Data: 
Lunedì, 27 Aprile, 2015
Nome: 
Enzo Lattuca

A.C. 3-bis-B ed abbinate

 

Signora Presidente, onorevoli colleghi, questo Parlamento porta su di sé la responsabilità di portare a termine, nel corso della XVII legislatura, quel percorso di riforma delle istituzioni repubblicane che in diverse occasioni nel recente passato per diverse ragioni è invece fallito. E di certo da questa responsabilità nessuno si può sentire sollevato. 
Su questa Camera oggi grava un'ulteriore responsabilità, quella di restituire al paese, di restituire ai cittadini, agli elettori, una legge elettorale senza ombre di illegittimità costituzionale, una legge che sia funzionale a ripristinare l'effettività del loro diritto di scegliere da chi essere rappresentati. 
Se oggi siamo a discutere di una nuova legge elettorale è perché nell'autunno del 2005 l'allora maggioranza di centrodestra decise in maniera scellerata di superare un sistema che nel decennio precedente aveva assicurato, come non mai nella storia repubblicana, condizioni di stabilità politica tali da garantire efficacia all'azione dei Governi, senza alcuna diminuzione dell'effettività dei principi della democrazia parlamentare ma al contrario rafforzando il rapporto tra cittadini ed eletti attraverso l'introduzione dei collegi uninominali per l'elezione del 75 per cento dei membri del Parlamento. 
Quel sistema porta ancora oggi il nome dell'attuale Presidente della Repubblica, fu il frutto di una condivisione fra diverse forze politiche che nel 1993 raccolsero l'esito di un referendum popolare che il 18  aprile di quell'anno aveva imposto l'opzione maggioritaria. Per dirla con le parole del Presidente di allora, Oscar Luigi Scàlfaro, il Parlamento si trovò a discutere di una legge «sotto dettatura» del popolo che si era espresso attraverso il referendum. Il risultato di tale compromesso non era una legge perfetta, non esistono leggi elettorali perfette si è detto spesso nel corso del nostro dibattito, ma una legge equilibrata capace di bilanciare i principi di rappresentatività e governabilità. 
Sulle qualità invece della legge con la quale fu in maniera improvvida sostituita nel 2005, la definizione di «porcata» che ne diede il suo ideatore è tutt'oggi la migliore delle sintesi possibili. La legge Calderoli spogliava i cittadini della possibilità di scegliere i propri rappresentanti, attraverso lunghe liste bloccate circoscrizionali, e insieme reintroduceva (per la sola Camera dei deputati) quel collegio unico nazionale sulla base del quale veniva attribuito un premio di maggioranza potenzialmente illimitato. Tutto questo senza peraltro garantire coerenza con un sistema che al Senato prevedeva premi attribuiti su base regionale. 
Se oggi siamo a discutere di una nuova legge elettorale è perché quella del 2005 si è dimostrata pessima e da ultimo è stata dichiarata incostituzionale dalla Consulta con la nota sentenza n. 1/2014. Una sentenza con la quale sono stati rimossi gli elementi della legge considerati illegittimi e allo stesso tempo con cui viene confermata la legittimazione di questo Parlamento ad intervenire in piena autonomia per rivedere l'intera disciplina. Ed è proprio l'autonomia che è propria di questo organi che dovrebbe portarci a discutere di legge elettorale non «sotto dettatura» della sentenza della Corte, ma senza fuggire dalla nostra responsabilità e senza evadere le due grandi questioni che hanno portato a quella sentenza. 
Signora Presidente, in coscienza ritengo che il nostro primo compito, in questa sede, sia quello di approvare una legge completamente libera da ombre di illegittimità, una legge che non riproduca gli stessi vizi della precedente, una legge sulla cui costituzionalità nemmeno si debba discutere. Il nostro compito insomma è quello di evitare che ciò che è accaduto si ripeta, fare in modo che la credibilità di questa istituzione non venga più minata dagli effetti di una legge fondamentale magari approvata da una ristretta maggioranza. 
Purtroppo, lo devo dire, ho seri dubbi che la strada che stiamo percorrendo sia quella giusta. Mi chiedo, ad esempio, se il combinato disposto di collegio unico nazionale e collegi territoriali, capilista bloccati e preferenze, candidature multiple con libertà di opzione, mi chiedo se tutti questi elementi mai visti insieme consentano davvero ai cittadini una scelta libera. Qui non si tratta di stabilire quanti parlamentari verranno eletti con le preferenze (meno della metà di certo) e quanti sulla base di indicazioni di partiti in pessimo stato di salute. L'argomento su cui dovremmo interrogarci è a quanti cittadini viene di fatto negata la libertà di scelta o anche solo di prevedere gli effetti del proprio voto. Vogliamo dirlo agli elettori di tutti i partiti che, con la sola eccezione di quelli che sceglieranno il primo partito, la loro indicazione conterà poco o nulla ? Adottiamo per una volta il punto di vista degli elettori e non quello assai autoreferenziale degli eletti. Alla maggioranza di essi sarà di fatto preclusa la scelta. 
E ancora mi chiedo: è possibile che si tratti solo di una coincidenza se nessuna legge elettorale del mondo, per l'elezione di un Parlamento nazionale, a prescindere dalla forma di Governo parlamentare o presidenziale sia rispondente al principio cardine dell'Italicum, che spesso ho sentito esaltato, il principio del majority assuring ? Tutte le leggi elettorali del mondo, diverse tra loro, incentivano e agevolano con strumenti diversi (gli sbarramenti, i premi di maggioranza per la verità più spesso impliciti che espliciti) la formazione di una maggioranza nel momento elettorale, ma nessuno di questi la garantisce come dato di necessità. In nessuna democrazia del mondo si esclude come dato fisiologico che il primo partito, che in ogni caso si considera vincitore, possa non avere seggi sufficienti per governare da solo e si trovi «costretto» a fare alleanze, ma nessuno ha il coraggio di lamentarsi di questa costrizione, perché fa parte del gioco. Tra pochi giorni si vota in Gran Bretagna, il Paese modello per la capacità del sistema politico ed elettorale di garantire governabilità. Ci sarà un vincitore di sicuro ma molto probabilmente, come è già accaduto al Primo Ministro Cameron, per governare il vincitore avrà la necessità di costruire una alleanza. 
Mi chiedo allora se si tratti di un caso, di una stranezza italica. Mi chiedo se tutto questo sia compatibile con l'immutata forma di Governo parlamentare della nostra Costituzione. 
Il professor D'Alimonte, uno degli ideatori di questa sistema, ha più volte affermato, anche in sede di audizioni in Commissione affari costituzionali, che questa legge comporta «l'elezione diretta del Capo del Governo». Mi chiedo allora se sia legittimo operare una mutazione della forma di Governo attraverso la legge elettorale. L'idea che gli elettori possano scegliere il Governo, o meglio il Capo del Governo, è molto diffusa ma costruire un sistema elettorale che finge che ciò avvenga è pericoloso. 
Per eleggere, o meglio indicare il «Governo», questo sistema comprime la rappresentatività del Parlamento sia dal punto di vista dell'equilibrio proporzionale tra voti e seggi sia dal punto di vista del rapporto tra cittadini ed eletti. 
Mi chiedo infine quanto sia ragionevole approvare una legge elettorale pensata per una Camera sola, perché come la precedente non avrebbe senso applicarla a due Camere con la possibilità di generare maggioranze fra loro diverse, quando ancora non è stato completato l'iter della revisione costituzionale che porterà al superamento del bicameralismo perfetto. Per quanto mi riguarda mi auguro che ciò avvenga compiutamente nel corso del prossimo anno ma non si hanno certezze a questo riguardo. L'idea di un sistema vigente che prevede una compressione della rappresentatività alla Camera senza alcuna garanzia che al Senato si riproducano le stesse condizioni di governabilità pone davvero una questione di ragionevolezza che è stata censurata dalla Corte nelle motivazioni della sentenza n. 1/2014. In più di un'occasione mi è capitato di affermare che sarebbe stato opportuno seguire l'ordine logico che fa precedere la riforma costituzionale a quella elettorale. Così non è stato e questa inversione illogica è gravida di conseguenze sul piano della coerenza del sistema che ad ogni passaggio si manifestano in maniera più evidente. 
Mi chiedo in definitiva se fino ad ora siamo stati all'altezza della responsabilità che ci spetta.