A.C. 2738 ed abb.
L'Assemblea si trova oggi ad esaminare una proposta di legge volta a modificare la disciplina della responsabilità civile dei magistrati, disciplinata dalla legge n. 117 del 1988 (cd. Legge Vassalli), che, approvata successivamente al referendum del novembre 1987 che ha comportato l'abrogazione della previgente disciplina, disciplina l'azione per fare valere la responsabilità civile dello Stato per i danni causati dalla condotta illecita di un magistrato.
Più volte ultimamente il Parlamento si è soffermato su questa materia, specie in occasione dell'esame di alcune leggi comunitarie, ma mai si è trovato così vicino all'approvazione finale di un provvedimento che va ad incidere in maniera tanto rilevante sulla disciplina vigente. Il testo all'ordine del giorno, infatti, è stato già approvato dal Senato e non è stato modificato dalla Commissione Giustizia in sede referente. Qualora anche l'esame dell'Assemblea andasse indenne da modifiche, il testo verrebbe approvato definitivamente.
Come si è detto, vi sono due esigenze che portano a modificare la Legge Vassalli.
La prima è dettata dalla constatazione di fatto di una scarsa applicazione della Legge Vassalli, che induce a ritenere che la sua formulazione determini una sorta di limitazione ingiustificata, anche alla luce dei principi costituzionali, del diritto delle parti ad essere risarciti dei danni ingiustamente subiti a causa dell'esercizio della funzione giurisdizionale.
L'altra esigenza è quella di cercare di recepire le indicazioni provenienti dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea.
Si ricorda, infatti, che il 24 novembre 2011 la Corte di giustizia dell'Unione europea ha deciso su una procedura di infrazione (causa C-379/10) promossa dalla Commissione europea nei confronti dello Stato italiano in merito alla disciplina italiana sulla responsabilità civile del magistrato. In particolare, la Corte ha rilevato che la disciplina italiana sul risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati, laddove esclude qualsiasi responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell'Unione da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado, qualora tale violazione derivi dall'interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove effettuate dall'organo giurisdizionale medesimo, e laddove limita tale responsabilità ai casi di dolo o di colpa grave, è in contrasto con il principio generale di responsabilità degli Stati membri per la violazione del diritto dell'Unione.
Nella sentenza 13 giugno 2006, emessa nella causa C-173/03 (Traghetti del Mediterraneo), pronunciandosi in via pregiudiziale, la Corte di giustizia ha affermato che «Il diritto comunitario osta ad una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa risulta da un'interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale».
La Corte ha osservato che «Il diritto comunitario osta altresì ad una legislazione nazionale che limiti la sussistenza di tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conducesse ad escludere la sussistenza della responsabilità dello Stato membro interessato in altri casi in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente, quale precisata ai punti 53-56 della sentenza 30 settembre 2003, causa C-224/01, Kóbler».
Alla luce della sentenza da ultimo indicata, al fine di determinare se questa condizione sia soddisfatta, il giudice nazionale investito di una domanda di risarcimento danni deve tener conto di tutti gli elementi che caratterizzano la situazione sottoposta al suo sindacato, e, in particolare, del grado di chiarezza e di precisione della norma violata, del carattere intenzionale della violazione, della scusabilità o inescusabilità dell'errore di diritto, della posizione adottata eventualmente da un’ istituzione comunitaria nonché della mancata osservanza, da parte dell'organo giurisdizionale di cui trattasi, del suo obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell'articolo 234, terzo comma, CE, nonché della manifesta ignoranza della giurisprudenza della Corte di giustizia nella materia (sentenza Kóbler, cit., punti 53-56).
È opportuno chiarire che proprio la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, nell'evidenziare l'intento di assicurare ai cittadini un rimedio risarcitorio completo per i danni subiti anche dall'esercizio della giurisdizione, definisce come essenziale che sia lo Stato e non il singolo giudice a rispondere in modo diretto per eventuali violazioni del diritto dell'Unione europea commesse nell'esercizio della giurisdizione.
Il testo oggi in esame mira proprio a sanare l'infrazione sollevata nei confronti dell'Italia.
La proposta è composta da sette articoli che introducono modifiche agli articoli 2, 4, 7, 9 e 23 della legge 117 del 1988 sulla responsabilità civile dei magistrati. Gli elementi principali sono: il mantenimento dell'attuale principio della responsabilità indiretta del magistrato (l'azione risarcitoria rimane azionabile nei confronti dello Stato); la limitazione della clausola di salvaguardia che esclude la responsabilità del magistrato; la ridefinizione delle fattispecie di colpa grave; l'eliminazione del filtro endoprocessuale di ammissibilità della domanda; una più stringente disciplina della rivalsa dello Stato verso il magistrato.
L'articolo 1 – l'unico che non incide direttamente sulla legge Vassalli – indica l'oggetto e le finalità dell'intero progetto di legge: rendere effettiva la disciplina della responsabilità civile dello Stato e dei magistrati, anche alla luce dell'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea.
L'articolo 2 interviene in più punti dell'articolo 2 della legge Vassalli, relativo alla responsabilità del giudice per dolo o colpa grave.
Anzitutto, al comma 1 dell'articolo 2 viene estesa la risarcibilità del danno non patrimoniale anche al di fuori dei casi delle ipotesi di privazione della libertà personale per un atto compiuto dal magistrato. La novità costituisce un adeguamento a ormai costanti orientamenti della giurisprudenza (si ricordano tra le altre, Cass. SS.UU., sent. 26972/2008 e la recente Corte cost., sent. 235/2014) che riconducono la tutela risarcitoria della persona al danno patrimoniale e a quello non patrimoniale, quest'ultimo comprensivo oltre che del danno biologico in senso stretto, anche del danno morale soggettivo nonché dei pregiudizi diversi ed ulteriori costituenti lesione di un interesse costituzionalmente protetto.
In base al comma 1 così modificato il danno, patrimoniale e non patrimoniale, deve rappresentare l'effetto di un comportamento, atto o provvedimento giudiziario posto in essere da un magistrato con «dolo» o «colpa grave» nell'esercizio delle sue funzioni ovvero conseguente a «diniego di giustizia».
Il comma 2 dello stesso articolo 2 della proposta di legge limita l'applicazione della clausola di salvaguardia, che attualmente prevede che «non possono dare luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove». Pur confermando che il magistrato non è chiamato a rispondere per l'attività di interpretazione della legge e di valutazione del fatto e delle prove, il nuovo comma 2 esclude espressamente da tale ambito di irresponsabilità i casi di dolo, di colpa grave (come individuati dal nuovo comma 3) e di violazione manifesta della legge e del diritto della UE (come definite dal nuovo comma 3-bis).
L'articolo 2 ridefinisce, poi, le fattispecie di colpa grave individuate dall'articolo 2, comma 3, della legge Vassalli. Ai sensi del nuovo comma 3, i comportamenti del magistrati che costituiscono colpa grave sono tali ope legis, essendo stato soppresso ovunque il riferimento (di natura soggettiva) alla «negligenza inescusabile», che la giurisprudenza della Cassazione aveva ritenuto consistere in un quid pluris rispetto alla colpa grave. Costituiscono nuove fattispecie di colpa grave: la «violazione manifesta della legge nonché del diritto dell'Unione europea» (tale formulazione sostituisce la «grave violazione di legge»); il «travisamento del fatto o delle prove»; l'adozione extra legem o senza motivazione di un provvedimento cautelare reale.
Il nuovo comma 3 stabilisce, infatti, che costituisce colpa grave del magistrato: a) la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell'Unione europea; b) il travisamento del fatto o delle prove; e) l'affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento; d) la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento; e) l'emissione di un provvedimento cautelare personale o reale fuori dei casi previsti dalla legge oppure senza motivazione.
I nuovi casi di colpa grave e, in particolare, il travisamento del fatto o delle prove sono stati i punti che hanno visto un più serrato confronto in Commissione. Secondo una tesi, la responsabilità per il travisamento del fatto o delle prove atterrebbe alla fisiologica attività valutativa del giudice che è propria dell'esercizio della funzione giurisdizionale. Questa ricostruzione non è stata ritenuta fondata, per cui sono stati respinti gli emendamenti soppressivi presentati.
Considerato che si tratta di una questione estremamente delicata, appare opportuno richiamare anche in questa sede alcuni chiarimenti fatti in Commissione affinché rimangano agli atti, quale parte integrante dei lavori preparatori, anche per orientare in futuro l'interprete circa l'effettiva intenzione del legislatore nel momento in cui va ad introdurre questa nuova fattispecie di colpa grave.
Vorrei porre l'attenzione soprattutto su quanto emerso in Commissione nel corso dell'audizione non solo dell'Associazione Nazionale Magistrati, ma anche dell'Unione delle Camere Penali Italiane.
In particolare, ritengo interessante, condivisibile e costruttivo il rilievo secondo il quale le preoccupazioni suscitate dalla nuova ipotesi di travisamento del fatto o delle prove possono essere superate ricorrendo ad un'interpretazione costituzionalmente orientata in base alla quale costituisce travisamento la «affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento» o dalla «negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento», ipotesi peraltro già previste dal vigente articolo 3 comma 2 lettere b) e c) della legge e lasciate intatte dal testo in esame.
In altri termini, appare necessario chiarire come l'interpretazione costituzionalmente orientata della norma in esame imponga di considerare che l'unico «travisamento» rilevante ai fini della responsabilità civile del magistrato possa essere quello macroscopico, evidente, che non richiede alcun approfondimento di carattere interpretativo o valutativo. Per questa ragione sono stati respinti anche li emendamenti che qualificavano come «manifesto» il travisamento.
Il travisamento del fatto e delle prove, infatti, coinvolge aspetti tipici dell'attività valutativa, che è connessa ai principi costituzionali di indipendenza e imparzialità della giurisdizione. Infatti, come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 18 del 1989, la garanzia costituzionale dell'indipendenza del magistrato è diretta a tutelare anzitutto «l'autonomia di valutazione dei fatti e delle prove e l'imparziale interpretazione delle norme di diritto». L'eventualità che l'azione civile possa operare sul giudice come stimolo verso scelte interpretative accomodanti e decisioni meno rischiose in relazione agli interessi in causa, con ricadute negative sull'imparzialità, è, secondo la Corte, impedita in radice proprio escludendo che possa dar luogo a responsabilità l'attività d'interpretazione di norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove. Tali parole rendono chiara, oltre ogni dubbio, la centralità che, ai fini della tutela dell'indipendenza e dell'imparzialità della giurisdizione, assume la salvaguardia della valutazione del fatto e delle prove, alla pari dell'interpretazione del diritto.
Pertanto, se si vogliono rispettare i citati principi costituzionali occorre evitare il travaso della nozione di travisamento in quelle di interpretazione e valutazione.
Ove il «travisamento» si traduca in valutazioni manifestamente abnormi del dato normativo o macroscopici ed evidenti stravolgimenti di quello fattuale, allora non ricorrerà più un'attività definibile come interpretazione o valutazione. Solo allora, tramite questa lettura costituzionalmente orientata, il travisamento potrà legittimamente costituire il presupposto della responsabilità civile, lasciando intatta la clausola di salvaguardia che mira a garantire l'autonomia e l'imparzialità del giudice nell'attività di interpretazione di norme di diritto e in quella di valutazione del fatto e delle prove.
Queste sono le ragioni che hanno portato la Commissione a non sopprimere il travisamento del fatto o delle prove quale uno dei presupposti della responsabilità civile del magistrato.
Il nuovo comma 3-bis dello stesso articolo 2 è disposizione chiarificatrice che stabilisce i presupposti di cui tenere conto per la determinazione dei casi in cui può rinvenirsi la sussistenza della violazione manifesta della legge e del diritto dell'Unione europea che, ai sensi del nuovo comma 3, costituiscono ipotesi di colpa grave del magistrato. Si tratta di una casistica non esaustiva; la disposizione infatti precisa che si tiene conto «in particolare»: del grado di chiarezza e precisione delle norme violate; dell'inescusabilità e gravità della inosservanza.
In particolare, per il caso della sola violazione manifesta del diritto dell'Unione europea, si dovrà tenere conto anche: dell'inosservanza dell'obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea; del contrasto interpretativo, cioè del contrasto dell'atto o del provvedimento emesso dal giudice con l'interpretazione adottata dalla stessa Corte di giustizia.
Resta fermo, ai sensi del comma 3-bis, l'eventuale giudizio di responsabilità del magistrato per danno erariale davanti alla Corte dei conti ai sensi del DL 543/1996.
L'articolo 3 della proposta di legge aumenta da due a tre anni i termini previsti dai commi 2 e 4 dell'articolo 4 della legge 117 per la proposizione della domanda di risarcimento contro lo Stato, da esercitare nei confronti del Presidente del Consiglio (comma 1). Il comma 2 dell'articolo 3 abroga l'articolo 5 della stessa legge 117 relativo al filtro di ammissibilità della domanda di risarcimento davanti al tribunale.
L'articolo 5 prevede che vi sia una delibazione preliminare di ammissibilità della domanda di risarcimento verso lo Stato (controllo presupposti, rispetto termini e valutazione manifesta infondatezza) da parte del tribunale distrettuale.
Tale giudizio, ritenuto in dottrina e tra gli operatori del diritto uno degli elementi di maggior criticità della legge Vassalli, ha esercitato, di fatto, una funzione deflativa finendo per ridurre al minimo le possibilità di risarcimento per i cittadini. Dai dati che lo stesso Ministero della giustizia ha consegnato alla Commissione giustizia del Senato emerge che – dal 1988 ad oggi – su oltre 400 ricorsi per risarcimento proposti dai cittadini, solamente 7 si sono conclusi con un provvedimento che ha riconosciuto il risarcimento per dolo o colpa grave da parte di magistrati.
L'articolo 4 modifica l'articolo 7 della legge 117/1988 relativo all'azione di rivalsa dello Stato verso il magistrato, spettante al Presidente del Consiglio dei ministri.
Le novità rispetto all'attuale disciplina del comma 1 dell'articolo 7 sono le seguenti: l'azione deve essere esercitata entro 2 anni (anziché, uno come attualmente) dal risarcimento avvenuto sulla base del titolo giudiziale o stragiudiziale nei riguardi dello Stato; la rivalsa verso il magistrato è stata espressamente resa obbligatoria; per coordinamento con l'abrogazione dell'articolo 5 è eliminato il riferimento alla domanda di ammissibilità dell'azione; sono stati ancorati i presupposti della rivalsa al diniego di giustizia, alla violazione manifesta della legge e del diritto della UE o al travisamento del fatto o delle prove, di cui all'articolo 2, commi 2, 3 e 3-bis, stabilendosi, tuttavia, che l'elemento soggettivo della condotta dannosa del magistrato debba essere esclusivamente il dolo o la negligenza inescusabile.
La proposta di legge conferma poi il vigente comma 2 dell'articolo 7 della legge 117, sull'inopponibilità della transazione al magistrato nel giudizio di rivalsa e disciplinare.
Viene poi modificato il successivo comma 3: è espunto il riferimento alla soppressa figura del conciliatore; viene confermata la sola responsabilità dolosa dei giudici popolari (delle corti d'assise); si prevede che gli estranei alla magistratura membri di organi giudiziari collegiali (ad esempio gli esperti dei tribunali dei minorenni) rispondono, oltre che per dolo, per negligenza inescusabile per travisamento del fatto o delle prove (attualmente tale responsabilità è stabilita per dolo e colpa grave, quest'ultima solo se derivante dall'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento nonché dalla negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento).
Inoltre, l'articolo 5 della proposta di legge interviene sull'articolo 8 della legge 117 ridefinendo i limiti quantitativi della rivalsa. Essa non può eccedere una somma pari alla metà di un'annualità di stipendio (la normativa vigente prevede un terzo), al netto delle trattenute fiscali, percepito dal magistrato al tempo in cui è proposta l'azione risarcitoria. Questo limite non si applica al fatto commesso con dolo, nel qual caso ovviamente l'azione risarcitoria è totale. L'esecuzione della rivalsa, invece, se effettuata mediante trattenuta sullo stipendio non può comportare complessivamente il pagamento per rate mensili in misura superiore al terzo dello stipendio netto (attualmente non può superare un quinto).
L'articolo 6 della proposta di legge 2738 modifica poi l'articolo 9 della legge Vassalli, coordinando la disciplina dell'azione disciplinare a carico del magistrato (conseguente all'azione di risarcimento intrapresa) con la soppressione del filtro di ammissibilità della domanda disposto dall'articolo 3, comma 2.
È, in tal senso, espunto dal comma 1 dell'articolo 9 della legge 117/1988 il riferimento al termine di due mesi dalla comunicazione del tribunale distrettuale (che dichiara ammissibile la domanda di risarcimento) entro il quale il PG della cassazione deve proporre l'azione disciplinare.
L'articolo 7, infine, integra con un comma aggiuntivo 2-bis il contenuto dell'articolo 13 della legge 117/1988 (Responsabilità civile per fatto costituente reato) prevedendo la responsabilità contabile per il mancato esercizio dell'azione di regresso dello Stato verso il magistrato.
Ai fini dell'accertamento di tale responsabilità, il comma 2-bis stabilisce, in capo al Presidente del consiglio e al Ministro della giustizia, oneri informativi annuali nei confronti della Corte dei conti in relazione alle condanne emesse nell'anno precedente per risarcimento del danno derivante da reato ed alle conseguenti azioni di regresso verso il magistrato.
Testo integrale