Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 11 Marzo, 2019
Nome: 
Filippo Sensi

A.C. 1432-A

Presidente, signori del Governo, deputate e deputati, siamo qui in discussione sulle linee generali sulla cosiddetta legge europea. Mi permetta, Presidente, intanto di ringraziare il mio gruppo, quello del Partito Democratico, e in particolare il mio capogruppo in Commissione affari europei, Piero De Luca, per avermi dato questa opportunità di parola su questo provvedimento. Intanto il Ministro Savona se n'è iuto e soli ci ha lasciato, in barba ad almeno tre o quattro leggi dello Stato e a un senso minimo di decoro e opportunità, ma tant'è. Come si dice, il mio ho provato a farlo; hanno prevalso gli azzeccagarbugli, che tanto si portano dalle parti di Palazzo Chigi, e buon lavoro, avanti un altro, sotto a chi tocca. Saluto qui il sottosegretario, già sottosegretario, titolare di un account Twitter dal quale sono stato bannato per lesa maestà.

Ora lui ci avvisa di essere stato bannato a sua volta dai suoi uffici. Io sono stato bannato per avere osato chiedere conto in audizione in Commissione di un articolo apparso su un blog del quale egli era titolare. Si vede che agli affari europei, luogo istituzionale che dovrebbe essere esempio di confronto, mediazione e diplomazia, sottratto a permali, dispettucci e capricci, qui da noi si è sviluppata una robusta allergia al succitato confronto: non un buon viatico alla discussione che abbiamo appena avviato in Aula. Desidero porre, tuttavia, Presidente, qui il tema di chi sia oggi il titolare del dicastero che sovrintende e promuove questo provvedimento, perché da uno stringato riferimento nel comunicato dell'ultimo Consiglio dei ministri e dalla lettura in Aula abbiamo appreso della nomina di Savona in Consob. Peccato che ancora adesso, se andate a controllare sul sito istituzionale di Palazzo Chigi, che non è esattamente un blog personale o la piattaforma di una setta, Savona figuri ancora come Ministro. Ragion per cui torno a chiedere: di cosa stiamo discutendo e con chi in questa sede? Chi è il Ministro? Il Premier? Il Ministro degli esteri? Chi?

Siamo di fronte a un interim o un a mistero glorioso? Siamo in una terra di mezzo, in un “già e non ancora” o siamo di fronte alla ennesima faida intestina, cui ormai siamo mitridatizzati con questo Governo? Esiste un Ministro ombra, o quantomeno l'ombra di un Ministro degli Affari europei? Già tenuti in non cale per un anno, oggi siamo all'anonima Affari europei, all'azione parallela, alla transustanziazione. Penso che il Parlamento, gli italiani dunque, non possa tollerare oltre questa situazione. La invito perciò, Presidente, a fare presente la nostra richiesta formale al rappresentante del Governo di sapere chi sia il Ministro, chi sia la nostra, non solo del Partito Democratico ma di tutta l'Aula, controparte, per sapere chi abbiamo di fronte vista anche l'ineffabile situazione in cui ci siamo trovati all'inizio dei nostri lavori. Dicevamo della legge europea: a prima vista, sembra essere un classico omnibus, una di quelle misure che si farciscono di tutto un po' e che quindi di solito deliziano i parlamentari e disgustano i cittadini, fatte di codicilli e sottintesi, di rinvii a legislazioni vigenti e interessi vestiti. Non avendo ancora maturato - lo ammetto, Presidente, e lo dico con rispetto e pudore - l'estasi dell'emendamento, che sacrosanta prende, quando si finisce qui dentro in Parlamento - è il nostro lavoro, d'altra parte, e ci sforziamo di farlo tutti con coscienza e senso di responsabilità - vorrei provare, se mi consente, a situare questo provvedimento, a porlo in quel famigerato contesto - penso qui più a Natalino Irti, che a Sciascia - che possa riconnettere senso e significato della nostra attività legislativa e, se volete, provare a rimettere in circolo quel principio di rappresentanza, che spesso, anche strumentalmente, diamo per interrotto. Ragion per cui la legge che oggi discutiamo - ripeto - risuona in quest'Aula per lo più ignorata da chi sta fuori da quest'Aula e in questo intervallo abita un paradosso, perché le scelte e le decisioni che in quest'Aula si prendono hanno poi, come nel caso della legge in esame, un impatto diretto e concreto sulla vita minuta di chi fuori da quest'Aula vive, lavora, ama, si muove, cura, alleva e costruisce, perché parliamo oggi di libera circolazione e di salute dei cittadini, di ambiente e di giustizia, di diritti e di molto altro ancora, questioni alte e centrali nella vita di ognuno di noi. Ma se rovesci il tiro e guardi a queste paginette ex parte populi, come dovremmo sforzarci tutti di fare e senza seguire la falsa moneta del populismo tanto in voga, allora queste stesse priorità, queste stesse urgenze potrebbero apparirci irte di insidie e trabocchetti, di diavoli e dettagli, lardellate di marchette e conflitti di interessi, di favori e aiutini, o anche solo concentrate, come potrebbe ammonirci sempre quello zeitgeist di cui sopra, su esotiche rarità, tristi tropici. Ma come? Noi moriamo di fame e voi, noi cioè, state lì a occuparvi dell'uso dei termini “cuoio”, “pelle” e “pelliccia” - mi riferisco all'articolo 5 - o dello smaltimento degli sfalci e delle potature (mi riferisco all'articolo 17)? Avete presente tutta quella frusta retorica antieuropeista sui centimetri degli ortaggi, mentre - come diceva il poeta – “il mondo cade a pezzi”? Spetta a noi dunque qui ora provare a mettere insieme questi pezzi, cercare di dare senso al nostro lavoro come cittadini davanti ai cittadini, come cittadini italiani ed europei davanti a cittadini italiani ed europei, sapendo che questo provvedimento che ingaggiano, questa Europa di cui discutiamo e che tanto accalora noi qui dentro, e magari poco sempre noi lì fuori, possa essere prossima o inaccessibile, accogliente o remota, leggibile o astrusa anche grazie a noi. La stessa identica cosa assume un diverso significato “a seconda”, ecco il contesto. Scriveva cinquant'anni fa Peter Handke “Appena scendo in strada, un pedone scende in strada, appena salgo in tram, un passeggero sale in tram”, non per scolorire i fatti in interpretazioni, diluire le cose appunto in giochi linguistici, ma per recuperare un po' tutti un metodo più nitido e onesto di guardare, all'Europa, per esempio, dicevamo. Che Europa è quella tratteggiata da questa legge? Un continente di lobby e di stecche, o una Unione che protegge e si fa carico? E guardate che in questa contrapposizione nel suo falso movimento sta la sfida che abbiamo davanti nei prossimi mesi. Non vi sto invitando - lo dico per suo tramite, Presidente, ai colleghi - ad affrontare questo provvedimento con uno spirito elettoralistico, in vista delle consultazioni del prossimo Maggio, che pure tutti viviamo come un big-bang e invece come un “solve et coagula”, e invece, piuttosto a sentire questo tempo che stiamo vivendo e dentro il quale ciò che stiamo esaminando può assumere un senso comune e condiviso, Europa o della perfettibilità. Capisco è il solito problema: come rendere, non dico appealing, attraente e sexy un argomento come l'Europa, abusata lamentela che riguarda anche l'ambiente, prima almeno che arrivasse la piccola Greta a bigiare la scuola il venerdì contro il cambiamento climatico. Dici Europa e sbadigli: un tempo funzionava così, dai per scontato, dimentichi Erasmus e Interrail, pensi a corridoi e panini rancidi, moquette, scali di aeroporto. Di recente la newsletter di un quotidiano, Il Foglio, uno di quei giornali, assieme a Radio Radicale, colpiti dai tagli scriteriati, anzi mirati come Sniper del Governo contro il pluralismo dell'informazione, dedicata proprio all'Europa, si è dovuta inventare un geniale You Porn EU, come European Union, ovviamente per provare a restituire colore al diafano incarnato dei temi che discutiamo.

Perché, Presidente, “sfalci” e “pellami”, articoli 5 e 17, ricordo, “farmaci” e “dogane” non sono complotti o manine - possono anche esserlo - ma sono solo il volto quotidiano, l'aspetto comune, la normalità di questa Europa che bestemmiamo un po' negletta, della quale non ci accorgiamo quando la usiamo e attraversiamo, come fosse una periferia sconosciuta, ma di cui solo ci ricordiamo per eleggerla a capro espiatorio di tutto ciò che non ci va a genio. Lo sporco sotto casa? È colpa dell'Europa; lo straniero al supermercato? E di chi vuoi che sia la colpa? Dell'Europa, certo; l'aumento della tariffa? Tutta colpa dell'Europa; uscire ai rigori: sempre colpa dell'Europa. Ora, io non sono per l'attribuzione di colpe - non è il mio istinto -, preferisco piuttosto l'individuazione di responsabilità, che certo in sistemi complessi come i nostri, spesso si sfarina, si nebulizza, si sgrana, ma che tuttavia risalendo e contestualizzando appunto è ancora possibile. Detta male, il qui presente Governo è il responsabile di tanta collera, di tanta apatia, di tanta inedia europea, della malaise e dell'incattivimento, di questo fare brutto che ci ha portati a imputare all'Europa, neanche fosse il PD, colpevole di ogni scacco, di ogni impaccio, di ogni fallimento, dalla TAV, alla legge di bilancio, dall'immigrazione alle tasse, dal PIL al debito che grava sui nostri figli e sui figli dei nostri figli. Io non lo credo, “no”, io non credo che il Governo sia “il” responsabile di tutto ciò, credo tuttavia che questo Governo, questa maggioranza sia responsabile di tutto ciò, di perseguire con apparente sciatteria, ma in realtà con diuturna determinazione, la disarticolazione del progetto europeo - sì che ne è responsabile -, di appaltare alla dimensione europea l'incapacità, l'irresponsabilità, l'inefficacia che sono stati incapaci di mettere in campo in questo anno passato al balcone di Palazzo Chigi - è responsabile, sì -, di rimandare, rinviare e rimandare decisioni che ci rendono non meno sovrani, ma più credibili e attendibili agli occhi dei nostri partner - è responsabile -, di vanificare nel giro di pochi mesi un lavoro paziente e ingrato che, con fatica indicibile di cui ho avuto il privilegio di essere testimone diretto, vedeva finalmente di nuovo l'Italia al posto che gli spettava nel consenso europeo, tra i fondatori, alla guida, non arrancare e maledire in coda o peggio tra gli appestati e i pesi morti, hai voglia se ne è responsabile. Di tutto questo e per il gravame che di tutto ciò si scarica e si scaricherà ogni giorno sui cittadini, sugli italiani, su ognuno di noi io vi ritengo responsabile, sì che vi ritengo responsabili. E badate che nella ferocia rivendicata - lo ha fatto il Presidente del Consiglio qualche giorno fa, chissà magari per farsi coraggio, sventurato -, nella esibita determinazione di tutto questo loro girare a vuoto, di tutta questa cerea, fragorosa vanità, c'è esattamente il problema che avete, che abbiamo, “Houston”, con l'Europa, che, fintanto che la trattenete come altro da noi, e non come noi, come un pedone o un passeggero che facciamo finta non siamo noi, come un bouc emissaire al quale addossare in un meccanismo vittimario le nostre vergogne, non ne verrete a capo e questo con grave danno, nocumento e sciagura per tutti gli italiani. Quella ferocia, la stessa della divisa usata non come segno di appartenenza ma di divisione, appunto, la stessa dell'insofferenza per i migranti, per l'altro che faccia eccezione rispetto alla banda, al clan, alla setta, alla tribù, l'intolleranza verso le mediazioni, il sindacato, i giornalisti, il Parlamento, le istituzioni, il fastidio verso l'esperienza e la competenza, la sufficienza verso il confronto, il dialogo, l'apertura, l'ostilità, sì, l'ostilità verso le donne dell'osceno “DDL Pillon”, che per noi rappresenta un attacco ai diritti contro cui combatteremo con ogni fibra, Presidente, con tutta la passione di cui siamo capaci. Tutto ciò, dicevo, è rivelatore di una visione dell'Europa che offre risposte profondamente sbagliate a interrogativi angoscianti, che dovrebbero unirci e non dividerci, sui quali dovremmo trovare punti di contatto e convergenza e non subire l'oltraggio, la contumelia, l'arroganza che hanno dimostrato finora. No, l'Europa non ha bisogno di ferocia - ce n'è già troppa -, ha bisogno al contrario di comprensione, ascolto e di confronto, anche animato, anche radicale, e di valutazione comune dei problemi che abbiamo davanti per provare ad offrire soluzioni efficaci, come facciamo oggi, analizzando questa direttiva, di condivisione per risolvere i miei problemi, che sono i nostri problemi, di italiani dunque di europei. Non ha bisogno di pose allo specchio, del digrignare di denti, ha bisogno al contrario di pazienza e disciplina, di studio sugli sfalci e i pellami, di lavoro di fatica, che fatica, come nella vita, nelle esistenze di ognuno di noi, con chi conosciamo appena, con chi amiamo, a casa o in condominio, in strada, in piazza, qui dentro, perché questo, Presidente, non solo è il Palazzo, ma vedete questa è una piazza. Il prossimo 21 Marzo, Presidente, un grande europeo, che si chiama Romano Prodi, ha invitato ognuno di noi, non solo i Democratici, ma tutti noi italiani, a sventolare fuori dalle nostre finestre il vessillo dell'Europa, la bandiera blu stellata, come simbolo di appartenenza e di identità, di mitezza e rispetto di quella unione di minoranze che siamo, di diritti e pace, di libertà e welfare, di accoglienza e rispetto.

Il 21 marzo non a caso, il giorno di San Benedetto, patrono dell'Europa, la cui regola suonava come un avvertimento, un monito, non solo ai suoi fratelli, ma ad ognuno di noi, oggi, qui: nessun membro della comunità - recita la regola benedettina - segua la volontà propria, che non è un'apologia del collettivismo, l'elogio dell'indistinto, la negazione delle individualità, dei talenti personali, delle caratteristiche specifiche e delle differenze; al contrario, è un invito a metterli a bilancio comune, quei talenti, quelle personalità, quei caratteri, a farne ricchezza, nutrimento e patrimonio di tutti per tutti, a non disperdere questo sforzo, questa pazienza, nel testardo capriccio della volontà. Questo si decide qui, in quest'Aula, su questa direttiva, non di scambi e favori, questo si deciderà a maggio, non se vince Salvini o Macron, ma come possiamo dare una mano, hai bisogno di qualcosa?, come possiamo renderci, utili come possiamo aiutarci noi stessi e gli uni con gli altri.

Dieci anni fa - e mi avvio a concludere, Presidente - a Benedetto si aggiunse una giovane donna come patrona di Europa, si chiamava Edith Stein, filosofa, mistica, studiò fenomenologia, finì ad Auschwitz, dove sembrò finire l'umanità e l'Europa con essa. A Edith Stein, allieva di Husserl, era chiaro il concetto di empatia, ci lavorò da studiosa, lo levigò come una lente di Spinoza, lo fece splendere nelle tenebre dell'abisso dell'Europa. Ecco, di empatia abbiamo bisogno come il pane e la pioggia, non di ferocia - e lo dico per il suo tramite al Presidente del Consiglio -, empatia che significa proprio questo entrare in contatto prima ancora di vedere, di incontrare, di sapersi, di sentirsi dentro, insieme, risuonare dell'altro, con l'altro, con gli altri, questa vita della mente che non esenta, ma libera la fisica dei corpi e la contabilità degli ingressi e degli espatri, che non può essere l'unica aritmetica della nostra convivenza, della nostra società, della nostra civiltà e umanità. Sì, umanità: sapersi, sentirsi dentro, assieme, dunque. Di questa empatia abbiamo bisogno oggi, noi altri europei.

Quando la proclamò accanto a Benedetto, questa ragazza, Giovanni Paolo II disse: dichiarare oggi Edith Stein compatrona d'Europa significa porre sull'orizzonte del vecchio continente un vessillo di rispetto, di tolleranza, di accoglienza, che invita uomini e donne a comprendersi e ad accettarsi al di là delle diversità etniche, culturali e religiose, comprendersi e accettarsi, oltre le barriere, i muri e le frontiere, scendendo dentro di noi, facendo i conti con chi siamo per noi e per gli altri, per noi come altri, mentre come pedoni e passeggeri decidiamo di sfalci e pellami, articolo 5, articolo 17, emendiamo testi e contesti, cerchiamo di fare il nostro dovere in Italia, che è in Europa.