Discussione generale
Data: 
Lunedì, 23 Ottobre, 2023
Nome: 
Gian Antonio Girelli

A.C. 1294-A

Signor Presidente, mi permetta di ringraziare anche il gruppo del Partito democratico che mi ha dato l'opportunità di poter intervenire. Secondo una considerazione di fondo che mi sembrava giusto fare e che sempre di più deve nascere nella consapevolezza degli uomini dover prendere decisioni riguardo questo tema, che per troppe volte è stato consegnato quasi alla denuncia delle sole donne.

E' già stato detto che il numero che il Ministero degli Interni ci ha fornito anche quest'anno riguardo la violenza delle donne - le donne ammazzate, il numero dei femminicidi che giustamente la collega De Biasi ha voluto ricordare come è buona cosa chiamare in questo modo questo reato - ci consegna una situazione di una tragicità estrema. Numeri di una strage costante e inaccettabile che rappresentano la punta di un fenomeno molto più diffuso che racchiude tante altre forme di violenza. Numeri che ci impongono di affrontare con determinata forza la questione dal punto di vista normativo, ma non solo, come dirò dopo.

Le leggi possono, sì, affrontare, osteggiare, abomini come quello della violenza sulle donne; ma oltre all'inasprimento delle pene, serve una reale azione di prevenzione e, ancor di più, un cambiamento di un modo culturale, di un approccio di guardare al rapporto, all'interno della società, fra uomini e donne. Questa è l'azione che dobbiamo introdurre. Dobbiamo avere la consapevolezza che questa azione è estremamente necessaria, se non vogliamo continuare a lavorare solo su forme di condanna, occupandoci di quanto è successo, senza preoccuparci di intervenire prima, per evitare che tante cose succedano.

Ricordo a me stesso, ma anche a tutti noi, che il nostro Paese deve fare i conti con un'arretratezza culturale che non è mai stata sufficientemente affrontata. Non dimentichiamo che solo il 5 agosto del 1981 veniva abrogato l'articolo 587 del codice penale, che prevedeva l'attenuante per chi avesse commesso delitti d'onore. La legge - anche quella fascista - non parlava di uomini o donne, ma nella prassi erano gli uomini, mariti o, addirittura, padri a uccidere le donne che li avevano feriti nell'onore. Solo il 5 settembre dello stesso anno veniva abrogato l'articolo 544 del codice penale, che prevedeva il matrimonio riparatore, dizione con la quale si cancellava il reato di stupro - reato contro la morale, badate bene - qualora lo stupratore avesse sposato la vittima. La morale del tempo sappiamo bene come portava le famiglie a far cedere e a costringere la donna a una vita infernale accanto al suo carnefice. Come non ricordare Franca Viola, che nel 1965 fu rapita e violentata da un malavitoso, che a dispetto del volere della donna voleva sposarla. Franca si oppose, col sostegno della famiglia, e alla fine il violentatore fu condannato. Eravamo nel 1967 e, come ho detto, ci son voluti altri 14 anni per arrivare alla cancellazione di questo infame istituto.

Ho prima accennato come lo stupro nel codice Rocco fosse considerato un reato contro la morale; la donna non era considerata come persona con una sua dignità, la violenza veniva considerata contro la morale pubblica, contro lo Stato, contro la famiglia, non una violenza contro la vittima. Questo ennesimo scempio giuridico è stato cancellato solo il 15 febbraio 1996, quando il Parlamento considerò lo stupro, finalmente, un reato contro la persona.

Questi faticosi progressi legislativi, che negli ultimi anni, come è stato ben ricordato, non ne faccio io ora un ulteriore elenco, hanno portato a ulteriori assunzioni di responsabilità normativa, sono sufficienti? Io penso di no, perché i numeri che, qui, tutti noi abbiamo ricordato ci dicono come non siano sufficienti, anzi non abbiano minimamente interrotto quella che è una forma continua di violenza. Certamente, se è vero che si ha un modo diverso di giudicare questi fatti, perché ormai è unanime la condanna, è altrettanto vero che molto rimane da fare.

E anche in questa occasione, nel momento in cui stiamo approvando questo provvedimento, dimostriamo come non siamo sufficientemente coraggiosi e capaci di andare fino in fondo nell'introdurre un cambiamento di approccio.

Per questo, non dovremmo avere alcun dubbio nel comprendere che intervenire solo sull'inasprimento della pena, sull'applicazione di misure di sorveglianza e controllo - fra l'altro, vorrei ricordare, non del tutto sufficienti, come esponenti del mio partito in Commissione hanno voluto evidenziare - non è assolutamente sufficiente. È necessario intervenire in modo deciso rispetto alla formazione del personale che a vario titolo si occupa di questo fenomeno. Troppe volte ci si accorge come gli operatori che vengono a contatto con le donne che hanno subito violenza non siano assolutamente preparati ad affrontare sotto vari punti di vista il fenomeno che hanno davanti; ma, ancor di più, occorre agire in modo deciso sull'educazione riguardo a rapporti corretti, rispettosi, realmente egualitari fra persone, che superino, riguardo alle donne, un ormai inaccettabile, quanto insopportabile atteggiamento che è e rimane fra le cause di quanto sta avvenendo.

Pensiamo un momento a quante volte, per chi è donna - sto usando le parole di una grande donna, Michela Murgia -, si muore anche per il linguaggio che viene usato nei loro confronti, è una morte civile ma non per questo meno drammatica, meno dolorosa rispetto alla morte fisica o alla violenza fisica, ma soprattutto è quel tipo di contesto che crea le condizioni perché maturi la violenza fisica che arriva fino alla morte. E potremmo fare un lungo elenco riguardo al mondo del lavoro, a come sono sottopagate le donne e a come vengono considerate le donne: quello che in un uomo viene considerato efficientismo, a volte, in una donna viene declinato come arroganza o altri difetti caratteriali. Pensiamo al mondo dello spettacolo, a come viene usata la donna, spesso a corredo, come valletta della figura del maschio che è protagonista della vicenda. Pensiamo al mondo delle professioni, pensiamo al mondo della televisione, pensiamo al mondo dello sport, pensiamo al mondo della politica. Quante volte in quest'Aula, esponenti che siedono in quest'Aula, quando si sono rivolti a donne, sono andati ben al di là di quello che è un legittimo giudizio politico, introducendo una lettura di un sessismo incredibile, di mancanza di rispetto della persona che avevano di fronte? Non posso dimenticare la reazione che ebbe un allora Ministro della Difesa verso una giornalista che semplicemente osava contraddirlo e porlo di fronte alle falsità che in quel momento stava dimenticando.

Ma pensiamo, ancora, a quanto tutto questo incida quotidianamente, in una maniera incredibile e vergognosa sulle tante donne che vivono nella nostra società, che vivono nelle nostre famiglie, che vivono nei contesti che quotidianamente frequentiamo. Dobbiamo sempre di più renderci conto come questa considerazione, questa consapevolezza debba diventare patrimonio soprattutto degli uomini. Quella necessità di consapevolezza, quell'assunzione di responsabilità ci deve far superare uno stato di fatto che credo sia il più pericoloso, quello più insidioso, quello che in fondo, anche nella timidezza di alcuni passaggi di questo provvedimento, emerge e che ci fa ignorare certe situazioni, ci fa guardare da esterni, senza il coraggio di intervenire sul fenomeno, quello fatto dal tollerare stupide battute, risate idiote, fino ad arrivare a interrogatori vergognosi verso donne che hanno subito violenza: come eri vestita, come ti sei atteggiata, ma avevi bevuto, avevi assunto qualcosa che ti poteva far perdere il controllo di te? Quasi che questo bastasse magari per portarsi a casa una ragazza e farne quello che si vuole, magari con il papà nella stanza accanto che fa finta di non sapere cosa sta capitando. E che porta a dibattimenti processuali irrispettosi del dolore, a titoli o articoli di fondo che rappresentano un vergognoso modo di fare giornalismo. Non sto parlando di cose avulse dalla realtà, sono cose che quotidianamente possiamo, in un modo o nell'altro, più o meno marcato, andare a rilevare.

Ma, soprattutto, sottolineo quell'autoassoluzione che spesso usiamo: io mai farei un atto di violenza su una donna, quasi che fosse un comportamento volutamente virtuoso, l'astensione dal non fare, da protagonista, il male, dimenticando quanto avviene attorno a noi.

Da espiare è quel sotteso senso di proprietà per il quale la donna, in fondo, appartiene all'uomo che dice di amarla o che comunque pretende, in un modo o nell'altro, di controllarla. Ecco perché questo provvedimento, che - vorrei ricordare - è frutto di una sintesi del lavoro della passata legislatura, sottolineando il ruolo da protagonista del Partito Democratico nella sua elaborazione, dovrebbe trovare qualche coraggio in più nelle norme cautelari, ma ancor di più nel non rimandare ad altri provvedimenti il tema della formazione, della reale prevenzione sociale e del cambiamento culturale, perché ridurre il tutto a un certo inasprimento della pena non basta. La storia dei reati ce lo dimostra, perché non si tratta - come dicevo prima - di intervenire con più durezza dopo, ma di impedire che avvenga; farlo, poi, senza stanziare adeguate risorse, anzi, a risorse zero, come ci viene proposto, dà l'impressione di guardare più alla comunicazione che a una reale consapevolezza della realtà e di un'adeguata volontà di intervenire.

Bisogna vincere, in sintesi, quel tentativo di omissione, quel modo d'interpretare sempre i fatti più complicati, che deve vederci invece capaci di scovare, fronteggiare, contrastare, decidere legislativamente e, anche dal punto di vista finanziario, investire verso un diretto contrasto.

Bisogna fare in modo che più che mai in questo caso il provvedimento, la legge che andiamo ad approvare e abbiamo ancora il tempo di migliorare in tal senso, sia una legge vera. Una legge vera non è quella che norma divieti e pene, ma quella che diventa legge naturale, è sentita, vissuta, fatta proprio nel modo di essere di una comunità.

Rappresenta, insomma, una reale scelta, non una serie di obblighi da rispettare, perché questo è l'obiettivo che dobbiamo darci e che anche in questa coda di lavoro d'Aula dobbiamo cercare di mettere nell'essenza di questo provvedimento, come gli emendamenti che gli esponenti del Partito Democratico, in modo molto puntuale ed efficace, avevano proposto nel lavoro di Commissione, che sinceramente trovo incredibile siano stati rigettati e bocciati, rimandando a successivi provvedimenti al riguardo, quasi che si possa distinguere tra la pena e la prevenzione e lo sradicamento del reato.

Questo lo dobbiamo alle tante donne che sono state ammazzate, alle tante donne che ogni giorno subiscono forme di sopruso o di violenza, fisica o psicologica che sia. Lo dobbiamo, però, in fondo anche alla dignità di noi stessi, che più o meno consapevolmente rischiamo spesso di essere parte della vergogna che denunciamo, perché troppe parole si usano in maniera facile riguardo a questo fenomeno, troppe condanne, specialmente in occasione di alcune date simbolo. Siamo tutti pronti sui social, in dichiarazioni e in manifestazioni ad essere presenti; peccato, però, che nella quotidianità applichiamo tutto quello che ho cercato di riassumere, tutto quello che facciamo pesare in maniera inaccettabile sulle donne, tutto quello che macchia in maniera forte il nostro contesto, il nostro modello sociale.

Tutto quello che penso e spero che anche in questa occasione possa essere con coraggio superato, dando un rimando forte ai cittadini di questo Paese: la violenza sulle donne è un fatto che non è più possibile accettare e tollerare, è un fatto che riguarda tutta la popolazione di questo Paese, è un fatto che riguarda in particolar modo gli autori di queste violenze, che, non dimentichiamo mai, sono soprattutto uomini.