Dichiarazioni di voto finale
Data: 
Giovedì, 10 Settembre, 2015
Nome: 
Vincenzo Amendola

Doc. LXXXVII-bis, n. 3-A

Discussione della Relazione della XIV Commissione sulla Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2015 e sul Programma di lavoro della Commissione per il 2015 e sul Programma di diciotto mesi del Consiglio dell'Unione europea 

Grazie Presidente, se mi permette il deputato collega Pini, tutto ci divide politicamente, ma il rispetto penso che ci debba unire. Così come abbiamo ascoltato le vostre tesi su un tema così fondamentale, chiederei, solo per il buon senso del lavoro in quest'Aula, di lavorare bene, perché il dibattito di oggi chiama una classe dirigente ad alzare lo sguardo. Non stiamo discutendo solo della cronaca, ma stiamo discutendo di quello che è l'indirizzo dell'Unione europea che è di fronte a dei bivi e a delle prove storiche. Classe dirigente significa non guardare ai sondaggi, non guardare al giorno per giorno, ma cercare, anche con l'opinione pubblica, di guardare alla storia del nostro continente e alla storia del nostro Paese. 
Sa, Presidente, lei fa bene, lunedì, ad invitare i Presidenti delle altre Camere, perché questo è il momento in cui, al bivio della critica e delle critiche accumulate sul tema dell'Unione europea, noi possiamo, davvero, decidere. Per tanti anni in Italia si è utilizzato un termine: il fattore esogeno. Ci sono cioè degli elementi che vengono da fuori, come è stata l'unificazione, il processo di unificazione europea, che ci hanno portato a delle scelte, a delle riforme interne. Fu così quando facemmo l'euro; il paradosso è che oggi i fattori esogeni, quei vincoli che vengono dalla storia che si muove intorno a noi, non parlano solo all'Italia, parlano a un continente, a un'alleanza, all'Unione europea che, di fronte alla crisi economica che andava avanti dal 2008 e di fronte al terremoto geopolitico del Mediterraneo, di fronte a questi due grandi fattori esogeni della storia, si deve rimettere in movimento e si dovrà rimettere in movimento con una velocità superiore alle critiche, superiore alle analisi che abbiamo fatto, perché riguarda tutti noi. 
Caro Presidente, siamo troppo piccoli per il mondo, è piccola Roma, è piccola Bruxelles, sono piccole Berlino o Atene, perché questo mondo che si è mosso dal punto di vista dell'economia, delle guerre, con i grandi flussi delle migrazioni dal 2008 in poi, chiama oggi tutti noi a rispondere. Sessanta milioni di persone sono in movimento nel mondo, è la ventiquattresima nazione. E questi grandi muri che qualcuno vorrebbe costruire cadono come fuscelli, perché confini e frontiere di fronte alla richiesta di accoglienza e solidarietà sono un elemento forte. Allora, per rispondere ad alcuni dibattiti, perché la classe dirigente si vede in questo contesto, con l'altezza anche della missione a cui siamo chiamati, agli orizzonti per superare quella globalizzazione dell'indifferenza, come dice Papa Francesco, ed è chiamata a una fase costituente del nostro continente. Noi vogliamo cambiare l'Europa e lo dico anche agli amici delle opposizioni che usano toni e anche argomenti che spesso sono convincenti, ma se noi li utilizziamo con un spirito dobbiamo sapere però che c’è un bivio. 
Al collega Frusone rispondo che se noi siamo isolati, all'aggressione e alle possibilità anche di quelli che sono poteri globali, isolati non saremo più forti. Allora il bivio è tra chi vuole meno integrazione e più integrazione, che sono due strade che ci porterebbero completamente in condizioni differenti. Più integrazione significa sì riconoscere gli errori del passato, perché il processo storico si è mosso da una unità economica senza un governo economico e senza un governo politico e l'allargamento a 28 non ha fatto fare un salto al processo democratico e ai governi che noi volevamo e la Costituzione europea bocciata nei referendum di 10 anni fa pesa ancora sulle nostre coscienze politiche. Ma non servono manutenzioni, non servono manutenzioni del progetto. Oggi a questo bivio si può rispondere legittimamente meno integrazione, scendiamo da qui, usciamo dall'euro, oppure si può cambiare l'Europa facendo quello che non si è fatto fino adesso, cioè più integrazione, più scelte e più governo politico. Caro collega Frusone, di fronte a quella che è la novità del mondo che si è messo in movimento, chiudere il nostro paese in un'Europa che è scossa dall'opinione politica e dall'opinione pubblica sarebbe un errore, io credo, ma lo dico con rispetto perché questa classe dirigente è chiamata a indirizzare il paese. Noi abbiamo bisogno di un governo democratico della politica economica, quello che è mancato sinora, perché la logica di Barroso e dell'intergovernabilità di processi che non portavano a risoluzioni – e ricordiamo anche grandi dichiarazioni dei ministri dell'Economia e della destra italiana che dicevano «prima la Nazione, poi l'Europa» – ci hanno portato dal 2008 ad alzare il livello del debito medio. 
Caro collega Bottiglione, l’austerity non ha vinto, perché se l’austerity era un movimento per rispondere a quel fattore esogeno che era la crisi dei mercati, il debito medio europeo si è innalzato e l'occupazione e gli investimenti sono diminuiti. Questa crisi economica, insieme agli spaventosi effetti sull'occupazione, fanno sì che noi dobbiamo lavorare come è stato fatto nel semestre, per applicare flessibilità e più crescita, investimenti, che dentro i trattati hanno degli spazi. Ovviamente, se la battaglia per la mutualizzazione del debito non siamo riusciti a vincerla, la mutualizzazione della crescita è possibile con delle logiche e con dei rapporti che modifichino anche gli attuali trattati. 
Il rapporto dei cinque presidenti sul governo dell'euro e sul governo dell'economia, come diceva giustamente il sottosegretario Gozi, di fronte alla crisi greca sono falliti e noi non possiamo aspettare a giugno un dibattito, ma sulla base del contributo italiano che qui spesso non è citato, dobbiamo ricostruire, insieme alla politica comunitaria, una missione di governo dell'economia che non abbiamo mai fatto in questi anni e con la crisi economica che ha portato la classe dirigente europea, quella che ha governato insieme alla Commissione Barroso, ad arretrare. Hanno scelto meno integrazione, non più integrazione, e questo conferma il nostro bisogno di rilanciare non sogno gli Stati Uniti d'Europa ma anche una forma politica. 
Il secondo tema è quello citato dall'apertura della relazione del ministro Gentiloni che vedrà questo Parlamento impegnato nei prossimi giorni, nelle prossime settimane. Il governo del cambiamento dei fattori geopolitici, questo altro fenomeno esogeno che ci investirà. Guardate di fronte ai muri che stanno sobbalzando in Ungheria, di fronte alle immagini di chi marcia con la bandiera europea, non posso non ritornare alle immagini del 1989, quando altri muri caddero e quando i popoli costretti dalla cortina ed essere divisi dall'Europa, marciavano con la bandiera europea (Applausi dei deputati del gruppo del Partito Democratico). La storia si ripete e dà una forza che è superiore a qualsiasi decisione e chiusura, perché è la forza della libertà e quando l'Ungheria si aprì e quando la Repubblica Ceca, la Slovacchia, la Polonia si liberarono dalla cortina di ferro, avevano una bandiera, forse con meno stelle, ma con lo stesso mito e la stessa speranza. Noi oggi abbiamo dinanzi una sfida, che è quella di governare questi grandi flussi del cambiamento: che significa diritto d'asilo europeo, cambiare la legislazione, non solo perché i concetti di confini, frontiere, fronte non reggono più di fronte alla potenza della storia, ma perché la tragedia del nazionalismo e della chiusura, quello che vivremmo dopo il 1989 nei Balcani, fermò una speranza, che abbiamo recuperato dopo tante tragedie e che recuperiamo oggi. 
A me ha molto colpito una dichiarazione: noi non saremmo mai venuti qui – lo diceva un bambino – se l'Europa ci avesse aiutato a fermare la guerra in Siria. È la stessa logica che ha portato tanti di noi a muoverci insieme alle coscienze europee; e appartiene sempre alla stessa logica, se mi permettono con rispetto i colleghi dell'opposizione, di fronte al bivio: governo dell'economia e governo della geopolitica e dei flussi e diritto d'asilo europeo, una scelta: noi dobbiamo scegliere da che parte stare, qual è il linguaggio dell'opinione pubblica e qual è il linguaggio della politica. 
Abbiamo fatto tanti errori nel passato, ma io non accetterei mai che un collega del Parlamento europeo, un leader di un partito come l'UKIP, alleato di alcuni nostri colleghi, dica con molta fragilità e con nonsense: il piccolo Aylan era ben vestito, è morto per l'avidità dei suoi genitori che volevano scavalcare la fila per entrare in Europa ad ogni costo. C’è una differenza: si può essere politicamente avversari, costruire differenti opinioni e orizzonti; ma in questo passaggio storico, sull'economia, sulla civiltà europea, tutti noi siamo chiamati a delle scelte, e siamo chiamati a dire con chi stiamo, e soprattutto dove vogliamo portare il nostro Paese(Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Sinistra Ecologia Libertà).