, dimensioni. Tutti stanno nel perimetro del Terzo settore con pari dignità, ma ciascuno va collocato al posto giusto, valorizzandone i tratti peculiari. Io penso che con questo approccio si debba affrontare anche il tema dell'impresa sociale. È del tutto positivo che nel Terzo settore crescano esperienze con una più marcata vocazione imprenditoriale, capaci di attrarre investimenti anche in una proficua relazione fra profit e no profit, purché venga salvaguardato il carattere non speculativo e la preminente vocazione sociale di queste imprese.
Un aspetto che merita una particolare attenzione è poi quello delle grandi differenze esistenti tra le associazioni per dimensione economica, struttura organizzativa, numero di aderenti. Squilibri che impongono di differenziare vincoli e oneri. Pur nel quadro di principi unitari, non possono valere le stesse regole per i grandi e per i piccoli. Nel riordino fiscale andrà fatta chiarezza sulla definizione di ente non commerciale e sul trattamento di quelle attività economiche accessorie connesse ai fini istituzionali. Questa è una questione rilevante, perché quelle attività sono il mezzo con cui tante associazioni autofinanziano le proprie iniziative sociali lodevoli, pur senza attingere in nessun modo a risorse pubbliche. Servono vincoli stringenti, quindi, e soprattutto servono regole più chiare, perché non va bene che chi si impegna per il bene comune rischi di incorrere in qualche inadempienza solo perché le norme spesso sono di complessa lettura.
Quindi semplificare, poche regole ma chiare, comprensibili a tutti, e verifiche rigorose.
Giustamente, su questo, l'articolo 7, che noi abbiamo introdotto in Commissione, è dedicato proprio ai compiti di vigilanza e controllo. Serve una struttura dotata di adeguate risorse umane e finanziarie, ma anche capace di garantire un costante confronto con il mondo del Terzo settore, attraverso i suoi organismi rappresentativi.
Ritengo – concludo, signor Presidente – che questa riforma sarà tanto più efficace se investirà sulla responsabilizzazione delle formazioni sociali in un rapporto leale e trasparente con le istituzioni e saprà mobilitare tante più energie se sceglierà di investire sulle potenzialità economiche di questi enti ma anche sulla loro vocazione solidaristica, su quella dimensione partecipativa e popolare che rappresenta da sempre il valore aggiunto del Terzo settore italiano nel contesto europeo.