Discussione sulle linee generali - Relatore
Data: 
Lunedì, 27 Marzo, 2017
Nome: 
Enrico Borghi

A.C. 4144-A

 

La ringrazio, signor Presidente. Onorevoli colleghi, ci accingiamo, come Camera dei deputati, ad affrontare l'esame di un provvedimento da tempo atteso nel sistema della protezione della natura e della valorizzazione del patrimonio naturale, culturale, paesaggistico, ecologico del nostro Paese, in considerazione di una esigenza di fondo, che oggi la Camera è chiamata a dovere adottare nel recepire, migliorare ed integrare il lavoro già condotto in maniera positiva dai colleghi del Senato, cioè la possibilità di attribuire agli enti di gestione dell'11 per cento del territorio nazionale un meccanismo di governance che sia più efficiente, che sia più moderno, che sia più in linea, da un lato, con le esigenze di una capacità di tutela effettivamente in grado di esplicare in maniera coerente, in maniera efficace le previsioni che ad essa sono riferite, e, dall'altro, anche di fare in modo che la politica dei parchi, nel nostro Paese, si inserisca all'interno del contesto storico che stiamo attraversando e che fa dell'ambiente uno degli asset fondamentali per la qualità della vita, per lo sviluppo sostenibile e, in definitiva, anche per il futuro del Paese.

Noi stiamo, in qualche misura, rimettendo mano ad una legge, signor Presidente, che il nostro Paese ha avuto troppo tardi rispetto a quanto si sarebbe dovuto legiferare: la legge quadro sulle aree protette risale al dicembre del 1991 e cioè alla fine di un percorso, di un dibattito culturale, di una temperie politica, che da tempo chiedeva che il Paese si dotasse di una disciplina organica rispetto all'esigenza di porre sotto tutela un patrimonio di carattere naturalistico, ambientale, paesaggistico, che rischiava, secondo le dinamiche di sviluppo che imperavano in quel frangente nel nostro Paese, di essere depauperato, pesantemente intaccato o addirittura definitivamente consumato. Quindi, quella legge scontò, in qualche misura, questa impostazione, che faceva di una esigenza sostanzialmente difensiva una logica di protezione di governo e di tutela di questi territori, immaginando che le aree protette dovessero nascere per circoscrivere il resto di uno sviluppo, che rischiava di consumare tutte le risorse naturali attribuite al Paese.

Era l'epoca del fordismo, era l'epoca dell'industrializzazione, era l'epoca dell'impiego illimitato senza pianificazione, senza regole, del capitale naturale e del suolo del nostro Paese e, quindi, era anche giusto che in quel contesto sociale, in quel contesto culturale, in quel contesto politico, nascesse una legge con questi presupposti e con questo tipo di impianto culturale.

C'è da dire che è stata una legge che ha dato delle risposte importanti. Noi possiamo dire, a consuntivo, che avere istituito 23 parchi nazionali, aree marine protette, parchi regionali e avere messo sotto tutela quasi l'11 per cento del territorio nazionale è stato un risultato significativo.

Questa legge ha anche consentito di potere progressivamente affrontare e anche positivamente risolvere una delle questioni che inizialmente stava alla base di momenti di conflittualità e di scontro tra il legislatore e le collettività locali, cioè il fatto che questi strumenti venissero pensati e addirittura imposti a collettività locali che, in alcune realtà, hanno dato vita anche a dei fenomeni di rigetto.

Al contrario, vi sono state altre situazioni in cui l'elemento dell'area protetta e lo strumento dell'ente parco è stato correttamente interpretato, a livello territoriale insieme con il livello nazionale, come un elemento per il quale anticipare un percorso, che oggi noi riteniamo di dover introdurre in termini di principio, in termini di sostanza, all'interno di questo strumento legislativo, cioè il fatto che oggi si possa consentire di immaginare che il percorso legato allo sviluppo sostenibile, alla green economy, alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio ambientale sia un percorso attraverso il quale l'Italia si dà il proprio modello di sviluppo e si dà una nuova modalità con la quale è in grado di reggere la sfida della competizione dei mercati globali e attraverso il quale le proprie aziende possono innovare, accedendo a questo tipo di percorso, che peraltro è un percorso a forte valorizzazione di valore aggiunto dal punto di vista produttivo, oltre che a riscoprire una identità profonda del nostro Paese, che rimanda anche alla ricostruzione di un percorso di economia, che è in atto nel nostro Paese, che noi crediamo, attraverso adeguate modalità che pensiamo di aver introdotto all'interno di questo strumento, possano essere sostenute.

È di pochi giorni, ad esempio, signor Presidente, la notizia che lo scorso anno nel nostro Paese sono state costituite oltre 10 mila nuove aziende agricole e il 70 per cento di queste nuove aziende agricole è stato messo in piedi, per così dire, da imprenditori agricoli under 40; ciò a significare, da un lato, che le misure che Governo e Parlamento hanno messo in campo su questo versante hanno prodotto i risultati, ma anche, dall'altro, che sta nascendo, legato al tema della sensibilità ambientale, della tracciabilità, del chilometro zero, dell'agricoltura ecologica, una nuova economia.

Ecco, noi crediamo che sia possibile oggi costruire un sistema di protezione della natura, di valorizzazione del patrimonio ambientale del nostro Paese, in connessione con la capacità della nostra realtà di darsi un nuovo modello di sviluppo sostenibile.

Peraltro, a questo siamo chiamati anche per l'attuazione degli strumenti giuridici che abbiamo voluto e che questo Parlamento ha ratificato, in ottemperanza ai trattati di Parigi sulla Conferenza internazionale del clima, così come riconfermati dalla Conferenza di Marrakech di quest'anno. Per raggiungere quei target, quegli obiettivi che ci siamo posti all'interno di quei documenti vincolanti dal punto vista giuridico, noi dobbiamo dotarci di un nuovo modello di sviluppo sostenibile, noi dobbiamo dare corpo alla via italiana della green economy.

Quale migliore laboratorio se non le aree protette, quale migliore piattaforma sulla quale inventare, sperimentare e innovare le modalità attraverso le quali la tutela della natura non solo non sia un elemento che va a scapito della crescita, dell'occupazione, dello sviluppo, ma che al contrario possa essere un importante motore che riconiuga anche positivamente, riconnette in un termine di alleanza, ecologia ed economia, che hanno lo stesso suffisso e che per troppi anni, per troppi decenni, nel nostro Paese e nell'Occidente avanzato, sono stati vissuti come contrapposti fra di loro.

Questa è una scommessa, vi vorrei dire, culturale prima ancora che politica: immaginare cioè che attraverso un percorso di modernizzazione sia possibile dare una risposta importante lungo questo versante.

Noi abbiamo proceduto, signor Presidente, attraverso un lavoro, credo, intenso - credo ne darà poi conto il presidente Realacci - che ha cercato, innanzitutto, di ascoltare; ascoltare tutti i portatori di interesse, tutte le istituzioni locali, le regioni, i soggetti che a vario titolo, a varia natura e con diverse gradazioni di sensibilità hanno qualcosa da dire, hanno avuto qualcosa da dire, pensano di poter dare il loro contributo all'interno di un documento così importante. E possiamo, senza tema di smentita, dire che la Camera in questa circostanza è stata davvero un palazzo di vetro, assolutamente trasparente, che si è aperto al confronto, al dialogo, all'incontro, non solo all'interno di questa istituzione fisica, ma anche con numerosissimi incontri sui territori che hanno visto la presenza di moltissimi operatori, di protagonisti, di persone, di uomini e donne che vivono quotidianamente questa scommessa della tutela e della valorizzazione delle aree protette nel nostro Paese; quindi, in qualche misura, il lavoro che abbiamo compiuto all'interno della Commissione e che verrà compiuto all'interno di quest'Aula nelle prossime ore, è anche il frutto di un movimento collettivo che ha visto tradursi, all'interno di modifiche, miglioramenti, emendamenti e puntualizzazioni, anche una serie di proposte che sono arrivate da chi lavora sul campo.

Quali sono le principali innovazioni che discendono da questo ragionamento di carattere generale che ho cercato di porre sul campo? Innanzitutto, noi riteniamo che si debba recuperare lo spirito originario della legge n. 394 in rapporto alla creazione di un sistema nazionale di parchi e di aree protette. Era questa la volontà del legislatore nel 1991; successivamente, vari provvedimenti, che si sono susseguiti, hanno smontato questo impianto generale e hanno creato le condizioni per le quali abbiamo avuto due fenomeni. Il primo fenomeno è stato quello della atomizzazione dei parchi nazionali, che sono stati, sì, istituiti, praticamente tutti, tranne uno, della platea della originaria previsione (oggi sono parchi effettivamente operanti e operativi, e uno di questi, il Delta del Po, conosce proprio all'interno di questa norma una modalità peculiare e particolare con la quale possa trovare una sua ulteriore esplicazione e rafforzamento), dicevo, praticamente tutti, tranne uno, il Parco del Gennargentu, sono stati messi in campo, ma, complice una farraginosità burocratica, una logica datata di modalità gestionali e l'assenza di un quadro generale di politica, di strumentazione e di confronto, sono stati immaginati come sorte di isole lasciate a se stesse. E, contemporaneamente, che cosa è accaduto su questo versante? È accaduto che, complice la crisi finanziaria in cui il nostro Stato è caduto e una sorta di rincorsa da parte delle regioni ad accaparrarsi delle competenze che poi, in molti casi, non sono state in grado di poter esplicare, per varie motivazioni, fino in fondo, il sistema delle aree protette regionali è entrato in profonda crisi.

Bene, noi riteniamo che si debba recuperare il concetto dell'unitarietà, in cui parchi nazionali, parchi regionali, aree marine protette siano un tutt'uno di un percorso di tutela, di valorizzazione e di pianificazione dei parchi e delle aree protette del nostro Paese, per partire da questo assunto, cioè che ci sia l'11 per cento del territorio nazionale che concorre in maniera significativa a svolgere una funzione di interesse generale e collettivo per l'intero Paese. Si potrebbe dire, con una battuta, che i parchi sono un bene comune, un bene collettivo dell'intera comunità nazionale, e quindi, in quanto bene comune dell'intera collettività nazionale, devono essere concepiti in maniera unitaria; certo, con le loro peculiarità, con le loro caratteristiche, con le loro situazioni particolari, perché, naturalmente, un'area marina protetta è diversa dal Parco delle Dolomiti bellunesi, sono diversi i territori e sono diverse le realtà, ma dentro un unico concetto di esplicazione di politiche e, soprattutto, dentro un'unica capacità di raccordare un percorso di carattere generale.

E per questo, che è la seconda profonda modificazione che la Camera fa rispetto al testo originario così come ci è pervenuto, signor Presidente, vi è l'introduzione del finanziamento di un piano triennale delle opere pubbliche, delle realizzazioni delle politiche di sviluppo sostenibile che i parchi dovranno realizzare. E noi abbiamo voluto, dentro questo finanziamento triennale, per assicurare un minimo di organicità, di pianificazione degli interventi che andranno nel senso degli investimenti e non della spesa corrente, destinare il 50 per cento di queste risorse esattamente ai soggetti che sono stati maggiormente colpiti dalla crisi finanziaria di questi anni, e cioè i parchi regionali e le aree marine protette, con il vincolo, da parte delle regioni che accetteranno questa scommessa che il Parlamento lancia, di cofinanziare, e quindi di raddoppiare complessivamente, per quanto riguarda la loro dotazione, il budget che lo Stato attribuisce, in maniera tale da assicurare, da un lato, certezza di finanziamenti, dall'altro, una dotazione che sia di una certa qual significatività.

Dopodiché, siamo entrati nel secondo aspetto: dopo avere dato ossigeno, sotto questo punto di vista, alla modalità di sostegno degli investimenti, abbiamo voluto dare gambe alla concretizzazione di questo assunto legato al tema dello sviluppo sostenibile; un tema, peraltro, non nuovo nei dibattiti e nelle deliberazioni di questa Camera, di questo Parlamento, in quanto, come i colleghi ricorderanno, già alla fine del 2015, con un lavoro molto intenso fatto dal Parlamento, in sede di Commissione e in sede di Aula, e con il Governo, avevamo licenziato il cosiddetto collegato ambientale, che introduceva proprio il concetto della green economy, e cioè l'esigenza di poter costruire meccanismi di sviluppo sostenibile attraverso la tutela ambientale e la valorizzazione del patrimonio naturale. Era, ad esempio, all'interno di quel documento, la previsione della cosiddetta Strategia nazionale delle Green community: bene, questa legge, all'interno del piano del parco, cioè dello strumento più importante, più vincolante, lo strumento decisivo con il quale un ente parco tutela, valorizza e salvaguardia il proprio territorio ad esso affidato, attribuisce al compito del piano del parco, oltre alla valorizzazione tradizionale, anche il compito dell'esercizio dello sviluppo sostenibile, anche in applicazione, da un lato, della Strategia nazionale delle Green community, dall'altro, della Strategia nazionale dell'adattamento climatico, un importante documento, un importante strumento lanciato dal Governo come obiettivo di raggiungimento che ci siamo posti a Parigi e che crediamo debba essere uno dei compiti precipui del nuovo sistema delle aree protette così come esce da questo documento.

Vi è un terzo elemento innovativo, che dà un percorso di strutturalità permanente all'elemento della politica dei parchi e che ci consente di poter dire che questo è uno strumento con il quale noi portiamo una logica di ambientalismo moderno all'interno di questa norma, e cioè che noi passiamo dalla evoluzione del meccanismo delle royalty al meccanismo dei servizi ecosistemici ambientali. Il meccanismo delle royalty è un meccanismo, dal nostro punto di vista, datato, figlio di un'epoca in cui i concessionari si vedevano dare in dotazione un capitale naturale in cambio di poche risorse; qualcuno le ha definite delle elemosine che andavano nella dotazione finanziaria degli enti riceventi e che, per lo più, andavano a sostituire politiche di intervento ordinario o, addirittura, in molti casi, andavano a essere destinati in posta di bilancio di parte corrente.

Noi riteniamo, invece, di dovere andare verso una direzione di tipo diverso, in cui vi sia la possibilità che, attraverso il pagamento dei servizi ecosistemici ambientali, e cioè il fatto che, quando il capitale naturale viene impiegato a finalità di tipo produttivo, i concessionari debbano ritornare risorse che debbono essere impegnate per la tutela, la valorizzazione e la riproducibilità di quel bene collettivo naturale che è alla base dei percorsi produttivi. E vi è da ultimo, signor Presidente, il tema dalla governance, e su questo mi avvio alla conclusione. Il tema della governance affronta come naturale compimento questo tema e questa impostazione, immaginando che, da un lato, vi sia una maggiore capacità di attrarre professionalità di tipo nuovo alla guida e al governo di risorse di questa natura.

Noi facciamo la scelta di rompere un sistema chiuso, un sistema autoreferenziale, un sistema che rischiava di diventare sterile dal punto di vista della dotazione di personale umano, per quanto riguarda una figura così importante come quella dei direttori: andando ad abolire l'albo dei direttori e aprendo alla possibilità, attraverso selezioni ad evidenza pubblica, attraverso qualificazioni di carattere universitario, attraverso qualificazioni di carattere professionale e ambientale, di attingere alle migliori professionalità del settore, per fare in modo che vi siano soprattutto giovani generazioni, che si sono formate in questa direzione, a dirigere questi enti parco.

Contemporaneamente, riteniamo estremamente interessante l'impianto che ci arriva dal Senato e che ci sentiamo di dover confermare, in cui vi è un equilibrio fra tutti i soggetti che concorrono alla realizzazione e alla costruzione di un percorso di governo di questa natura: e cioè che lo Stato, le comunità locali e gli operatori professionali che operano, che vivono, che lavorano grazie alla tutela, alla valorizzazione del patrimonio naturale, siano chiamati insieme a concorrere all'applicazione delle politiche di tutela e di gestione.

Queste sono in linea di principio, signor Presidente, le caratteristiche più rilevanti di uno strumento di questa natura, che si compendia di una serie significativa di articoli, che arrivano fino all'articolo 29 e che vanno nella direzione che ho cercato di descrivere.

Naturalmente vorrei far presente, signor Presidente, che il lavoro che l'Aula compirà non sarà un lavoro né ordinario né tradizionale. Noi ci impegniamo a fare in modo che i rilievi recati nei pareri espressi dalle Commissioni competenti siano oggetto di attenta valutazione nel corso dell'esame in Assemblea: è anche per questa motivazione che siamo assolutamente disponibili al confronto che si apre in questa sede e al contributo che i colleghi riterranno di dovervi apportare.