Discussione generale
Data: 
Lunedì, 23 Ottobre, 2023
Nome: 
Michela Di Biase

A.C. 1294-A

Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, rappresentanti del Governo, il provvedimento del Governo che quest'Aula si trova a esaminare, la proposta di legge n. 1249 per il contrasto alla violenza sulle donne e della violenza domestica, si inserisce in un solco già profondamente segnato nel corso delle ultime legislature che ha visto il Partito Democratico, da sempre e sempre - e questo mi auguro che venga onestamente riconosciuto - costantemente e strenuamente impegnato nel cercare di dotarsi di strumenti adeguati a contrastare e a stroncare la violenza sulle donne. Un dovere, questo, che sentiamo sempre presente perché non passa una settimana, non passa un giorno, senza che ci sia notizia di un femminicidio, un caso di molestie per strada, una manifestazione da qualche parte del mondo contro gli abusi che le donne subiscono. Sono numeri, purtroppo, che conosciamo e che però dobbiamo ripetere, così come ha fatto nell'intervento il presidente della Commissione nella sua relazione. Ancora una volta ogni giorno in Italia, signor Presidente, 89 donne subiscono qualche forma di violenza di genere. Nel 2022, secondo i dati del Viminale, sono state 120 le donne vittime di femminicidio. Io vi prego: utilizziamo in quest'Aula la parola femminicidio e non ci limitiamo ad utilizzare quella di omicidio, perché questa, che riguarda le donne, è una fattispecie che va chiamata col nome che ha. Le donne vengono uccise perché sono donne (Applausi dei deputati del gruppo del Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Lo vedremo poi nel corso del mio intervento quanto sono determinanti per questi omicidi le questioni di natura culturale e sociale, che sono davvero la causa scatenante in alcuni di questi reati, che portano poi, purtroppo, alla vicenda del femminicidio. L'abbiamo detto che le donne uccise nel corso del 2022 sono 120, uccise tra le mura domestiche. Anche questo è stato detto. Uccise l'8 marzo, nella vigilia di Natale, il 25 novembre. In ogni giorno leggiamo di una donna che perde la vita per il fatto di essere una donna. Non è un'emergenza, diciamocelo con chiarezza. E' qualcosa di peggio, signor Presidente, è un fenomeno endemico, è la punta dell'iceberg, di un sistema sessista e patriarcale. Pensare che negli ultimi trent'anni il numero di omicidi volontari è drasticamente diminuito, per questo, dico, facciamo attenzione col chiamare le cose col nome che hanno. Siamo passati, infatti, per gli omicidi volontari a un calo dai 1916 registrati nel 1991 ai 319 nel 2022. Allora, è vero che i dati a volte sono noiosi ma ci aiutano a cogliere e a capire il fenomeno. Sarebbe un bel risultato se non fosse che anche nella più macabra delle statistiche c'è un gap di genere. Il crollo, infatti, e questo ce lo dice l'Istat, non lo dice il Partito Democratico, ha riguardato solo e soltanto gli uomini. Il 31,5 per cento delle donne tra i sedici e i settant'anni (parliamo di 6 milioni e 788 mila persone) ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza, fisica o sessuale. Il 20,2 per cento (parliamo di 4 milioni e 353 mila donne) ha subito violenza fisica. Il 21 per cento, che tradotto significa 4 milioni e 520 mila persone, ha subito violenza sessuale, e il 5,4 per cento le forme più gravi di violenza, come lo stupro (652 mila donne).

I numeri dell'Istat dunque indicano con chiarezza i numeri del fenomeno, la sua gravità e la necessità che questo Parlamento intervenga, con norme chiare e, fatemi dire, utili per contrastare i reati contro le donne in Italia. Le indagini condotte dopo la pandemia hanno rappresentato un quadro drammatico e il lockdown, infatti, per migliaia di donne ha rappresentato un inferno esistenziale. L'ultimo rapporto Istat del maggio 2021, richieste di aiuto durante la pandemia, i dati dei centri antiviolenza, delle case anti rifugio e delle chiamate al 1522, ci indica che durante il periodo pandemico le chiamate effettuate sono state altissime. 1520 contro un aumento segnalato del 79,5 per cento rispetto all'anno precedente. Abbiamo visto 15.128 chiamate contro 8.427 del 2019.

Il nostro ordinamento - e anche questo è riconosciuto - si è dotato negli anni passati di adeguate ed efficaci normative e misure a livello nazionale e internazionale per il contrasto della violenza contro le donne domestiche e di genere, così come è riconosciuto che il nostro paese sia dotato di forze di polizia e di magistratura tra le più competenti e preparate. Nell'ultimo decennio per dotarsi di strumenti il più possibile adeguati è stato compiuto un importante sforzo in termini di mutazione e innovazione del quadro normativo, sia a livello nazionale che a livello sovranazionale, così come nella pianificazione di interventi e strumenti più aderenti alle necessità emergenti. Io vorrei ricordare il lavoro che è stato fatto nel corso della XVIII legislatura quando è stata istituita una Commissione parlamentare d'inchiesta monocamerale sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, che ha svolto un'intensa attività di audizioni e di inchiesta, al fine di fare emergere il fenomeno in tutti i suoi aspetti. Molte delle azioni contenute in questa norma e molte delle azioni di contrasto alla violenza contro le donne hanno le radici proprio in quel lavoro che è stato fatto dalla Commissione bicamerale.

Qual è allora però il baco, il tassello mancante che, ancora oggi, ogni giorno impedisce che le donne vivano tutte queste violenze, che vengano uccise, che vengano discriminate? Va cercato, come ho provato a dire in premessa, probabilmente, soprattutto in una applicazione a volte inefficace del sistema di norme predisposto dovuto, principalmente, alla mancanza di una completa e approfondita conoscenza da parte degli operatori del settore del complesso fenomeno della violenza maschile contro le donne, soprattutto con riferimento alle radici culturali di questo fenomeno che lo connotano e ai pregiudizi di genere che lo sostengono e lo normalizzano. In queste settimane di lavoro in Commissione abbiamo cercato di sostenerlo con estrema chiarezza. Senza le risorse economiche necessarie alla formazione degli operatori che entrano in contatto con le donne vittime di violenza è quasi impossibile far funzionare le norme. Io stessa, Presidente, interrogando il ministro della Pubblica Amministrazione in Commissione affari costituzionali ho fatto appello per chiedere risorse finanziarie e misure organizzative per una necessaria e urgente formazione e specializzazione di tutto il personale che interviene per donne e minori vittime di violenza.

Mi è spiaciuto molto constatare di non ricevere nessuna risposta; in quel caso, come in questo, le nostre proposte non sono state accolte come avremmo voluto.

Dunque, è qui che risiede esattamente la principale ragione che ha condotto il nostro gruppo ad astenersi su un provvedimento su cui abbiamo sempre dimostrato la massima disponibilità, lo sa il relatore e lo sanno i colleghi onorevoli della Commissione giustizia. Però, è necessario ribadire, Presidente, che questo nostro appoggio non è stato accolto come avremmo voluto. Molti dei nostri emendamenti sono stati respinti e noi ci aspettavamo davvero che venisse fatto di più. Non è stata messa e non ci è stata data nessuna risorsa per la formazione del personale che entra in contatto con le vittime di violenza, nessuna per la prevenzione, nessuna per l'organizzazione necessaria degli uffici giudiziari. In provvedimenti paralleli, questa tendenza del Governo a riempirsi un po' la bocca con un magico riferimento a una riforma della giustizia, poi, si infrange con il reale, con quello che mettete a disposizione delle donne, che deprivate, purtroppo, di risorse, perché il fatto che non ci siano stanziate delle risorse in questo provvedimento fa sì che alcune questioni non si potranno affrontare e, dunque, risolvere.

Accanto all'obbligo di formazione, noi pensiamo che sia indispensabile associare anche un potenziamento delle risorse a disposizione di Forze di polizia e di magistratura, perché oggi il carico di lavoro che grava sugli uffici è rilevantissimo e non sempre consente un intervento adeguato e tempestivo.

C'è un altro aspetto, poi, che dobbiamo indagare, a proposito del disegno di legge in esame, perché purtroppo abbiamo registrato su questo una scarsa volontà di discutere veramente nel merito - gli interventi da noi proposti andavano esclusivamente nel senso di migliorare questo provvedimento, guidati come eravamo dal parere autorevole dei tanti auditi e delle tante audite e dall'adesione piena e forte delle nostre richieste alla Convenzione di Istanbul -, parlo, Presidente, dell'aspetto culturale, perché siamo convinti che una parte importante della soluzione del problema passi dal formare ed educare le nuove generazioni di maschi, ma anche la mia, così come tutte le altre generazioni - direi -, alla cultura del rispetto, alla cultura della differenza, alla relazione di genere, fornendo loro strumenti e metodologie moderne o comunque adeguate a tutte le età, che servano a superare i pregiudizi e gli stereotipi di genere.

Combattere la violenza maschile sulle donne passa - ciò è fondamentale - per la protezione delle vittime, per un corretto uso degli strumenti repressivi di cui ci siamo negli anni dotati, ma passa soprattutto dalla presa di coscienza e dalla crescita consapevole maschile rispetto alla violenza sulle donne.

Il punto di caduta è proprio forse dovuto all'inefficace applicazione delle norme, dovuta all'assenza di una completa e approfondita conoscenza, come abbiamo detto, da parte anche degli operatori, del complesso fenomeno della violenza maschile, proprio per quello che abbiamo detto delle profonde radici culturali che lo connotano e dei pregiudizi di genere che lo sostengono.

Mi avvio alla conclusione.

Il gruppo del Partito Democratico in Commissione giustizia, come ho detto, si è astenuto su questo provvedimento “Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica”; ci siamo astenuti, perché abbiamo ritenuto che il testo approvato e licenziato dalla Commissione fosse ancora insufficiente, pur riconoscendo che raccoglie talune indicazioni emerse dal lavoro della precedente Commissione sul femminicidio, ma non tutte, soprattutto in chiave di prevenzione primaria. Non si vuole parlare di educazione nelle scuole, è stata respinta l'ipotesi del fermo di indiziato nelle situazioni di alto rischio, non è stato preso in considerazione il tema del consenso.

Su tutte queste questioni, che ho ricordato, abbiamo fatto proposte volte all'ampliamento dei diritti della persona offesa e della sua tutela in tutte le fasi del processo. Occorre perseguire l'attuazione della Convenzione di Istanbul e della direttiva 2012/29/UE sulle vittime, recepita da questo Parlamento, ma soprattutto rendere la persona offesa un soggetto processuale. È necessario formalizzare l'obbligo di patrocinio a spese dello Stato per le persone offese dai reati di violenza di genere, domestica e contro le donne, ivi compreso il tentato femminicidio, anche in adesione alle indicazioni che ci vengono date dalla Corte costituzionale.

L'articolo 6 del disegno di legge, inoltre, interviene sul procedimento di applicazione delle misure cautelari nei procedimenti relativi a delitti di violenza domestica e di genere, prevedendo che il pubblico ministero debba richiedere l'applicazione della misura entro 30 giorni dall'iscrizione della persona nel registro delle notizie di reato e il giudice debba pronunciarsi sulla richiesta nei 30 giorni dal deposito dell'istanza cautelare presso la cancelleria. Io lo voglio dire, perché su questo il Partito Democratico ha depositato in Commissione un emendamento, a mia firma, a cui è stato dato un parere contrario: questo è un termine troppo lungo, che mette a rischio la sicurezza della donna. Sono troppi 30 giorni.

Allora, queste sono state le nostre proposte in Commissione, che avevamo avanzato nella speranza che la collaborazione fosse reale, che si volesse davvero affrontare la questione della violenza di genere in ogni suo aspetto. Perché - e davvero concludo, signor Presidente - è del tutto evidente che queste norme purtroppo non basteranno, se non metteremo in campo un nuovo paradigma culturale, che parta dal rispetto delle donne, delle loro scelte e della loro volontà. Si doveva fare di più, avremmo voluto che si facesse di più, Presidente.