A.C. 2613-A
La ringrazio Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, onorevole Scalfarotto, non è senza emozione che mi accingo ad illustrare la mia relazione alla proposta di riforma costituzionale che viene ora all'esame della Camera.
Per molti di noi, spero per tutti, anche se oggi non siamo tanti, la Carta costituzionale è l'esito, non scontato, di un travaglio terribile che attraversò la nostra patria, la nostra nazione, la nostra comunità, nel corso della dittatura fascista e dell'occupazione nazista nel secondo conflitto mondiale. La Costituzione noi la leggiamo come l'esito di una liberazione, di quella liberazione. La Costituzione per la quale, ancora oggi, noi ringraziamo i padri costituenti, è ciò che viene consegnato a noi da quell'Assemblea, apertasi il 25 giugno 1946, e conclusasi il 31 gennaio 1948, dopo che il Parlamento, nel 1922, era stato definito dal dittatore Mussolini, che prendeva il potere su decisione del re, «un Aula sorda e grigia» il punto più basso dalla definizione delle nostre Aule parlamentari. Quell'Assemblea costituente veniva dopo le leggi speciali, dopo la negazione della libertà nel nostro Paese, dopo la negazione della libertà di stampa, dopo le uccisioni, dopo le torture, dopo le leggi razziali votate in questa stessa Aula dove siamo noi oggi, dopo l'omicidio Matteotti, dopo Auschwitz e Buchenwald, e dopo le terribili sorti dei soldati italiani mandati a morire dal dittatore fascista sul fronte russo, o nella guerra imperiale in Africa.
Certo, esisteva già una esperienza originale italiana costituzionale a partire dallo Statuto albertino, ma la Carta costituzionale è, prima di tutto – questo, per noi democratici, e spero per tutti – la risposta democratica italiana all'esperienza della dittatura. Per questo, alle soglie del settantesimo anniversario della liberazione, e nel ricordo di quei partigiani martiri, e di quei patrioti che diedero la vita, perché la dittatura fosse sconfitta, sento il dovere, innanzi tutto, di inchinarmi di fronte ai principi di democrazia e libertà che questa Carta ha consegnato alle generazioni successive. Ma i costituenti non furono ciechi, di fronte alla consapevolezza dei futuri sviluppi sociali del Paese e del globo, e furono lungimiranti.
Inclusero meccanismi pur complessi – come lo è l'articolo 138 – di autoriforma della Carta costituzionale ad opera del Parlamento. I decenni successivi alla Costituente, i nostri decenni, i decenni delle nostre generazioni fino ad oggi ci hanno dimostrato l'esigenza di un adeguamento dei meccanismi di funzionamento istituzionale, di una loro revisione in vista di una sempre maggiore efficienza della democrazia, la quale reclama di essere efficiente, giacché una democrazia incapace di fornire risposte adeguate in tempi utili e rapidi fallisce una parte rilevante dei suoi scopi.
La democrazia non è fatta di carta, è fatta di programmi politici, di obiettivi, di scopi e di realizzazioni. Io sento e rivendico che il lavoro di revisione in corso mantiene intatti i valori fondanti e, per me e per noi, sacri della nostra Carta e della nostra democrazia e migliora i meccanismi di funzionamento istituzionale della stessa, per il bene del Paese e per i suoi cittadini.
Il disegno di legge costituzionale di riforma della Parte II della Costituzione arriva in Aula alla Camera in una versione ampiamente modificata rispetto a quella presentata dal Governo l'8 aprile 2014. Il Parlamento, prima al Senato e ora alla Camera, ha avuto tutto il tempo necessario – come ha specificamente qui illustrato il presidente Sisto – per esaminare, approfondire ed emendare il testo originario, come presentato alla Camera.
A parte il rispetto di essenziali punti fermi, come lo sono il superamento del bicameralismo perfetto, la fiducia data solo dalla Camera dei deputati al Governo, e soprattutto la non elezione dei senatori, non vi è stata da parte del Governo e della maggioranza che lo sostiene alcuna preconcetta rigidezza, come dimostrano i numerosi emendamenti approvati nel corso dell'iter parlamentare. Il dibattito, anche nei momenti più duri, – lo voglio dire – è stato sempre franco, libero, trasparente, senza forzature. Quanti legittimamente si oppongono a questa riforma o a parte di essa hanno avuto il modo di far sentire le loro ragioni. Si discute, ci si confronta, ma poi si decide: anche questa è l'eredità che ci perviene dalla Costituente. Infatti, io posso comprendere e legittimare l'insoddisfazione e le proteste di alcuni che non condividono il disegno presentato, ma noi – è bene ribadirlo – stiamo riformando la Costituzione utilizzando gli strumenti della democrazia parlamentare che gli stessi padri costituenti ci hanno affidato.
È una regola fondamentale della democrazia quella che Norberto Bobbio chiamava la regola della maggioranza, senza il rispetto della quale non c’è sistema democratico che possa resistere al pericolo di trasformarsi in un sistema illiberale. Questo è il vero pericolo che noi corriamo, anche oggi: perdere di vista il ruolo delle maggioranze nella democrazia, insieme alla necessaria tutela delle minoranze. Il pericolo della deriva plebiscitaria nel nostro Paese e, in generale, nelle società occidentali, come è stato scritto, non viene dalle riforme, ma è vero il contrario. Era il 1991 quando Leopoldo Elia esortava a uscire dalla situazione di incertezza costituzionale in cui si trovava il Paese, per i rischi a cui eravamo esposti. Era il periodo che antecedeva Tangentopoli. Le svolte autoritarie, ci insegna la storia, non arrivano soltanto quando sono minacciati i diritti e le libertà fondamentali – ovviamente anche –, ma anche quando le democrazie cessano di funzionare, quando non sono più rispettate le procedure e quando le istituzioni appaiono ingovernabili. Allora cresce il generale senso di malessere e di disillusione verso la politica democratica.
Prima di entrare nel merito del provvedimento ed illustrare alcune delle modifiche apportate dalla Commissione affari costituzionali al testo pervenutoci dal Senato, voglio ancora fare alcune brevi considerazioni.
Fare il relatore di un provvedimento tanto complesso – ovviamente ringraziando il presidente Sisto, correlatore di questo provvedimento, e ringraziando, mi si permetta, tutti i colleghi che hanno partecipato ai lavori di Commissione e anche ricordando l'aiuto degli uffici della Commissione e della Camera, senza il quale non avremmo potuto compiere questo lavoro – è molto impegnativo. Sono state giornate e ore lunghe e senza sosta di lavoro in Commissione e ora saranno in Assemblea.
Riscrivere le norme della Costituzione del 1948 non è un lavoro che si fa con leggerezza, non solo per la qualità di quei testi, sui quali si regge ed è cresciuta la nostra giovane democrazia, ma perché noi siamo tutti consapevoli di cosa rappresentassero allora e ancora rappresentano per noi quei costituenti, da quale storia uscissero, di quali ideali fossero portatori, quale lungimiranza e visione lunga sullo stato della democrazia in questo Paese espressero in quelle pagine.
La Costituzione – e questo è un altro messaggio che prendiamo da quel dibattito e da quegli anni – è materia viva, e noi abbiamo diritto di lavorarci per migliorarla.
Durante i lavori dell'Assemblea costituente, nella seduta pomeridiana del 14 novembre 1947, Paolo Rossi, relatore sullo specifico tema della revisione della Costituzione, pronunciava le seguenti – e, secondo me, fondamentali – parole: «La Costituzione non deve essere un masso di granito che non sì può plasmare e che si scheggia e non deve essere nemmeno un giunco flessibile che si piega ad ogni alito di vento. Deve essere, dovrebbe essere, vorrebbe essere una specie di duttile acciaio, che si riesce a riplasmare faticosamente sotto l'azione del fuoco e sotto l'azione del martello di un operaio forte e consapevole». La preoccupazione dei costituenti è stata quella di riuscire a coniugare le istanze opposte di certezza e costanza della legge costituzionale e di adattabilità al tempo che preme, con le sue continue e mutevoli esigenze. Consapevole dei nostri limiti, noi abbiamo lavorato con grande umiltà e senso di responsabilità. Per usare un'antica metafora medievale, noi siamo come i nani issati sulle spalle dei giganti. I giganti a cui alludo sono i nostri padri costituenti, verso i quali saremo sempre debitori.
Il testo che oggi iniziamo ad esaminare nell'Aula della Camera dei deputati è il risultato di un lungo lavoro istruttorio, che ha già sottolineato e certificato nei numeri il presidente Sisto, e i principali elementi caratterizzanti l'intervento di riforma riguardano in primo luogo – lo dico molto brevemente – il superamento del bicameralismo perfetto, per cui il Parlamento continuerà ad articolarsi in Camera dei deputati e Senato della Repubblica, ma i due organi avranno composizioni diverse e funzioni in gran parte differenti.
Nell'architettura costituzionale delineata, alla Camera dei deputati spetta la titolarità del rapporto fiduciario e della funzione di indirizzo politico, nonché il controllo dell'operato del Governo e vengono conseguentemente modificati la composizione del Senato, di cui è significativamente ridotto il numero dei componenti, nonché il procedimento legislativo. E, al fine di adeguare quest'ultimo al nuovo assetto costituzionale, caratterizzato da un bicameralismo differenziato, viene previsto un numero definito di leggi ad approvazione paritaria, attribuendo in tutti gli altri casi la prevalenza della Camera dei deputati, secondo un modello che potremmo definire forse quasi di monocameralismo partecipato.
Nell'ambito del nuovo procedimento legislativo viene introdotto, come è stato citato dal presidente Sisto, l'istituto del voto a data certa, che consente al Governo tempi definiti riguardo alle deliberazioni parlamentari relative ai disegni di legge ritenuti essenziali per l'attuazione del programma di Governo ed al contempo vengono costituzionalizzati i limiti alla decretazione d'urgenza già previsti dalla legislazione vigente.
Un'altra novità è costituita dall'introduzione del giudizio preventivo di legittimità costituzionale delle leggi elettorali per la Camera dei deputati e per il Senato, modifica già approvata al Senato della Repubblica.
Nel corso dell'esame presso la Commissione è stata ripristinata la previsione che attribuisce al Parlamento in seduta comune l'elezione dei cinque giudici della Corte costituzionale di nomina parlamentare.
E, sempre riguardo alle garanzie costituzionali, è stato stabilito, proprio per l'approvazione di un emendamento in Commissione, che il quorum per l'elezione del Presidente della Repubblica dopo il quarto scrutinio è pari alla maggioranza dei tre quinti dell'Assemblea ed a partire dal nono è richiesta la maggioranza dei tre quinti dei votanti, sempre per andare nell'indirizzo della tutela dei diritti anche delle minoranze.
Modifiche rilevanti riguardano il Titolo V della seconda parte della Costituzione ed in particolare di rilievo appare la soppressione delle province, in linea con il processo di riforma degli enti territoriali già in atto con legge ordinaria. Al contempo, con la finalità di ridurre il contenzioso costituzionale innescato con la riforma del 2001, il riparto di competenze legislative tra Stato e regioni è stato ampiamente rivisitato e viene in particolare soppressa la competenza concorrente, con una redistribuzione delle relative materie tra competenza esclusiva statale e competenza regionale. L'elenco delle materie di competenza esclusiva statale è inoltre profondamente modificato, con l'enucleazione di nuovi ambiti materiali.
Di significativo rilievo è infine l'introduzione di una clausola di supremazia, che consente alla legge dello Stato di intervenire in materia di competenza regionale, a tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica o dell'interesse nazionale.
Già dallo scorso anno si era aperto, Presidente, il dibattito nel merito, prima con il gruppo di lavoro istituito nella primavera 2013 dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che qui ossequio, e poi con la commissione di saggi nominati a giugno, sempre 2013, dal Presidente del Consiglio Enrico Letta. Una lunga istruttoria, dicevo, accompagnata anche da una consultazione pubblica.
Quindi, dobbiamo sostenere con orgoglio che il lavoro che affrontiamo non è stato segnato, né dalla fretta, né dall'approssimazione. Anzi, questa riforma, se posso dire, arriva in ritardo di alcuni decenni. Lo dico io, parlando a nome di un partito della sinistra, ricordando Nilde Iotti, Presidente della Camera, da poco insediata a quella Presidenza, che nella seduta dell'11 ottobre 1979 aveva sostenuto la necessità di affrontare quelle parti della Costituzione che il tempo e l'esperienza hanno dimostrato inadeguate. Ed era a metà degli anni Ottanta, o poco prima, che la riforma del bicameralismo sembrava fosse ormai dietro la porta. Non ripercorro con voi, per ragioni evidenti di tempo, la lunga stagione dei tentativi di riforma, iniziata con i comitati di studio delle Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato alla fine del 1982, e proseguita con le Commissioni bicamerali. Voglio solo ricordare a questa Assemblea che anche in passato il tema della riforma della Costituzione è stato affrontato dal Governo. È successo con l'iniziativa del Governo Spadolini nel 1982, con il Comitato Speroni nel 1994 con Berlusconi, e con il tentativo del Presidente incaricato Maccanico nel 1996. Ora è giunto il momento di tirare le conclusioni di tanto lavoro. Se oggi possiamo guardare al futuro, se possiamo procedere sulla via delle riforme e del cambiamento per il nostro Paese, non è per i nostri meriti di presunti costituenti – ovviamente parlo per me –, ma per il valore di quanti ci hanno preceduto. I giganti, come io sento che furono, che hanno gettato le fondamenta sulle quali oggi costruiamo.
Il disegno di legge costituzionale oggi all'esame della Camera non fa che portare a compimento quel processo di ammodernamento delle istituzioni di cui discutiamo da decenni, accogliendo soluzioni largamente condivise, non solo dall'opinione pubblica, ma anche dalla maggioranza del mondo accademico e, mi permetto di dire, anche nella storia politica della sinistra italiana di questi decenni. Tony Blair, neppure due settimane fa, dalle pagine del The New York Times rifletteva sulla cattiva salute della democrazia, sulle difficoltà degli Stati Uniti, del Regno Unito e di molti Governi europei a prendere le decisioni necessarie per ritrovare la via della crescita economica. La democrazia, osservava Blair, rischia di perdere quella che si chiama la sfida di efficacia. I suoi valori sono ancora quelli giusti, ma in un mondo che cambia ad una velocità incredibilmente maggiore di quella della politica e nel quale le nostre società devono adattarsi costantemente per tenere il passo, la democrazia appare lenta, burocratica e debole.
Ecco, dunque, se davvero crediamo, come io credo e noi crediamo, nella democrazia, come insieme di regole che garantiscono la libertà di tutti i cittadini, è giunto il tempo di migliorarla, di renderla più veloce e più forte. È giunto il tempo delle riforme (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).