A.C. 3594-A
Presidente, è la prima volta in assoluto che le risorse stanziate per la lotta alla povertà ammontano a 1 miliardo di euro l'anno, la prima volta. Per l'esattezza già quest'anno, sulla vecchia precedente misura, ancora insufficiente però, sono stanziati 750 milioni; per il 2017, 1 miliardo 30 milioni; per il 2018, 1 miliardo 54 milioni. A queste risorse, si aggiungeranno quelle che verranno dal riordino delle prestazioni sociali per la povertà; e mi permetto di aggiungere al presidente dell'INPS che noi siamo orgogliosi di aver tolto dall'assistenza il riordino delle misure della previdenza, perché queste due materie vanno tenute distinte, come succede peraltro in tutti gli altri Paesi.
È un obiettivo raggiunto. Quando leggo all'articolo 1, lettera a): «La misura nazionale di lotta alla povertà – il reddito di inclusione – è un livello essenziale garantito uniformemente su tutto il territorio nazionale», dico che abbiamo fatto assai di più di un primo passo.
Vorrei ripercorrere le tappe di questo lungo percorso: 1998, sperimentazione in 39 comuni del reddito minimo di inserimento; anno 2000, legge n. 328, articolo 23, il reddito minimo di inserimento. Tutto accantonato e cancellato nel 2007, per essere sostituito dalla social card agli ultrasessantacinquenni, legata per di più allo stigma del girare con la card ! E mi permetto di ricordare all'onorevole Simonetti che se c’è una misura che ha cancellato i comuni è la social card; mentre noi rimettiamo i servizi sociali comunali al centro di questa nostra operazione: senza dei buoni servizi non si fa inclusione sociale.
Non è il reddito di cittadinanza, lo diciamo tranquillamente: è un'altra cosa. Il reddito di cittadinanza peraltro chi mi ha preceduto l'ha spiegato molto bene: in tutta Europa quello che c’è è il reddito minimo, legato alla prova dei mezzi, cioè semplicemente e banalmente, alla necessità di dover dimostrare che non si ha il reddito sufficiente per poter mantenere la propria famiglia; e questo avviene in tutti i Paesi.
2012: introduzione del SIA sperimentale, e cioè in dodici comuni proviamo a mettere alla prova i servizi sociali, diamo alle famiglie con le maggiori difficoltà un'integrazione al loro reddito. E adesso, finalmente, il passaggio al reddito di inclusione. C’è un filo conduttore dagli anni Novanta ad oggi, e una serie di passaggi di testimone: io vorrei dirlo anche e prima di tutto ai colleghi e alle colleghe di questo gruppo, a cui ho l'onore di appartenere, perché questo filo conduttore è una delle anime che dà continuità e che ci unisce come PD.
Che cos’è il reddito di inclusione ? È un'integrazione al reddito familiare, ed è la messa in campo di una serie di azioni attive dei servizi, dei centri per l'impiego, della sanità, ma anche che sono richieste alla famiglia del beneficiario: dal mandare i figli a scuola ad essere disponibili a trovare e a mettersi alla ricerca di un lavoro. È un'integrazione al reddito della famiglia, non un trasferimento monetario al singolo; e sì, è un primo passo, però non credo che noi saremo mai disponibili a dare 750 euro a testa, quando dovremmo spiegarlo ai tanti italiani che per 1000 euro lavorano 40 ore a settimana. Un reddito familiare e un reddito a sostegno delle famiglie con figli, e l'ISTAT oggi ha confermato che questa è la platea che ha risentito di più della crisi; presa in carico dei servizi comunali, possibilmente in un ambito associato, perché lavorando insieme c’è più possibilità di integrazione, in collaborazione con i centri per l'impiego – e quando diciamo con la sanità, intendiamo la salute mentale, la neuropsichiatria, i servizi per i disabili eccetera –, la scuola, la scuola che è fondamentale per poter uscire dalla condizione di povertà e il terzo settore e voglio, qui, ricordare che noi siamo debitori tutti di avere anche ascoltato, recepito la grande sollecitazione dal basso venuta dall'Alleanza contro la povertà. Ed è un bene che il Parlamento risponda positivamente a sollecitazioni che vengono da chi, concretamente, lavora sul campo.
Ebbene, è un intervento graduale, un primo stanziamento di risorse, dovremo continuare a intervenire ancora. Abbiamo dovuto fare delle scelte, delle scelte di priorità, da cosa partire; era difficile fare questa scelta, noi, su indicazione di una mozione approvata all'unanimità da questo Parlamento, siamo partiti dalle famiglie con figli, dalle famiglie con persone con disabilità grave, dagli ultracinquantenni che hanno perso il lavoro. Allora, guardiamole insieme le misure che abbiamo fatto in questi ultimi due anni: la misura del bonus bebé, pur criticabile, ha però portato nelle tasche delle famiglie con redditi bassi 160 euro al mese, per le famiglie che hanno tre figli c’è l'assegno per il terzo figlio, nella legge di stabilità abbiamo previsto 100 milioni per la lotta alla povertà educativa; se le guardiamo tutte insieme capiamo che noi al primo posto ci siamo dati un grandissimo obiettivo: fare uscire dalle condizioni di povertà un milione di bambini in Italia.
Ci attendono ancora ulteriori passaggi, ci attendono ulteriori impegni, sappiamo bene che questo intervento sulla povertà è un intervenire sul danno, sulle conseguenze; quello che bisogna fare è continuare a sostenere la possibilità che ci sia una ripresa economica e ci siano posti di lavoro, ma questo non toglie la necessità di intervenire nei confronti di chi sta male, oggi, e chiede il nostro aiuto. Per questo annuncio il voto favorevole del Partito Democratico.