Discussione sulle linee generali
Data: 
Mercoledì, 2 Novembre, 2016
Nome: 
Roberto Rampi

A.C. 4080

Presidente, colleghi, il primo tema che ci dobbiamo porre, credo, dopo un dibattito interessante che è entrato nel merito in maniera puntuale del provvedimento, è: perché lo Stato italiano, perché il Parlamento decidono di promuovere un provvedimento sul cinema ? Qual è la funzione, qual è lo scopo ? E lo scopo, vedete, lo sottolineo, è plurimo: perché noi stiamo sicuramente intervenendo su un grande comparto imprenditoriale italiano, stiamo intervenendo su lavoro, lavoro di tante persone, sostegno al lavoro di tante persone; e questo è giusto ed importante, tante norme lo fanno. Però stiamo lavorando anche su qualche cos'altro: siamo su lavorando ad un comparto della cultura, stiamo lavorando a quel comparto della cultura che lavora sull'immaginario. 
Vorrei partire da questa parola. È stato detto bene dagli interventi precedenti: il cinema italiano ha saputo produrre immaginario, raccontare un Paese, raccontare la trasformazione di un Paese, e dare anche una speranza, una visione, un disegno, un indirizzo a quel Paese. Lo ha fatto con la libertà dell'arte, lo ha fatto con la capacità dell'arte di andare in profondità, e lo ha fatto con una cifra tipica italiana, che io direi di leggerezza calviniana, nel saper raccontare anche i drammi, nel saper raccontare la trasformazione antropologica di un popolo che dalla povertà andava verso il benessere e rischiava di perdere pezzi delle proprie radici e di confondersi dentro quel benessere; e quanto in questi giorni, in questi mesi, in questi anni, a volte pensiamo che lo abbia saputo fare con profezia, perché purtroppo molti dei problemi che quegli autori, quegli scrittori di cinema, quei registi, quegli attori avevano saputo vedere sono il nostro presente – ma loro li vedevano come futuro. 
Uno dei nodi allora di questa legge, a cui io credo il Parlamento debba dare una risposta, è: questa legge aiuta, è in grado di creare le condizioni ? Perché se ci sono oggi in Italia altrettanti talenti, nuovi talenti, nuovi linguaggi, nuove estetiche, nuove capacità di raccontare il Paese, il Paese dell'oggi e il Paese di domani, lo Stato, il Parlamento, la legislazione, il Governo tendono una mano a questi nuovi talenti e provano ad aiutarli ad alzarsi e ad arrivare ad un pubblico ? E dico «arrivare ad un pubblico» perché è uno dei nodi della discussione, positiva, prevalentemente positiva: raramente sentiamo una discussione così positiva, non solo in Parlamento, ma nelle audizioni e nel mondo fuori. Uno dei nodi, però, è questo: noi sosteniamo l'industria cinematografica, lo facciamo con risorse interne a quell'industria, ma raddoppiando le capacità e la disponibilità economica e raddoppiandola come disponibilità di base, mettendo le condizioni – lo ha detto la relatrice – per andare anche oltre, se sarà possibile. Però, in particolare con l'articolo 26, ci poniamo il tema di intervenire laddove quest'industria non sia ancora matura, laddove ci siano nuove produzioni, giovani produzioni, nuovi talenti, film difficili; lo facciamo con il coraggio di rivendicare anche una funzione non solo di automatismi, ma di scelta discrezionale, perché, se dobbiamo lavorare su nuove estetiche, se dobbiamo lavorare su film difficili, dobbiamo avere il coraggio di scegliere, di essere discrezionali, perché i meccanismi automatici non funzionano in quell'ambito. Lo facciamo, però, dicendo che vogliamo portare quei film difficili, quelle nuove estetiche, quei ruoli che qualcuno ha definito giustamente minoranze, ad essere maggioranza. Noi abbiamo un'idea della minoranza che non vuole rimanere minoranza, che non vuole crogiolarsi nell'essere minoranza, che non vuole divertirsi nell'avere poco pubblico, che non considera un peccato o una perdita della propria qualità artistica diventare popolare e arrivare a grandi pubblici. Questo è un nodo, è una svolta culturale, di questa legge, perché l'idea che non sia solo il giudizio del pubblico importante, che non siano solo i numeri importanti, ma che chi fa arte, chi fa cultura, ha il desiderio, il bisogno, la necessità e svolge una funzione, si arriva ai cittadini e si arriva ai cittadini più semplici. La storia qualificante del cinema italiano è una storia di grandi intellettuali che avevano la capacità di arrivare in maniera semplice anche agli ultimi, anche a coloro che erano incolti dal punto di vista delle lettere, ma in realtà depositari di una grande cultura, che magari non era quella teorica, che magari non era quella dei libri. E questa è la grandezza del cinema, che è stata raccontata peraltro anche da gran parte del cinema stesso, quella capacità di arrivare nelle piazze, nelle campagne e di parlare con il linguaggio dell'immagine, che è un linguaggio semplice, che fin dal Medioevo – adesso, mentre lo dico ho pensato ai fatti tragici di questi giorni e a che cosa abbiamo perso – fin dal Medioevo la funzione dell'immagine non era cinema, era qualche cosa di prima, ma era già quella narrazione iconica che raccontava una storia che serviva a parlare agli ultimi. Ecco, questo è il contenuto profondo, politico di questo provvedimento, che apre uno scenario, che apre tante possibilità, che chiama ognuno alla sua funzione e alla sua responsabilità. Ne voglio accennare solo tre: un ruolo fondamentale lo avrà indubbiamente Rai Cinema, dopo questa legge, perché dovrà svolgere pienamente la sua funzione di servizio pubblico, per raccogliere questi nuovi talenti, questi nuovi linguaggi, a cui questa legge permetterà di esistere, di crescere e, però, aiutarli ad arrivare al grande pubblico. Un ruolo fondamentale, lo citava il collega Palmieri, è l'apertura all'audiovisivo come termine generale, alla fiction, ma anche all'animazione, ma anche al videogamee al linguaggio del videogame e cioè dire – lo abbiamo dato per scontato, è positivo che lo abbiamo dato per scontato, ma scontato non è – che il cinema non è più solo quella forma che si è consolidata storicamente, ma che è cinema tutto l'insieme di un linguaggio che parla per immagini, per suoni, per parole, e in motion, in movimento, in tante forme diverse. Oggi, ad esempio, nel mercato del videogioco c’è tantissimo di quei nuovi talenti, di quei nuovi linguaggi, e per la prima volta trovano spazio. E c’è la funzione della scuola. Noi lo avevamo anticipato nel percorso che abbiamo fatto sulla legge 107, avevamo presentato anche degli emendamenti, che erano passati, per inserire il linguaggio del cinema tra quelle attività che nel rispetto dell'autonomia, però, venissero promosse dalle scuole italiane. Oggi, entrando in questa legge, e venendo sostenuto anche economicamente, questo fa un ulteriore passo avanti. Ho lasciato questo per ultimo, perché, opportunamente, questa legge, come dovrà fare anche quella sullo spettacolo dal vivo, come fanno alcuni provvedimenti importanti del Governo degli ultimi mesi, si pone il problema non solo dell'offerta ma anche della domanda.
Se è vero quello che ho detto prima, che è un approccio culturale, allora noi dobbiamo lavorare nel campo della cultura non solo per sostenere la produzione di prodotti culturali, la nascita di nuovi prodotti, la possibilità di esistere dell'offerta, ma anche rafforzare la domanda e noi in questo punto Paese, un problema di domanda culturale, lo abbiamo. Abbiamo un problema di disparità tra le aree del Paese, abbiamo un problema di disparità rispetto alle famiglie di origine; noi rischiamo che siano sempre gli stessi a fruire delle tante offerte culturali che il Paese propone. Allora, porsi il tema del nuovo pubblico, porsi il tema della domanda, iniziative di incentivo importanti, come quelle del biglietto del mercoledì – è stato citato –, ma soprattutto un lavoro nella scuola, dare agli italiani, e soprattutto partire dai ragazzi, dalle ragazze delle scuole, quella capacità di decriptazione, di comprensione iconografica, di comprensione dei linguaggi, di cui è paradossale – eppure ci sono delle ricerche che lo dicono – che un grande Paese del cinema come l'Italia, riconosciuto a una funzione nazionale e internazionale nel mondo per la sua storia del cinema, oggi manchi. È stata fatta una ricerca fra gli studenti italiani su grandi nomi di registi e di attori del cinema italiano ed è stato svelato un buco di conoscenza che dobbiamo porci come tema, che dobbiamo porci come problema, perché il futuro tiene insieme al passato, alla memoria; è la conoscenza del passato che ci permette di guardare avanti, non ci deve congelare, non ci deve bloccare per la paura di non essere all'altezza dei grandi che abbiamo avuto alle spalle. Questo è un problema che a volte questa nostra Italia ha, però non dobbiamo neanche perdercelo questo passato. 
Arrivo a conclusione, sull'articolo 28, il tema delle sale, che ha a che vedere con la questione della domanda e del nuovo pubblico ed è un articolo a cui io tengo molto. Tra l'altro, lo abbiamo svelato, lo diciamo, noi ci siamo attrezzati come gruppo del Partito democratico per lavorare con i colleghi del Senato, abbiamo fatto una bella e approfondita discussione nei mesi prima dell'estate e abbiamo fatto sì che il testo che arrivasse alla Camera fosse un testo che, per quanto ci riguarda, era già fortemente elaborato, condiviso, aveva recepito direi tutte le nostre osservazioni.  Uno dei punti su cui ci siamo soffermati, e che a me è molto caro, è proprio questo articolo 28, perché si pone il tema – mette delle risorse, non si pone solo il tema – per sostenere le sale cinematografiche, l'apertura di nuove sale cinematografiche, la rinascita di vecchie sale cinematografiche, non solo d'essai, non solo di valore culturale, e si pone l'attenzione specifica delle piccole sale e delle sale dei piccoli comuni, che sono due cose diverse. Ma soprattutto si pone l'orizzonte di sviluppare in Italia luoghi multidisciplinari e multiculturali, dove il cinema, insieme ad altre attività culturali, svolga quella preziosa funzione aggregativa. Tante volte lo abbiamo detto, ma io lo voglio dire in quest'Aula, è vero tutto quello che ho detto prima sulla funzione del cinema, ma il cinema nel cinema, il cinema nella sala cinematografica, svolge una funzione in più rispetto a tutto il resto, perché vuol dire che le persone si trovano, vivono insieme le stesse emozioni, condividono quelle mozioni, ne discutono uscendo, anche senza bisogno di avere i dibattiti del cineforum alla fine – poi se c’è anche quello, non c’è nulla di male –, condividono e quindi è un elemento di costruzione e in alcuni casi di ricostruzione di comunità, che è un elemento importante di cui abbiamo bisogno. 
Ecco, ho provato brevemente a delineare i tanti motivi per cui è giusto che noi interveniamo e i tanti motivi per cui ancora una volta noi oggi facciamo un passaggio che ha un valore – veniva ricordato – ha una storia, non nasce ieri. Sicuramente, se è stato condiviso da più parti politiche, è un elemento positivo, è un punto di forza. Noi stiamo dicendo, in diversi provvedimenti, legando la fiscalità alla cultura e riconoscendo un credito fiscale a chi investe in cultura, che chi fa cultura ha già pagato le tasse in una parte, perché la tassazione è questa, la tassazione è contribuire alla propria comunità e mettere una parte della propria ricchezza nel collettivo, nella funzione sociale comunitaria, e noi stiamo dicendo che chi investe in cultura, chi produce cultura, lo abbiamo detto con l'art bonus, lo abbiamo detto sul tax credit musicale, lo diciamo oggi in maniera potente, potente anche numericamente: con questa legge sul cinema, chi investe in cultura sta già facendo una parte di quel motivo per cui esiste nello Stato moderno, anzi ne è una delle sue basi, la tassazione diffusa, collettiva e, tra l'altro, progressiva.  Ecco, se è vero tutto questo, e io mi permetto di dirlo, le osservazioni che ho sentito, che rispetto e che considero importanti, osservazioni di metodo, soprattutto da una parte politica, di metodo, ed è vero, forma e sostanza, figurarsi se non lo penso, e osservazioni di elementi in più, che sicuramente ci potrebbero essere, però credo che dovrebbero far riflettere dell'opportunità di non perdere la portata di quanto è stato fatto. 
Per quanto riguarda le deleghe – ve lo dico – mi verrebbe da dire: vigileremo anche noi, però in realtà è una parola che non mi appartiene. Noi non vigileremo, noi lavoreremo maieuticamente per arrivare al risultato che ci siamo posti rispetto a una delega, che sicuramente non è in bianco perché qui di scritto c’è molto, ma che sicuramente deve essere attuata nel più breve tempo possibile e nella più grande completezza possibile.