Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 24 Giugno, 2019
Nome: 
Andrea Rossi

A.C. 1603-bis-A

Grazie, Presidente. Subito, in apertura, intanto mi sia consentito ringraziare il relatore Belotti e il presidente della Commissione, Gallo, perché in queste settimane, senza mai sottrarsi alle richieste di audizione, il confronto con i rappresentanti di diversi autori dello sport italiano ha consentito a noi commissari, dopo un anno di insediamento della legislatura, di poter acquisire conoscenze e informazioni su CONI, federazioni nazionali, discipline sportive associate, su enti di promozione sportiva, associazioni e diverse categorie sportive. Ed è proprio con queste audizioni che si è rafforzato in noi, forte, il pensiero di come il provvedimento in discussione oggi in Aula rappresenti un movimento non positivo per il sistema sportivo italiano. È un disegno di legge, questo, che assegna al Governo più di dieci potenziali deleghe legislative e, per farne capire l'importanza, le voglio citare tutte qui. La prima, delega per il riordino del Comitato olimpico nazionale italiano; la seconda, delega per il riordino della disciplina del limite dei mandati negli organi direttivi delle istituzioni sportive; la terza, l'istituzione dei centri sportivi scolastici; la quarta, l'introduzione della disciplina per il trasferimento del titolo sportivo; la quinta, delega per il coinvolgimento dei tifosi negli organi societari delle società sportive; la sesta, delega per la revisione della legge 23 marzo 1981, n. 91; la settima, delega per il riordino della disciplina della mutualità nel settore dello sport professionistico; l'ottava, delega per il riconoscimento del valore giuridico della laurea in scienze motorie; la nona, delega per il riordino delle disposizioni in materia di rapporti di rappresentanza degli atleti e delle società sportive; la decima, delega per il riordino e le riforme delle norme in materia di sicurezza e per la costruzione e la ristrutturazione e il ripristino degli stadi; l'undicesima, la delega per la semplificazione di adempimenti degli ordinamenti sportivi; la dodicesima, la delega per la revisione delle disposizioni in materia di sicurezza delle discipline sportive invernali.

Prima di entrare, quindi, nel merito di alcune valutazioni, puntuali, riferite a queste singole deleghe e ai singoli articoli, vorrei però portare all'attenzione di quest'Aula quelle che sono tre valutazioni di premessa sul provvedimento, quelle che definirei un po' alcune considerazioni preliminari di insieme per definire il quadro generale di questa legge delega.

Il primo: stiamo affrontando, oggi, una discussione in totale assenza di pianificazione delle politiche sportive; emerge con chiarezza come questo disegno di legge sia frutto di un grave errore di pianificazione proprio delle politiche sportive. Con esso, infatti, il Governo ha confessato di aver approvato, nell'ultima legge di bilancio, una riforma monca, che non soltanto avrebbe avuto bisogno di essere meditata meglio, ma che necessitava inderogabilmente di alcuni passaggi preliminari, anche sul piano normativo. Infatti, con la legge di bilancio 2019, con i commi 629 e seguenti, che sono stati già citati, è stata trasferita grossa parte delle risorse che annualmente alimentano il movimento sportivo italiano dalla CONI Servizi Spa, che è un ente controllato dal CONI, alla Sport e salute Spa che a sua volta, viceversa, viene messa sotto il controllo diretto del Governo. Con questa manovra sono stati attribuiti, infatti, appena 40 milioni di euro al CONI, al Comitato olimpico nazionale, per il finanziamento delle spese relative al proprio funzionamento e alle proprie attività istituzionali, nonché per la copertura degli oneri relativi alla preparazione olimpica e a supporto alla delegazione italiana. Alla Sport e salute Spa è stato assegnato, invece, un contributo annuo non inferiore a 378 milioni di euro, per lo svolgimento di tutte le funzioni diverse da quelle assegnate esplicitamente al CONI. Una scelta, quella di modificare l'assetto organizzativo dell'ordinamento sportivo nazionale italiano non concordata con le parti, di volontà governativa, che va a intaccare nel profondo l'opportunità primaria di riformare lo sport italiano. Questa scelta, vedete, non si basa su una profonda ristrutturazione promossa dagli attori principalmente e quotidianamente coinvolti nella gestione dello sport italiano, ma è una riforma che arriva appunto, come abbiamo ritenuto noi, nella legge di bilancio, calata dall'alto: un metodo non condivisibile se si tocca un settore come lo sport.

In pratica, la riforma sembra poggiare su una risistemazione dei rapporti tra CONI e Governo e la Sport e salute Spa in base alla quale al primo sarebbero state attribuite esclusivamente le funzioni di preparazione olimpica e di supporto alla delegazione italiana e al secondo sarebbe stata assegnata ogni altra funzione in materia di sport.

Mettendo, poi, nero su bianco che il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi per il riordino del Comitato olimpico nazionale italiano e della disciplina di settore, definendo in particolare gli ambiti dell'attività del CONI, come delle Federazioni sportive nazionali e degli organismi sportivi, come da lettera d) dell'articolo 1 del disegno di legge, l'Esecutivo certifica, quindi, il proprio errore di prospettiva: prima di spogliare il CONI del 90 per cento - e dico: 90 per cento! - delle risorse che gli erano state fino a oggi attribuite, sarebbe stato non soltanto opportuno, ma addirittura doveroso delimitare gli ambiti di attività del CONI e delle Federazioni preoccupandosi, prima che delle risorse, delle competenze.

Poi, la seconda premessa. L'intero disegno di legge sembra affetto da quel “male incurabile” che ormai troppo spesso caratterizza l'attività normativa: l'eccesso di legislazione. Il Governo non ha fatto altro che selezionare gli unici ambiti tematici sui quali intende mettere mano e su di essi si sta limitando a domandare al Parlamento la concessione di una delega legislativa, senza mai preoccuparsi di verificare lo stato dell'arte.

Infatti, con questo disegno di legge il Governo sta chiedendo di essere delegato in molteplici ambiti nei quali non vi è alcuna necessità di nuove norme per il semplice fatto che le norme già ci sono. A volte, si tratta di norme che devono soltanto essere attuate, altre volte, è possibile che abbiano bisogno di alcune piccole sistemazioni, senza alcun bisogno di mettere in campo operazioni di riordino complessivo.

In particolare, in almeno quattro ipotesi non vi sarebbe alcun bisogno di delega: la prima, la materia della costruzione e della ristrutturazione di impianti sportivi, sulla quale si è intervenuti di recente, con il decreto-legge n. 50 del 2017; la seconda, la disciplina della rappresentanza delle società e degli atleti, sulla quale non soltanto si è intervenuti con la legge di bilancio 2018, ma di cui ci sono già pure i decreti attuativi; la terza, la disciplina della mutualità nello sport professionistico, già riformata nel 2017 e, l'ultima, infine, la disciplina del limite dei mandati negli organi di vertice delle istituzioni sportive, integralmente rivista con la legge n. 8 del 2018.

E, poi, c'è il terzo aspetto di queste premesse che riguarda le prerogative del ruolo che noi svolgiamo, come ricordava anche prima il collega Mollicone, in quest'Aula, ed è un po' l'atteggiamento che ha l'Esecutivo nei confronti di questo Parlamento, che vede un uso diffuso di deleghe in bianco, recanti criteri e principi confusi, che una volta approvate non potranno avere altro effetto che quello di consentire al Governo la sua massima libertà.

E quando in fase emendativa si è cercato, come abbiamo provato, di vincolare con parametri o indicazioni maggiormente stringenti le stesse deleghe, non abbiamo riscontrato, da parte dei nostri interlocutori di maggioranza, valutazioni positive.

Mi spiego meglio. Prima, si è parlato di fare in modo che ci fosse la certezza, rispetto alle federazioni, dei contributi sportivi, dei contributi del CONI, della Sport e Salute Spa, che ci fosse la trasparenza, che ci fosse, quindi, chiarezza su dei parametri oggettivi che potevano essere il numero degli atleti, dei tesserati, il numero di quello che è stato il medagliere nelle diverse discipline; abbiamo, quindi, cercato di vincolare, di fare in modo che ci fossero dei criteri per riconoscere quei contributi alle federazioni e non abbiamo ricevuto risposta positiva. Oppure, ad esempio, in queste settimane, tutti quanti siamo attratti dallo sport femminile, attraverso i mondiali di calcio, tutti quanti parliamo, giustamente, di pari opportunità e abbiamo provato a modificare la legge n. 91 del 1981 sul professionismo sportivo, appunto, cercando di ampliare a quello che era il settore dello sport femminile anche la normativa attualmente presente esclusivamente per i professionisti in ambito maschile, ma anche lì non abbiamo raccolto, da questa maggioranza, ovviamente, la volontà di entrare in una situazione, giustamente, di deleghe più stringenti.

Quindi, noi abbiamo cercato, in queste settimane, di portare una posizione che, come dicevo prima, prima di tutto, cercasse di salvaguardare quell'importante patrimonio che oggi è lo sport nel nostro Paese, un patrimonio che, come è stato ricordato, è fatto di tante persone che, soprattutto, lo fanno in modo volontario, un patrimonio di società, un patrimonio che rappresenta, per tante realtà del nostro territorio, anche la possibilità di uscire dall'emarginazione sociale, mettendo insieme la dimensione agonistica dello sport con la dimensione più educativa, più sociale, la dimensione più ricreativa.

Ecco, questo è stato un po' il nostro intento, l'intento di chi si è mosso in queste settimane nella discussione all'interno della Commissione, per quanto riguarda la discussione di questa legge delega.

E, allora, adesso, vorrei entrare sulla base di questo intento, su due o tre articoli che ritengo più importanti e che rappresentano un po', come dire, il cuore del provvedimento, a partire dall'articolo 1.

Con l'articolo 1, appunto, in quelle disposizioni che vanno dalla lettera a) alla lettera h), come dicevamo in precedenza nelle premesse, il Governo chiede una delega al Parlamento per essere delegato ad adottare uno o più decreti legislativi per il riordino del Comitato olimpico nazionale italiano. In particolare, oltre ad una serie di riferimenti generici al riordino della disciplina esistente, il Governo si propone di definire gli ambiti dell'attività del CONI, delle Federazioni sportive nazionali e degli organismi sportivi, nel tentativo di dare attuazione alla riforma realizzata nell'ultima legge di bilancio, come dicevamo appunto, col passaggio delle risorse da CONI Servizi Spa a Sport e Salute Spa.

Dagli otto criteri di delega sembra emergere la duplice idea, da parte del Governo, di uno svuotamento, da un lato, del CONI, che viene relegato, appunto, alla sola preparazione olimpica e di un vero e proprio annientamento delle sue articolazioni territoriali. Dal primo punto e, quindi, dallo svuotamento del CONI, non soltanto si limitano i poteri di controllo e di intervento nei confronti delle federazioni alle sole ipotesi di gravi violazioni e di rischio per il regolare svolgimento delle competizioni e di constatata impossibilità di funzionamento, ma si afferma pure la piena autonomia gestionale e contabile delle federazioni, investendo di conseguenza il collegio dei revisori della Sport e Salute Spa del controllo sulla regolarità contabile nell'uso delle risorse stesse.

La scelta, quindi, di relegare il CONI alla sola preparazione olimpica, a legislazione invariata, e parlo con riferimento a quello che è il decreto legislativo conosciuto con il nome dell'ex ministro Melandri, che è il n. 242 del 1999, rappresenta ovviamente, tra, appunto, l'idea di relegarlo alla sola preparazione olimpica e mantenere la situazione invariata, un'evidente contraddizione, perché, come si dice, viene limitata alla preparazione olimpica questa impostazione e contestualmente, in base al decreto citato, l'attività istituzionale del CONI, che è talmente ampia ed omnicomprensiva da racchiudere in sé ogni funzione e competenza legata all'attività sportiva nazionale. Anzi, come ha ricordato anche prima il collega Mollicone, mi spingerei oltre, ritenendo tale delega in contrasto con la Carta olimpica del CIO e con il ruolo che la stessa attribuisce a ogni comitato olimpico.

Nel secondo punto, dicevo, si limitano le funzioni delle articolazioni territoriali del CONI alle sole funzioni di rappresentanza istituzionale.

Chi ha svolto nella sua attività politica il ruolo di amministratore pubblico non può che ritenere inammissibile l'ottavo criterio di delega, con il quale si assiste a un vero e proprio attacco frontale alle articolazioni territoriali del CONI che svolgono un eccellente lavoro di raccordo tra l'organo centrale e gli enti locali, a partire innanzitutto dalle regioni, ma sono anche soggetti proattivi nella promozione di iniziative ed eventi a fini sportivi e sociali. Limitare l'attività dei CONI territoriali alla sola rappresentanza istituzionale finirebbe per distruggere questo enorme patrimonio di relazioni e collaborazioni, in nome di un centralismo antistorico.

Sempre nel primo articolo, si torna ad intervenire sulla disciplina del CONI, contenuta nell'articolo 1, lettera i), che è la delega per il riordino della disciplina del limite dei mandati negli organi direttivi delle istituzioni sportive. Il Governo in pratica chiede al Parlamento di essere delegato a provvedere al riordino della disciplina in materia di limiti di rinnovo dei mandati per quanto riguarda la legge 11 gennaio 2018, n. 8, nonostante, appunto, e ce lo ricorda la data, questa sia una recente deliberazione di quest'Aula che proprio con la legge n. 8 del 2018 ha fissato in tre il numero massimo dei mandati. Si tratta di una delega che noi riteniamo inutile; infatti, questa scelta è fortemente in armonia con la normativa CONI e con quella che è la maggior parte delle cariche direttive delle istituzioni dove appunto viene previsto il limite dei tre mandati.

Prendendo, quindi, di buono quanto è stato detto in Commissione dal sottosegretario Giorgetti - sul quale ovviamente il giudizio è quello di dire: non vogliamo rivedere il limite dei tre mandati, ma intervenire sulla dimensione territoriale, essendo a conoscenza che per alcune discipline, a livello territoriale, questa normativa diventa per numero di iscritti difficilmente applicabile - mi chiedo, però, perché non ci sia stata la volontà, da parte di questa maggioranza, di voler assumere l'emendamento che, appunto, introduceva all'interno della stessa delega la differenziazione tra le articolazioni a livello nazionale e le articolazioni a livello territoriale, consapevoli, come noi siamo, che alcune federazioni di alcune discipline possono riscontrare alcuni problemi per trovare il personale dirigente che possa assumere questa carica. Quindi, se ci fosse stata o se ci sarà da parte di questa maggioranza la volontà, in quest'Aula, di trovare un punto di sintesi, da parte nostra c'è tutta la disponibilità per dare attuazione a quello che, appunto, anche il sottosegretario Giorgetti aveva portato all'interno della sua audizione in Commissione.

Poi, c'è l'articolo 3. L'articolo 3 è quello che propone la disciplina del titolo sportivo e che anche qui non riusciamo a condividere per almeno due ragioni, nonostante, come dire, sia ben chiaro in noi il problema delle garanzie dei creditori su eventuali stati di insolvenza delle società sportive stesse. La prima è che questa norma è figlia di una mentalità dirigista e dell'idea che lo sport, anzi le società sportive siano patrimonio pubblico. Lo Stato deve proteggere lo sport, deve tutelare, deve lavorare per migliorarlo, ma non se ne deve impadronire. In un ordinamento che ha nella libertà di iniziativa economica dei privati uno dei suoi capisaldi fondamentali - e cito l'articolo 41 della Costituzione - lo Stato non può decidere quanto si possa far pagare un determinato bene o un altro: sarà l'autonomia negoziale a determinare il valore di un bene o di un servizio. Allo stesso modo, lo Stato non può, attraverso l'autorità giudiziaria, imporre alle società sportive un certo valore del marchio, perché quel marchio ha natura privata e se il proprietario se lo vuole vendere a uno, a due o a mille ovviamente è la Costituzione che gli garantisce di poterlo fare.

Ma al di là di queste considerazioni, ve n'è un'altra che probabilmente non è stata tenuta in debita considerazione. La determinazione del valore di un marchio da parte dell'autorità giudiziaria rischia di comportare l'incommerciabilità di fatto del marchio stesso. Se l'autorità giudiziaria, tenendo conto della storia di una società sportiva, determina un valore del marchio che è di fatto fuori dal mercato e insostenibile per qualsiasi operatore, quale sarà il risultato? Che nessuno acquisterà quel marchio. Con quale conseguenza? Che quel marchio, invece di risultare protetto da questa norma, finisce per esserne la vittima sacrificale.

Inoltre, la materia oggi è interamente regolamentata dall'ordinamento sportivo, come giustamente ricordava il relatore Belotti, ed è la prima volta che l'ordinamento delega al Governo una delega di tale argomento. Il principio del titolo sportivo non ha valore economico mentre qui si sta mettendo nero su bianco l'esatto contrario, con tutto quello che comporterebbe per le organizzazioni sportive sia a livello economico sia a livello di immagine e - credo - di valore, creando un mercato nuovo da cui poter attingere di stagione in stagione.

Sull'articolo 4 - quello che era l'articolo 3-bis - relativo a “Organi consultivi per la tutela degli interessi dei tifosi” invece posso dire che è insolito, seppure si comprende la ratio della norma apprezzata dai tanti tifosi delle diverse società presenti sul territorio e questa risulta essere una delega abbastanza singolare. Inoltre, non si capisce per quale ragione - e in tutti i vari processi di delega che noi abbiamo discusso in questo provvedimento ci sono diverse deleghe a maglie larghe - qui invece si entra con una delega molto stringente, perché noi, in pratica, abbiamo già introdotto con questo articolo 4 addirittura non solo il fatto della partecipazione dei tifosi in organi consultivi delle società delle società sportive ma oltretutto diciamo anche che devono essere non meno di tre e non più di cinque, diciamo che devono essere abbonati alla società sportiva, diciamo che devono rappresentare veramente i tifosi e i loro interessi all'interno degli organi societari e, oltretutto, diciamo anche che devono passare attraverso la votazione online. Ecco, siamo di fronte al fatto che abbiamo messo in campo deleghe a maglie larghe e qui, invece, introduciamo una delega, proprio sul tema della partecipazione dei tifosi alle attività all'interno di organi societari, con elementi fortemente stringenti.

Poi, vengo all'articolo 5, che concerne la delega a quella che è la tanto attesa riforma del professionismo sportivo. Al fondo di questa misura, in particolare, la riforma che il Governo immagina in materia di professioni sportive diciamo che si basa su tre capisaldi: il primo caposaldo è il superamento del binomio dilettantismo/professionismo; il secondo, è la costituzione della figura del lavoratore sportivo; il terzo, è la previsione che tutti i lavoratori sportivi debbano godere di una copertura non soltanto assicurativa ma anche previdenziale.

Si tratta - quella che ci viene proposta oggi - di una soluzione tecnicamente complessa che impone un pesantissimo lavoro di revisione di tutte quelle disposizioni, in particolare di natura tributaria, che hanno come presupposto proprio la natura dilettantistica della prestazione. Si dovrebbe, cioè, riscriverle tutte, abbandonando il paradigma rappresentato dalla dicotomia tra dilettantismo e professionismo, generando così un gravissimo effetto spiazzamento per gli operatori del settore.

È del tutto evidente che nessuno può essere contrario all'ampliamento delle garanzie in favore dei lavoratori dello sport e, in particolare, di quei lavoratori dello sport di base dove più facilmente si annidano illegalità e assenza di garanzie specialmente per i giovani. È, però, la prospettiva di fondo della riforma che dal nostro punto di vista non può essere condivisa. Quello dello sport amatoriale-dilettantistico è un settore composito nel quale convivono anime molto diverse tra loro: vi operano soggetti che prestano la loro attività in favore delle associazioni e delle società sportive come attività principale, è vero, ma vi operano pure un'enorme quantità di persone che lo fanno come attività di volontariato e come “passatempo” con piccoli rimborsi spesa. E anzi questa seconda componente in certi settori è molto ma molto più ampia della prima. Diciamo che - come dicevo prima - rappresenta un po' quel valore sociale dello sport nel nostro territorio.

Si può dire, quindi, che in certi settori lo sport amatoriale si basa proprio, in virtù di queste esperienze, sull'attività di volontariato. È questa la ragione per la quale da tempo il nostro ordinamento riconosce la specificità dello sport e consente che a questi soggetti, che operano giocoforza senza copertura previdenziale, possa essere riconosciuto da parte delle società sportive un rimborso spese esentasse.

Ora, è interesse di tutti quello di combattere l'illegalità ed evitare che di quelle norme si approfitti chi, in realtà, sta utilizzando forza lavoro. Chi lavora, ci mancherebbe, nello sport, come in qualsiasi altro settore, deve pagare l'imposta sul reddito e ha diritto alla copertura previdenziale oltre che assicurativa. Ma neppure si può pensare che per eliminare quella stortura che si è venuta creando nel corso degli ultimi anni, e cioè, come detto, il ricorso ai rimborsi spese esentasse per la remunerazione dei soggetti che lavorano a pieno titolo, si possa fare di tutta l'erba un fascio e dire che tutti coloro che operano nel mondo dello sport dilettantistico lo fanno in qualità di lavoratori dello sport.

E poi in questo articolo sul professionismo c'è anche una delega, invece, per il riconoscimento giuridico della laurea in scienze motorie. Con questa misura in pratica il Governo chiede di essere delegato ad approvare delle disposizioni finalizzate al riconoscimento giuridico della figura del laureato in scienze motorie, senza alcuna ulteriore precisazione. E io mi chiedo: ma cosa vuol dire il riconoscimento giuridico? Io penso che più che riconoscimento giuridico in quest'Aula dovremmo iniziare a costruire le condizioni affinché si possano dare risposte concrete ai tanti laureati in scienze motorie, risposte concrete soprattutto che abbiano un fine occupazionale.

Noi avevamo cercato di mettere in campo, anche in quest'ultima legislatura, quattro provvedimenti significativi che andavano in quella direzione. L'ultimo, in questa legislatura appunto, è stato la delega al Governo, delega appena approvata da quest'Aula, in materia di insegnamento curriculare dell'educazione motoria nella scuola primaria, riservando, appunto, l'insegnamento dell'educazione motoria nella scuola primaria, a seguito di superamento di specifiche procedure concorsuali abilitanti, a soggetti in possesso del titolo di laureato in scienze motorie ed equipollenti, confidando, quindi, che proprio su questa delega vengano quanto prima destinati i 10 milioni di euro che la sperimentazione dell'insegnamento dell'educazione motoria nelle scuole comportava.

Nella passata legislatura, invece, si era innalzata la no tax area degli sportivi dilettanti - quella che è la “soglia Pescante” - da 7 mila 500 euro a 10 mila euro (gli istruttori di palestra, così come gli allenatori delle squadre dilettanti sono in larga parte inquadrati come collaboratori occasionali e, quindi, beneficiano di questa misura).

La terza possibilità, sempre nella precedente legislatura, era costituita dal fatto che si è riservata una quota pari al 5 per cento dell'organico del potenziamento per l'educazione motoria nelle scuole primarie, consentendo, per la prima volta in Italia, l'inserimento degli insegnanti di educazione motoria nell'organico delle scuole primarie e riconoscendo un valore senza precedenti alla laurea in scienze motorie, che è diventata così il percorso di studi istituzionalmente riconosciuto e preordinato a questo tipo di carriera.

Nel quarto, che poi è stato cancellato dal primo decreto fatto da quest'Aula che è il “decreto dignità”, si era previsto l'obbligo per le società sportive dilettantistiche lucrative di assumere laureati in scienze motorie nel ruolo di responsabile dell'area sportiva delle palestre. Ecco, appunto come dicevamo, mettere in campo non tanto il riconoscimento giuridico ma mettere in campo delle proposte concrete per dare una risposta a un'importante quantità di persone che si trovano, in questo momento, un titolo di studio che necessita di trovare ovviamente, come dicevamo prima, sbocchi professionali.

E, poi, c'è l'articolo 6. In questo caso noi la reputiamo una delega completamente inutile e non può certo sfuggire al Governo che c'è stata una riforma degli agenti sportivi fatta esattamente nel 2018. Cosa si può fare ancora oggi? C'è da riordinare? C'è da fare il codice etico degli agenti? C'è la questione della trasparenza della transazione tra agenti, società e sportivi per quanto riguarda le transazioni finanziarie? Bisogna derogare il registro degli agenti professionali, introdotto proprio dopo un processo di liberalizzazione? Oltretutto, come dire, anche su questo argomento del registro ricordiamo che si è appena conclusa la tornata di abilitazioni per l'esercizio della professione. Ecco, se ci fosse veramente da mettere in campo un processo di riordino, ci sarebbe una possibilità molto semplice per questo Governo, che è quella, appunto, di fare in modo che si possa correggere quanto è stato fatto. Questo lo può fare senza chiedere una delega a questo Parlamento: lo fa attraverso quelli che possono essere interventi mirati, lo può fare attraverso una legge ordinaria e, soprattutto, lo dovrebbe fare qui coinvolgendo quelli che sono gli attori principali, quali i rappresentanti degli agenti, le associazioni degli atleti e le società sportive.

E, infine, l'ultimo punto sul quale ovviamente mi soffermo in conclusione di questo primo intervento in discussione sulle linee generali: l'articolo 7, che è la delega per il riordino e la riforma delle norme in materia di sicurezza e per la costruzione, la ristrutturazione e il ripristino degli stadi. Il Governo chiede a questo Parlamento di farsi delegare all'adozione di uno o più decreti legislativi “per il riordino e la riforma delle norme di sicurezza per la costruzione e l'esercizio degli impianti sportivi, nonché della disciplina relativa alla costruzione di nuovi impianti sportivi, alla ristrutturazione e al ripristino di quelli già esistenti”. In particolare, come ci ricordava anche prima Belotti, l'obiettivo principale di questa delega è quello di semplificare e accelerare le procedure amministrative, nonché la riduzione dei termini procedurali.

Anche qui, l'ho ricordato nelle premesse, vorrei far presente che in questo momento c'è una disciplina esistente: una prima volta è intervenuto il comma 304 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, la cosiddetta legge Nardella, e la seconda volta l'articolo 62 del decreto-legge n. 50 del 2017, o meglio la cosiddetta legge Lotti.

Con queste due leggi noi siamo convinti che sia stato fatto tanto in questo Paese in termini di semplificazione e accelerazione delle procedure, almeno entro i limiti consentiti dal diritto dell'Unione europea e dal codice degli appalti. Pertanto, sarebbe opportuno che il Governo indicasse le modalità attraverso le quali intende realizzare questi obiettivi, perché, altrimenti, siamo ancora all'ennesima delega inutile, che può forse essere buona per motivi di propaganda elettorale, ma che non avrà certo la capacità di incentivare l'ammodernamento del patrimonio impiantistico sportivo del nostro Paese.

Su questo tema, però, occorre sgombrare il campo da un luogo comune: non è vero che in Italia gli stadi e gli impianti sportivi non si fanno per colpa della lentezza delle procedure amministrative. In questo Paese, purtroppo, gli stadi non si fanno innanzitutto per mancanza di risorse; quindi, quello che si può fare, e su questo siamo d'accordo, è mettere a punto politiche fiscali che incentivino i privati a investire nell'impiantistica sportiva, come peraltro si era cominciato già a fare, anche qui, nella scorsa legislatura con lo sport bonus, fortemente voluto dal Ministro Lotti.

Chiedo scusa, quindi, se quest'ultima parte del mio intervento sia risultata molto di dettaglio tecnico - avremo modo, poi, di portare valutazioni più politiche, a partire dalle prossime sedute di Aula durante il dibattito che si svolgerà in questi giorni - ma ho voluto sottolineare alcuni punti su cui abbiamo cercato di introdurre emendamenti e proposte per compiere un lavoro in Commissione più stringente delle deleghe in bianco che, in certi casi, con questo disegno di legge, stiamo dando al Governo. Noi non siamo contrari a un processo riformatore, così come siamo consapevoli di alcuni limiti che interessano questo importante mondo; proprio per questo abbiamo sempre cercato di portare all'attenzione del Governo, nei pochi momenti di confronto, come un settore come quello dello sport avrebbe necessitato di più tempo, di più partecipazione, di più concertazione e, sicuramente, di più condivisione, partendo, a nostro avviso, dalla volontà, sottolineata anche dalle altre forze politiche, di promuovere e realizzare da questo Parlamento una nuova legge quadro sullo sport che sia più rispondente ai bisogni degli attori in campo.

Chiudo, Presidente, con una speranza: tra poche ore avremo la possibilità - anche qui lo ricordava chi mi ha preceduto - di riprenderci una rivincita assolutamente sportiva con la Svezia, soprattutto dopo l'eliminazione ai Mondiali 2018. Ecco, vorrei con tutto il cuore, seppur nelle diversità di giudizio e di pensiero su questa legge che abbiamo noi dall'opposizione e chi oggi sta in maggioranza, poter festeggiare insieme a breve quella che sarà l'assegnazione a Milano-Cortina 2026 dell'Olimpiade invernale, perché sarà non tanto una vittoria di parte in questo caso, ma sarà una vittoria del sistema Paese, che, quando si mette in campo e gioca con la stessa maglia, può ottenere e speriamo riesca a ottenere vittorie e risultati importanti