Discussione generale
Data: 
Lunedì, 4 Dicembre, 2017
Nome: 
Francesco Prina

 

A.C. 3265-A

Relatore per la maggioranza

 

Grazie, Presidente. Il provvedimento oggi all'esame dell'Assemblea fornisce una risposta normativa ad alcune problematiche particolarmente sentite nel settore della produzione e della commercializzazione del pane relative in particolare ad una regolamentazione chiara di cosa debba intendersi per pane fresco rispetto al pane conservato al fine di meglio garantire la necessaria informazione al consumatore. La proposta di legge introduce la denominazione di “forno di qualità” riservata in via esclusiva ai panifici che producono e commercializzano pane fresco. Inoltre finalmente la proposta di legge definisce e distingue il pane fresco di pasta madre e il pane fresco con pasta madre. Nella finalità dell'articolo 1 del provvedimento, il pane è considerato uno degli elementi fondamentali della nostra nutrizione; è un prodotto capace di rappresentare il territorio italiano e gli antichi saperi legati alla sua lavorazione. Per questi motivi il pane fresco italiano viene riconosciuto dal provvedimento come rappresentativo del patrimonio culturale nazionale. Tuttavia l'evoluzione tecnologica e il mutare delle abitudini di vita degli italiani hanno portato a numerosi cambiamenti nelle modalità di produzione e di vendita del pane. La possibilità di congelamento del prodotto adatto al consumatore e la possibilità di scegliere tra pane fresco, pane confezionato, pane presurgelato e altri prodotti da forno simili. Il consumatore di fronte a tali trasformazioni manca di informazioni corrette sulla qualità del pane in vendita. In sostanza ad oggi la legge non garantisce il consumatore nel riconoscimento del pane fresco artigianale rispetto al pane conservato: tale distinzione è estremamente necessaria non solo per i panificatori ma anche per gli acquirenti a cui la legge ha promesso fin dal 2007 di fornire gli elementi utili per compiere un acquisto oculato del pane, riuscendo a comprendere se il pane che si compra è fresco artigianale o, ad esempio, sfornato ma prodotto con base surgelata o prodotto altrove anche fuori dall'Unione europea. Le differenze sono sostanziali: per il pane artigianale servono acqua, farina e sale e lunga lievitazione; per il pane industriale si possono avere tempi di preparazione più ridotti e ingredienti aggiuntivi tra cui conservanti utili per una più lunga resistenza all'invecchiamento.

È dunque necessario migliorare l'informazione del consumatore sul pane che si compra, mettendolo nelle condizioni di sapere se sta acquistando un prodotto fresco presso un panificio tradizionale, che fa pane nell'arco della giornata, con un procedimento produttivo unico e continuo. Da qui, la proposta di un nuovo e più attuale quadro legislativo che aggiorni la normativa nazionale del settore della palificazione; nuove norme pensate per rendere, da un lato, le informazioni più efficaci e veritiere, accompagnando gli acquirenti e, dall'altro, per consentire alle imprese di pianificazione di aumentare e di valorizzare le peculiarità artigianali delle loro attività e dei loro prodotti.

Questo provvedimento, dunque, si occupa di rilanciare, valorizzandolo, il settore del pane fresco artigianale, restituendo competitività ad un comparto di estrema importanza per l'economia del Paese, quello della panificazione artigianale italiana, tutelando la tipicità e la specificità del pane artigianale italiano, un patrimonio inestimabile che conta circa 200 specialità, di cui 95 già iscritte nell'elenco del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali. Si tratta di un settore del valore di 7 miliardi di euro, con 400.000 addetti, operanti in 25.000 imprese, in gran parte di dimensioni familiari, che sfornano in media 100 chilogrammi di pane al giorno, ciascuna. Già il decreto legge del 4 luglio del 2006 introduceva le denominazione di “panificio”, di “pane fresco” e di “pane conservato”, rinviando ad un decreto ministeriale per l'adozione delle disposizioni di dettaglio, decreto che, poi, non è mai stato emanato. Tuttavia, dopo un lungo cammino in Commissione agricoltura, si è riusciti ad adottare un testo base e solo il 30 novembre scorso è stato votato il mandato al relatore di riferire in Aula.

Ora, entrando nel dettaglio del provvedimento, ricordo che nell'articolo 2 viene data la definizione di “pane” come: il prodotto ottenuto dalla cottura totale o parziale di una pasta convenientemente lievitata, preparata con sfarinati di grano o di altri cereali, acqua e lievito, con o senza aggiunta di cloruro di sodio o sale comune, spezie o erbe aromatiche. Vi è poi l'indicazione delle seguenti possibili integrazioni di denominazioni aggiuntive: “pane fresco”, riservata esclusivamente al pane preparato secondo un processo di produzione continuo, privo di interruzioni finalizzate al congelamento, alla surgelazione di impasti e ad altri trattamenti con effetto conservante; processo di produzione continuo che non deve superare le 72 ore. Un'altra definizione è: “pane di pasta madre” e “pane con pasta madre”.

Nella commercializzazione, invece, viene previsto il divieto di utilizzare la denominazione di “pane fresco” per il pane destinato ad essere posto in vendita oltre le 24 ore successive al momento in cui è stato completato il processo produttivo, per il pane posto in vendita successivamente al completamento della cottura di pane parzialmente cotto, comunque conservato, e per il pane ottenuto dalla cottura di prodotti intermedi di panificazione. È previsto, altresì, il divieto di utilizzare denominazioni quali: “pane di giornata”, “pane appena sfornato” e “pane caldo”, nonché di qualsiasi altra denominazione che possa indurre in inganno il consumatore. In caso di pane ottenuto da una cottura parziale destinato al consumatore finale, viene prescritto che deve essere contenuto in imballaggi singolarmente preconfezionati, recanti in etichetta le indicazioni previste dalle disposizioni vigenti; deve, inoltre, usare la denominazione evidente di: “pane”, completata dalla dicitura: “parzialmente cotto” e deve recare l'avvertenza che il prodotto deve essere consumato previa ulteriore cottura. In caso di prodotto surgelato, l'etichetta deve riportare la dicitura: “pane surgelato”.

Sono previste delle sanzioni, salvo che il fatto costituisca reato, per violazioni degli obblighi; si dispongono pesanti sanzioni amministrative fino alla sospensione dell'attività per violazioni di particolare gravità o recidiva.

I prodotti ottenuti dalla cottura di impasti preparati con farine alimentari, anche se miscelate con sfarinati di grano, devono essere posti in vendita con l'aggiunta, alla denominazione di pane, della specificazione del vegetale da cui proviene la farina impiegata.

L'articolo 3 contiene la definizione di “prodotto intermedio di panificazione”. Si impone l'obbligo, per un'impresa che provvede alla lievitazione e alla cottura ovvero alla sola cottura di un prodotto intermedio di panificazione, di commercializzare il pane così ottenuto in scaffali distinti e separati.

L'articolo 4 prevede che il pane sottoposto a trattamenti che ne aumentino la durabilità è posto in vendita con una dicitura aggiuntiva che ne evidenzi il metodo di conservazione e di consumo. Al momento della vendita, anche questo tipo di pane deve essere esposto in scomparti riservati.

L'articolo 5, poi, definisce il lievito come: l'organismo unicellulare avente la capacità di convertire gli zuccheri derivanti dalla degradazione dell'amido in alcool e in anidride carbonica, assicurando la formazione della pasta convenientemente lievitata. La norma impone che la produzione di lievito deve essere ottenuta da microrganismi presenti in natura. Nei successivi commi 2, 3 e 4, si definiscono lieviti impiegabili nella panificazione la crema di lievito e il lievito secco e viene considerato, invece, “pasta madre” quell'impasto ottenuto esclusivamente con farina e con acqua sottoposto ad una lunga fermentazione naturale acidificante, utilizzando la tecnica dei successivi rinfreschi, al fine di consentire la naturale lievitazione dell'impasto.

L'articolo 6 consente l'utilizzo delle paste acide, delle paste acide liquide e delle paste acide in pasta. L'articolo 7 contiene la definizione di “panificio” e le norme sulle modalità di vendita. Secondo quanto prescrive il comma 2 di questo articolo, l'avvio di un nuovo panificio e il trasferimento e la trasformazione di panifici esistenti sono subordinati alla segnalazione certificata di inizio attività, la SCIA.

L'articolo 8 prevede che la denominazione di “forno di qualità” è riservata, esclusivamente, al panificio che produce e commercializza pane fresco. Per la vendita di pane fresco, questo deve essere posto in scaffali distinti e separati rispetto agli altri tipi di pani. La figura del responsabile dell'attività produttiva viene disciplinata dall'articolo 9 ed è identificata nel titolare dell'impresa o in un suo collaboratore familiare, socio o lavoratore dipendente dell'impresa di panificazione designato dal legale rappresentante dell'impresa stessa all'atto della presentazione della SCIA. A tale figura viene affidato il compito di assicurare l'utilizzo e la manipolazione delle materie prime. È previsto un corso di formazione professionale accreditato dalla regione o dalla provincia autonoma competente. Si prevede l'esonero da questi corsi formativi quando il titolare è da tre anni che esercita la professione di panificazione oppure sia in possesso di un diploma o di una qualifica professionale in materie attinenti l'attività di panificazione e, comunque, abbia una attività lavorativa di panificazione da almeno un anno, o sia affiancato dal responsabile dell'attività produttiva nella quale si è subentrati.

In tema di mutuo riconoscimento, l'articolo 10 prevede la possibilità di commercializzare nel territorio dello Stato italiano i prodotti da forno realizzati e commercializzati negli altri Paesi membri dell'Unione europea o in uno Stato parte contraente dell'Accordo sullo Spazio economico europeo.

L'articolo 11 definisce i vari tipi di pane tradizionale di qualità, il pane tradizionale tipico locale, secondo un decreto del legislativo del 1998 e un decreto ministeriale del 1999, riportato negli elenchi regionali e inseriti nell'elenco nazionale. Il pane è riconosciuto ai sensi della normativa dell'Unione europea in materia di denominazione di origine protetta, DOP, di indicazione geografica protetta, IGP, e di specialità tradizionale garantita. Mentre l'articolo 12 attribuisce la vigilanza sull'attuazione della presente legge alle aziende sanitarie locali e ai comuni competenti per territorio.

L'articolo 13 prevede che le regioni si adeguano alle disposizioni in esame entro dodici mesi dall'entrata in vigore della legge; per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e Bolzano è prevista la clausola di salvaguardia.

Secondo l'articolo 14, il Governo è autorizzato ad apportare nell'esercizio del potere regolamentare, entro sei mesi dall'entrata in vigore del provvedimento, le modifiche necessarie. L'articolo 15 abroga gli articoli dei precedenti provvedimenti in materia di produzione e commercio del pane superati e in contrasto con questo provvedimento.

Infine, l'articolo 16 chiarisce i tempi di entrata in vigore di questo provvedimento.