Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 25 Luglio, 2016
Nome: 
Andrea Romano

A.C.3235

Signora Presidente, dopo molti anni questo Parlamento torna a discutere di un provvedimento legislativo organico e di insieme relativo al consumo di stupefacenti e si tratta già per questo di un successo dei firmatari della proposta di legge di cui iniziamo oggi la discussione, firmatari, ricordiamolo ancora una volta, che appartengono ad un ampio numero di partiti di diverso schieramento. Rispetto a un tema inevitabilmente controverso e carico di valenze ideologie e contrapposte, lo sforzo del legislatore deve necessariamente essere guidato da un metodo pragmatico e lontano da ogni schematismo, l'abbiamo detto in tanti, uno schematismo che finirebbe per essere appunto ideologico e dunque sostanzialmente inutile, perché io credo che la domanda a cui dovremmo rispondere non è tanto relativa alla scelta di principio cannabis sì o cannabis no, ma è piuttosto un'altra e dunque: quale legge è più adatta a contenere e, se possibile, eliminare i danni sociali e collettivi che derivano dallo sfruttamento criminale della produzione e della commercializzazione della cannabis ? In questo caso il dato di partenza da cui muovono i firmatari di questa proposta è molto chiaro: l'adozione di un modello di repressione indifferenziata, ovvero il modello adottato finora in Italia, con l'obiettivo di punire in modo sostanzialmente identico tutti i consumatori di ogni sostanza stupefacente, questo metodo è fallito sotto ogni aspetto. È un modello che si è rivelato inefficiente perché non ha ridotto in alcun modo il consumo di cannabis, soprattutto nelle fasce giovanili e adolescenziali. È un modello che ha favorito invece di indebolirlo lo sfruttamento criminale della produzione e della commercializzazione di cannabis, dando vita di fatto ad un sistema di industrializzazione criminale delle sostanze psicotrope che ha garantito enormi incentivi economici al mercato illegale delle sostanze proibite ed è un modello infine che è stato segnato da una catastrofica eterogenesi dei fini. Infatti con il proibizionismo si intendeva perseguire l'obiettivo della cancellazione del consumo di cannabis e dei danni sociali prodotti dal suo abuso, ma si è giunti nella realtà concreta al suo esatto opposto, ovvero alla crescita del consumo insieme alla radicalizzazione delle conseguenze sociali e sanitarie e alla moltiplicazione dei profitti criminali che ne derivano. La proposta di una legalizzazione controllata della produzione e del consumo di cannabis muove esattamente da questo, non tanto da una convinzione ideologica ma dalla consapevolezza piena e fondata su dati di fatto del fallimento concreto delle politiche proibizionistiche, un fallimento – aggiungo – che ha colpito soprattutto le fasce più deboli e fragili della popolazione. Si prenda nello specifico il caso degli adolescenti, ovvero coloro che proprio in virtù della loro specifica vulnerabilità fisiologica, neurologica e sociale al consumo di cannabis sono particolarmente colpiti dall'abuso di questa sostanza psicotropa. Relativamente agli adolescenti, il legislatore deve domandarsi se questa categoria particolarmente vulnerabile di potenziali consumatori può essere meglio tutelata dal monopolio di fatto che le organizzazioni criminali detengono sulla produzione e sulla commercializzazione di cannabis, oppure da un sistema rigorosamente regolato quale quello che si propone in questo testo, che sottrae alle organizzazioni criminali la produzione e la commercializzazione, ne vieta esplicitamente l'assunzione ai minorenni e si concentra sul controllo e sull'informazione. Su questo specifico aspetto, ovvero sulle conseguenze di una legalizzazione regolamentata sugli adolescenti, non ci muoviamo nel vuoto di dati e analisi, al contrario, proprio l'esperienza statunitense fornisce un quadro di dati molto corposo che dimostra come la legalizzazione controllata abbia portato conseguenze positive proprio sulla tutela delle fasce più fragili e deboli della popolazione. È utile ricordare, tra gli altri, uno studio molto ampio realizzato dalla scuola di medicina della Washington University di Saint Louis a cura del professor Grucza sull'impatto sugli adolescenti delle politiche di legalizzazione adottate da alcuni Stati americani. Uno studio che ha sottolineato la riduzione dei disordini psichiatrici legati al consumo di cannabis tra le adolescenti proprio – e cito – «in coincidenza con la cancellazione della repressione per l'uso di cannabis tra gli adulti in dieci Stati americani e l'adozione di politiche di legalizzazione della cannabis ad uso terapeutico in tredici Stati». Così come altrettanto utile è citare un ampio studio pubblicato dalla rivista Lancet Psychiatry che non ha rivelato alcuna crescita nel consumo di cannabis tra gli adolescenti in quegli Stati americani dove sono state adottate leggi di legalizzazione del consumo terapeutico di questo stupefacente. E questo, d'altra parte, è lo stesso metodo utilizzato per prevenire e combattere l'abuso di tabacco e alcol, ovvero le sostanze potenzialmente capaci di produrre danni sociali e collettivi analoghi a quelli della cannabis. Nessuno in quest'Aula e fuori da qui immaginerebbe di ricorrere a strumenti proibizionistici né tanto meno di consegnare il settore dell'alcol alle organizzazioni criminali per limitare, prevenire o possibilmente cancellare i danni sociali e sanitari provocati, per l'appunto, dall'abuso di alcol o tabacco. Nessuno lo immaginerebbe, proprio perché sappiamo tutti che in questi settori una scelta proibizionistica non solo non inciderebbe in alcun modo sulle conseguenze sociali dell'abuso ma finirebbe per regalare enormi risorse economiche alla malavita organizzata. 
A questa stessa convinzione legata alla consapevolezza del fallimento concreto delle politiche proibizionistiche si è arrivati in questi anni in alcuni Paesi europei e soprattutto negli Stati Uniti ovvero nella patria del proibizionismo, nel Paese che per tanti anni ha svolto funzioni di sentinella mondiale sulle politiche di proibizione, nella nazione che per molto tempo ha dedicato proprio a questo enormi risorse economiche, politiche e persino militari e a questa stessa convinzione ci spingono alcune importanti prese di posizioni di istituzioni italiane alle quali affidiamo normalmente la vigilanza su aspetti fondamentali del nostro Stato di diritto. Penso alla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 che ha cancellato l'equiparazione tra droghe leggere e droghe pesanti; penso al fondamentale parere della Direzione nazionale antimafia che, nella relazione presentata a questo Parlamento nel febbraio 2015, ha scritto a chiare lettere – e cito – «di oggettiva inadeguatezza di ogni sforzo repressivo e di opportunità di valutare una depenalizzazione della materia, della necessità di un prosciugamento di un mercato appannaggio di associazioni criminali agguerrite». Ma penso anche alle valutazioni di magistrati impegnati ogni giorno su questo fronte, come Teresa Principato. 
In conclusione, l'invito che dobbiamo rivolgere a noi stessi – e concludo – in quanto legislatori, mentre iniziamo la discussione su un provvedimento potenzialmente storico, è l'invito a riflettere sulla natura stessa del nostro compito, perché il nostro compito di legislatori non è o non dovrebbe essere quello di decidere per legge quali comportamenti privati o quali consumi siano più o meno appropriati per i cittadini ma solo e soltanto quello di decidere quali leggi siano più efficaci per tutelare i più deboli dallo sfruttamento di quei comportamenti o per contenere ed – se è possibile – eliminare i danni sociali e collettivi che derivino dall'organizzazione criminale di quei comportamenti.