A.C. 75-A ed abbinate
Grazie, Presidente. Oggi arriva in Aula un testo di legge che è la somma di vari testi di legge depositati. Vorrei ricordare, in particolare, che quello a mia prima firma è il testo che è stato elaborato, in un lungo confronto con i soggetti del settore, dal collega Lino Duilio nella precedente legislatura. Questo testo nasce da una storia ultratrentennale di persone che, colpite dagli squilibri creati dal sistema economico, hanno ragionato in maniera molto seria e pragmatica sulle domande fondamentali a cui l'economia dovrebbe rispondere: come produrre ? Cosa produrre ? Per chi produrre ?
Oggi e forse più nel passato, più negli anni che ci sono appena alle spalle, prima della crisi economica, è dominata la certezza che il benessere collettivo di ogni individuo dipende dall'esclusiva massimizzazione del profitto individuale e, tuttavia, tale certezza è stata spesso assunta in maniera critica, al punto che ci siamo dimenticati – ma poi ce ne siamo anche accorti molto di recente – che lo stesso principio è causa di profondi guasti. Lo è nelle aree più marginali del mondo, ma lo è stato anche per le nostre economie, anche per la nostra Europa.
Il movimento del commercio equo e solidale, in questo senso, è stato in qualche modo profetico. Non è nato da prese di posizioni ideologiche contro l'attuale sistema neo liberista dell'economia, ma è nato da esperienze pratiche, volte a trovare rimedi per specifiche situazioni di marginalità, create da un sistema economico che non ha l'uomo sempre al centro dei suoi obiettivi. Il movimento del commercio equo e solidale semplicemente si è chiesto: è possibile creare nelle società dinamiche virtuose di aggregazione sociale attraverso il commercio ? È possibile coinvolgere i singoli cittadini in scelte economiche responsabili, che abbiano il fine di produrre un beneficio per tutti quelli che sono coinvolti nello scambio commerciale, appunto dal produttore al consumatore ? È possibile fare commercio non per un lucro individuale soltanto, ma anche per un interesse collettivo ? Queste sono le domande a cui in questi anni, in questi trent'anni, si è risposto e la risposta è «sì», perché lo dicono i numeri, citati anche da altri che sono intervenuti.
Vado molto sinteticamente solo a ricordare il dato che riguarda la realtà italiana, che è quella che dobbiamo in qualche modo andare a regolare e disciplinare. È una realtà che già esiste, che già c’è. Questa legge non dice cose nuove: lo stesso incentivo negli appalti pubblici, il cosiddetto social public procurement, che segue il modello di quello che era stato il green public procurement, che sappiamo quanti passi in avanti ci ha fatto fare verso la sostenibilità, questa modalità di incentivo è già prevista – lo ricordo, infatti la norma lo dice e lo richiama – nel piano d'azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione, di cui al decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dell'11 aprile 2008 e nel decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 25 luglio 2011, allegato 1. Quindi, sostanzialmente noi andiamo a fotografare e a regolare una situazione che è già realtà.
In particolare, il movimento del commercio equo e solidale si è diffuso a partire dagli anni Ottanta in Italia. In Italia le dimensioni del movimento danno la misura – questo è il valore – del grande lavoro svolto da migliaia di persone che ogni giorno, sul territorio nazionale, offrono il proprio impegno per costruire un'economia, un pezzetto di economia e di giustizia. Gli ultimi dati relativi alle organizzazioni socie AGICES illustrano un grandissimo radicamento sul territorio: 85 organizzazioni socie, tra associazioni, consorzi, cooperative con base sociali, che riuniscono complessivamente oltre 32 mila persone, tra fisiche e giuridiche, oltre 250 punti vendita sul territorio nazionale, 5 mila volontari, oltre mille lavoratori, con una crescita del lavoro dipendente.
Voglio sottolineare un altro dato: 11.200 ore complessive di laboratori nelle scuole e di attività di educazione al consumo responsabile, per un investimento, a carico di queste associazioni e dei volontari, complessivo di un milione di euro. Questi dati ci danno la misura di un movimento in continua evoluzione, capace, da un lato, di mobilitare i cittadini in Italia e, dall'altro, di creare condizioni di maggior benessere per i partner del sud del mondo con cui collaborano. Un movimento che offre anche delle garanzie precise ai consumatori perché le organizzazioni socie di AGICES sono iscritte ad un registro e questo già oggi accade nell'ambito di un sistema di monitoraggio certificato da un ente terzo dipendente. Poi nel nostro Paese si registrano, inoltre, 150 aziende licenziatarie del marchio fair trade, con 700 prodotti certificati fair trade distribuiti in più di 5.500 punti vendita, con un valore al consumo stimato al 2015 in circa 100 milioni di euro e con un coinvolgimento nel commercio equo certificato di circa 8 milioni di lavoratori della terra, cooperative e piantagioni. Quindi, da questo punto di vista siamo molto tranquilli sul fatto che in sede europea, dove pure sono state attivate le verifiche del caso, non ci saranno assolutamente problemi su questa proposta di legge perché l'Unione europea da diversi anni ha invitato gli Stati membri a promuovere la cultura del commercio equo e solidale. E, infatti, lo fanno anche altri Paesi. Il Parlamento europeo ha riconosciuto in più occasioni l'importanza e il valore sociale del commercio equo e ha invitato la Commissione europea e i legislatori nazionali come noi a promuovere una serie di misure volte a premiare prodotti certificati equosolidali incoraggiando la creazione di un marchio comune e favorendo una politica di incentivi. Non dimentichiamo, poi, l'esigenza di questa legge cornice dovuta al fatto, ricordato anche da altri, che già dodici regioni hanno legiferato in materia nell'ambito della loro competenza concorrente in questo settore, così come la provincia autonoma di Trento. Anche a livello locale molte amministrazioni comunali e provinciali hanno già manifestato interesse e sensibilità per questa tematica introducendo considerazioni relative al commercio equo e solidale nei bandi di gara che la partecipazione ad iniziative di sensibilizzazione sui propri territori ha favorito.
Ecco, quindi, da qui si capisce come è bene fare chiarezza normativa sul fenomeno e dare certezza ai consumatori sempre più numerosi che si avvicinano all'equo, proprio attuando i principi della libera concorrenza, della trasparenza e della certezza. È interessante anche come questa proposta di legge sia nata. È nata riconoscendo il commercio equo e solidale, le sue organizzazioni già esistenti, l'originale sistema di controllo che i suoi enti rappresentativi avevano già elaborato nel tempo per presidiare il sistema a garanzia della trasparenza nei confronti del consumatore. E lo fa affrontando nei primi articoli la definizione di commercio equo, riprendendo quanto previsto dagli organismi internazionali di settore. Ma lo fa in maniera leggera, cioè assumendo in pieno lo spirito del principio di sussidiarietà molto caro alle organizzazioni del terzo settore. Tra l'altro, questo settore è anche oggetto di attenzione da parte della delega sul terzo settore che in questo momento è al Senato. Lo Stato riconosce la valenza del commercio equo con questo testo ed investe i protagonisti stessi nelle azioni di controllo e li responsabilizza affidandogli un ruolo.
Vado verso la conclusione, avevo delle altre cose da dire, ma vado oltre perché devo anche raggiungere la Commissione bilancio per il prescritto parere. Questo mondo, che, ripeto, oggi trova riconoscimento e visibilità nella legislazione nazionale, sta raccogliendo anche delle nuove sfide, sfide future, che sono quelle di mettersi sempre più in rete con altri fenomeni innovativi e pratiche di economia sociale a livello nazionale per costruire un'economia più equa all'interno di ogni singolo Paese.
All'inizio l'idea era quella che il nord del mondo doveva sostenere i produttori del sud del mondo, ma oggi sappiamo che anche nei Paesi europei ci sono molti sud. Si è scelto così di sviluppare – in altri Paesi europei, ma si è cominciato anche in Italia – il domestic fair trade. È nato, per esempio, in Italia, il marchio «solidale italiano», cioè un marchio per i prodotti realizzati da produttori italiani secondo i principi del CES, perché oggi il problema di un prezzo equo per il frutto del proprio lavoro, quindi di un salario, di una retribuzione adeguata ai bisogni propri e della propria famiglia sta toccando anche realtà nostre, del nostro Paese. Ho incontrato lunedì scorso, ad esempio, lo voglio qui ricordare, dei produttori di latte italiano, aziende familiari che sono in estrema difficoltà perché il prezzo del latte non copre il costo della sua produzione. Quindi, da questo punto di vista è molto importante questa sfida per il futuro, che vede nelle botteghe del commercio equo e solidale continuare certamente ad essere in vendita i prodotti del sud del mondo ma a vedere a fianco di questi sempre più quelli provenienti da produttori italiani, che lavorano secondo i criteri del commercio equo. Vorrei anche ricordare come, su questo fronte, sia interessante l'iniziativa che c’è stata nel fair trade tedesco, in cui la principale organizzazione tedesca del settore ha lanciato il cioccolato fatto con il latte equo e solidale della Baviera. Dati molto recenti sembrano dar ragione a questa svolta, questa a questa novità: nel 2015 in Germania l'equo e solidale, infatti, ha avuto una crescita dell'8 per cento di fatturato rispetto all'anno precedente. Quindi, il commercio equo e solidale lavora in funzione di una responsabilità sociale dell'impresa, di una responsabilità sociale della distribuzione, della responsabilità sociale del consumatore, nella direzione di far crescere la qualità dei prodotti e di farne crescere la sostenibilità, di costruire insieme una nuova economia che metta al centro le persone. Sicuramente il commercio equo potrà crescere, perché investe sulla responsabilità sociale del consumatore, ma anche perché sta crescendo e vuole crescere anche fuori dai circuiti del no profit, in un'economia che vuole essere sostenibile dal punto di vista ambientale, etico e sociale, non rinuncia al profitto ma si interroga su cosa produrre e come produrre. In questo scenario ci sono grandi potenzialità e questa legge può senz'altro sostenerle e accrescerle: le materie prime eque e di qualità dei Paesi del sud del mondo unite al made in Italy, la tradizione, le ricette e le aziende dell'alimentare, della trasformazione e del dolciario italiano. Noi confidiamo che la legge sul commercio equo possa far crescere questo movimento del commercio equo e solidale, questo pezzetto di economia solidale, sociale, sostenibile e di giustizia. Per finire, in conclusione, riconosciamo con questa legge che il commercio equo e solidale è uno degli strumenti con cui, insieme a tanti altri, come ad esempio la cooperazione internazionale, l'attenzione alla conservazione dell'ambiente, la riduzione degli sprechi, il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo e del lavoro, ciascuno di noi – ciascuno di noi ! – può praticare, attraverso la responsabilità sociale del consumatore, strade nuove per provare a rendere il mondo un po’ migliore di come l'abbiamo trovato.