A.C. 2613-B
Signora Presidente, signori sottosegretari, da lunedì prossimo si vota e il confronto sarà in un'Aula gremita, ma vorrei lasciare la mia testimonianza all'avvio di giornate intense i cui esiti consegneranno un testo pressoché definitivo. Mai avremmo immaginato, signora Presidente, che il dibattito potesse accadere in un momento drammatico per il mondo, per l'Europa. I sentimenti, i pensieri di ognuno di noi sono altrove, a quella gioventù strappata a Parigi e ad altri luoghi del dolore seminato dal terrorismo. Eppure tutti oggi qui, con le differenze che sono state rappresentate anche fino a questo momento nel nostro dibattito, dobbiamo fare del nostro meglio sull'insieme del progetto riformatore di cui una parte rilevante è appunto la materia su cui ci stiamo confrontando. Forse io credo che su una cosa possiamo essere tutti d'accordo: come ha detto ieri il Premier, in Italia, per fare fronte a Daesh e cooperare nel sostegno alla vita e alla libertà di ogni persona, non c’è bisogno di toccare la prima parte della Costituzione, i principi fondamentali del nostro Patto. Questo per me significa tante cose, compreso quell'articolo 11 che a tutti noi dovrebbe stare a cuore e quello spirito della Carta col suo richiamo al ripudio della guerra e insieme al dovere di difendere i diritti umani anche oltre i confini del nostro Paese. Perché mi sono permessa di richiamare questa realtà alla nostra bibbia laica ? Perché credo che anche in un confronto che ha avuto e avrà espressioni forti e divergenze serie, ogni gruppo e per quanto ci riguarda il gruppo del PD può rintracciare il dialogo sempre e comunque nel riconoscimento del Patto repubblicano nato dalla tragedia del Novecento e da consegnare al futuro. Non sembri banale ricordarlo quando inquietudini, bisogni inevasi e scarti epocali possono mettere in discussione il senso della democrazia per milioni di persone. Ecco al fondo io credo, colleghi e colleghe, che questa è la ragione più vera per cui si vuole la riforma e si vuole un progetto riformatore: rendere più efficiente, più vicino ai cittadini e alle cittadine, più democratico lo Stato. Aiutare la piena attuazione dell'articolo 3 sull'uguaglianza di ogni persona e sul contrasto a ogni discriminazione.
Lo so, è sulla qualità dell'innovazione che ci sono opinioni molto divergenti, io mi avvicino a questa materia con la modestia del caso e non nascondo, lo voglio dire con sincerità anche oggi, che avrei preferito una riforma più radicale, ad esempio un modello più simil-Bundesrat, con il ridisegno delle regioni, il superamento di quelle a statuto speciale e della Conferenza Stato-regioni o quanto meno la presenza nel nuovo Senato dei presidenti delle regioni, dei sindaci delle città capoluogo e delle città metropolitane. Con altre e altri del mio gruppo – lo ha rammentato pochi minuti fa il collega D'Attorre – ci abbiamo provato, anche cercando di tenere aperta tra una lettura e l'altra la possibilità di intervenire sull'articolo 2 e la composizione del Senato. Io avrei risolto diversamente anche il nodo della rappresentatività, magari con la scelta di una platea simile a quella che legittima il Senato francese. Potrei aggiungere la non piena soddisfazione per la parte concernente la riforma del Titolo V. Ci ho pensato dunque, ci ho pensato stanotte, ci ho pensato nei giorni prima e continuerò a pensarci, anche perché ho dovuto esprimere in Commissione opinioni in dissenso dal mio gruppo e sempre con una certa sofferenza. Mi sono chiesta perché questo Parlamento non abbia voluto o potuto osare di più; perché il Governo non sia stato più flessibile, meno impositivo; perché il percorso sia stato talvolta infelice fino a quell'Aula abbandonata da chi si opponeva. Ho letto proposte e rilievi di autorevoli costituzionalisti, l'ho fatto con lo spirito di chi cerca di vedere la quota di verità che c’è in ognuno e, aggiungo, in ogni collega. In particolare per la mia storia più acute mi suonano le distanze, più sofferenti mi sono le distanze dagli amici di Sinistra Italiana e mi spiace che il traguardo non sia condiviso. Io ho stima per tanti in quest'Aula, ho stima per Alfredo D'Attorre e con lui ho condiviso delle battaglie, ma detto ciò e come vedete, con una sincerità che forse non è usuale in un'Aula solenne, penso che la riforma fosse un imperativo morale quanto, certo, cercare di farla bene. Penso che non siamo innanzi a una torsione autoritaria e che oggi sia un servizio utile anche vedere il buono che c’è: si supera il bicameralismo, si affermano garanzie non scontate sull'elezione del Presidente della Repubblica e della Corte con il vaglio preventivo della legge elettorale, si precisano funzioni e il raccordo col nuovo Senato tra lo Stato, altri livelli istituzionali e l'Unione europea, c’è la norma paritaria, l'elezione dei senatori è più farraginosa del previsto – lo so anch'io – ma tuttavia esiste. È poco, io non mi sento di dirlo in modo tranchant come fanno altri, in un Paese bloccato e persino tradito nel rinvio di trasformazioni attese da anni e segnato da uno status quo che non favorisce certo chi meno ha potere e chi ha più bisogno. Chiudo, dovendo fare un atto di ringraziamento al relatore, con uno sguardo rivolto in avanti perché poi credo che le riforme vivano della società, dei suoi conflitti, dei movimenti, della saggezza fattiva e della cultura di classi dirigenti che siano veramente degne di questo nome. Credo che sarà così anche per questa riforma, per una legge elettorale che avrei voluto più coalizionale – tanto da non votarla – e che spero ancora possa essere cambiata. Sarà così quando dovremo scrivere, come diceva il collega Nicoletti, norme per lagovernance europea, quella sui partiti e quella sulla democrazia sindacale. Aggiungo una nota che mi preme moltissimo, mi rivolgo anche a lei, signora Presidente: penso che alla luce di questa riforma sia giusto produrre nel nostro Regolamento un'innovazione e cioè l'istituzione di una Commissione permanente sui diritti umani alla Camera. Credo di non dover argomentare qui le ragioni evidenti di un'urgenza, di una necessità che sappia guardare al futuro e alla dignità della persona.
C’è ancora, dunque, molto cammino da fare, ma qualcosa di importante si è avviato. Sta a tutti – lo dico innanzitutto a me stessa – imparare dagli errori ed essere più ambiziosi e aperti non per sé, ma per la ricerca infinita di un bene comune.