A.C. 348-A
Ieri su un importante quotidiano nazionale, alcuni ricercatori italiani criticavano la decisione che L'UE sta assumendo, anche grazie al ruolo del nostro Governo, in materia di Ogm. Da sempre sono note sulla materia posizioni diverse nella comunità scientifica, ma mi ha colpito la sintesi: «non fermate quella ricerca, perché dobbiamo aiutare le piante a sopravvivere... e poi il lungo elenco dei possibili aiuti».
Mi ha colpito perché vedete colleghi, la Fao ha stimato una perdita della nostra biodiversità negli ultimi 100 anni in una cifra vicino al 75 per cento delle cosiddette «specie alimentari principali». Oggi poco più di 120 specie di piante coltivate forniscono il 90 per cento degli alimenti, ma solo 12 specie vegetali e 5 animali forniscono più del 70 per cento degli alimenti. Solo negli USA sono scomparsi il 90 per cento delle varietà di alberi da frutta.
Solo una parte di questa diversità è conservata nelle banche nazionali o internazionali del germoplasma. Il resto è perduto o si sta perdendo. E la perdita di diversità biologica agricola limita per sempre la capacità delle generazioni presenti e future di affrontare i possibili cambiamenti: quelli ambientali, climatici e quelli dei bisogni umani.
Le risorse perdute, lo sono per sempre. Non c’è alcuna possibilità di ricostruirle in laboratorio.
Il punto non è aiutare le mele a non avere «ticchiolature», ma recuperare patrimonio in via di scomparsa.
La Biodiversità agricola è prima di tutto il frutto del lavoro continuo degli esseri umani di adattamento, conservazione, selezione, addomesticamento realizzato dagli inizi dell'agricoltura.
Ed è la biodiversità che fornisce materia prima agli agricoltori ed agli scienziati per migliorare la produttività, la qualità delle colture.
Quella biodiversità è stata impoverita, messa a repentaglio da molte cause. Certo i mutamenti climatici, ma indubbiamente anche modelli agricoli intensivi e i modelli sementieri che hanno privilegiato standardizzazione, la nascita di monopoli del mercato sementiero, dei fertilizzanti e dei pesticidi, delle procedure costose per i brevetti (oggi il mercato mondiale delle sementi è nelle mani di 4 grandi multinazionali, un volume d'affari di circa 15 mld di dollari l'anno).
Il mercato per anni si è organizzato, ed intanto il nostro patrimonio genetico si andava assottigliando. La manipolazione genetica delle varietà vegetali portava all'appiattimento, disperdendo quella ricchezza è quella diversità che per secoli ha consentito ai contadini di riprodurre i propri semi, di scambiarli, di conservarli, di selezionare i più adatti a terreno, clima, a necessità produttive, a pioggia, alla siccità, alla pianura o alla montagna.
Con il testo di oggi, noi stiamo dando il nostro contributo ad una inversione di rotta. Lo stiamo facendo alla luce di trattati internazionali, di rapporti della Fao, di ricerca, di tanta ricerca, e per fortuna anche alla luce del contributo attivo, generoso, appassionato di molti agricoltori che in questi anni hanno con pazienza ricominciato a segnalare, selezionare, coltivare, allevare e riprodurre varietà vegetali, razze animali a rischio di scomparsa. Lo hanno fatto qualche volta con il supporto delle istituzioni locali, qualche volta da soli o con il supporto di alcune associazioni impegnate su questo fronte.
Siamo partiti nel 2010 con un primo testo presentato dal Pd, era il 20 maggio 2010, giornata della biodiversità in tutto il mondo. Consegnammo ai giornalisti, assieme alla cartella stampa, una bustina di semi, preziosi, selezionati dagli agricoltori custodi.
È stato con alcuni di loro, con competenze accademiche, con slowfood, con mondo agricolo e ambientalista che abbiamo lavorato.
Oggi, grazie al contributo di tutti i gruppi parlamentari, del relatore Massimo Fiorio, del Governo ci apprestiamo a varare una buona ed avanzata legge.
Nessuna visione statica, di nicchia, residuale. Nell'articolato si configura un sistema che tiene assieme tutela e valorizzazione, ricerca e sviluppo locale, protezione e cooperazione tra i tanti attori pubblici e privati.
Un testo che si muove nel quadro di indirizzi comunitari mutati nel tempo ed oggi chiari nel chiedere di «superare la conservazione e passare all'uso attivo e sostenibile delle risorse genetiche» (risoluzione del novembre 2013 del Parlamento Ue), di aggiornare normative, sollecitare reti di coordinamento, attivare risorse ed utilizzare pienamente le opportunità rappresentate dallo Sviluppo Rurale e dal programma Horizont 2020.
Andare in questa direzione, ricorda il Parlamento Ue «significa contribuire al miglioramento della produzione agricola, ai risultati della ricerca e dell'innovazione, al contrasto ed alla resilienza nei confronti dei mutamenti climatici, all'ambiente ed all'occupazione. Effetti che ricadranno sulla società intera».
Ci siamo mossi dentro a questi indirizzi, fornendo indicazioni per la messa a sistema di circuiti, di informazioni (prevediamo una sorta di Open data della biodiversità), di azioni, di filiere locali, di circuiti di conoscenza e di sviluppo economico locale.
L'anagrafe delle risorse, la rete dei soggetti, il portale, le regole per il Piano nazionale, le comunità del cibo, il fondo, la ricerca, la scuola.
Alcune regioni hanno fatto da apripista, hanno sperimentato. Altre potranno farlo da oggi in poi.
Spero che anche il Senato possa procedere celermente e consentire al nostro Paese di aggiungere questa norma al parterre della sfida di Expo, «Nutrire il pianeta».
Più ci avviciniamo a quell'appuntamento è più l'inflazione di parole e di contesti che si occupano di cibo si fa pesante, magari in modo generico, o con occasioni accompagnate da blasonate competizioni tra i fornelli.
Io sono convinta che occuparsi di semi, di cibo significa occuparsi seriamente del nostro modello di sviluppo, di economia, di difesa del suolo, di democrazia, di reddito agricolo, di nuove imprese e nuova occupazione, di sapere, di conoscenza, di ricerca, di banda larga nelle aree rurali, di export ed internazionalizzazione.
Solo che i fattori, spesso un po’ troppo mischiati, vanno rimessi nell'ordine giusto.
La grande possibilità che il tema scelto per Expo ha davanti a sé, è proprio nella capacità di svolgere questa matassa: i semi, il recupero di varietà e razze, la produzione di cibo per tutti. Un reddito adeguato per gli agricoltori, perché con il loro lavoro non si limitano a seminare, curare la terra ed i prodotti, ma presidiano il suolo e la salute.
Nutrire il pianeta vuoi dire tutto questo, e molto altro. Noi stiamo provando ad agguantare il bandolo di almeno una di queste matasse.
Non è semplice affrontare il tema senza scadere, o dare l'impressione di parlare di altro rispetto alla contingenza in cui siamo immersi: la crisi, le riforme, la necessita di innovare, di essere sempre più competitivi, di creare occupazione, futuro.
Probabilmente è stato un caso a far sì che il voto su questa norma cadesse in una sessione così importante per i nostri lavori parlamentari. Le riforme costituzionali, la legge di stabilità. Ho sentito parole autorevoli, alte in questi giorni, sulle fondamenta dello Stato. E noi abbiamo bisogno delle riforme, di tenere il passo, di dare strumenti e speranze alle giovani generazioni. Di far ripartire l'economia, la crescita. Una buona crescita. Abbiamo bisogno del manifatturiero, del Made in Italy, di non perdere l'acciaio, di modernizzare la pubblica amministrazione.
Ma consentitemi di immaginare che proprio mentre stiamo ragionando di fondamenta, di futuro ed anche di modernità, questa cosa non debba essere un caso, ma il desiderio (anche investendo culturalmente su un settore primario che ha ancora straordinarie potenzialità in cui credere fino in fondo), di piantare con forza i piedi per terra, su quella madre terra senza la quale non c’è semplicemente futuro per nessuno.
Per queste ragioni il PD voterà convintamente a favore del provvedimento.