Discussione generale
Data: 
Lunedì, 4 Dicembre, 2017
Nome: 
Alessandra Terrosi

 

A.C. 3265-A

 

Grazie Presidente. Signor Presidente, onorevoli colleghi, gentile sottosegretario, il provvedimento sul quale iniziamo oggi in Aula il dibattito, atteso da anni dal mondo della produzione artigianale del pane e dalle associazioni dei consumatori, rappresenta l'esito di un approfondito confronto tra i proponenti, la Commissione agricoltura che lo ha istruito, e le associazioni dei produttori, dei distributori e dei consumatori. Un testo di legge che si inserisce appieno nel solco delle iniziative regolamentari e legislative di cui il Governo e questo Parlamento hanno assunto l'iniziativa per tutelare e promuovere le produzioni tipiche e tradizionali disseminate in variegata diversità in tutte le nostre regioni e di cui il nostro Paese è sapiente custode.

Il pane da sempre è considerato uno degli elementi fondamentali della nutrizione, una presenza fissa sulle tavole degli italiani, considerando infatti che, nonostante nel tempo il suo consumo sia progressivamente diminuito, toccando nel 2014 il minimo storico di 90 grammi pro-capite, oggi sono ancora oltre 24 mila le imprese di produzione di pane fresco e circa 7.000 quelle di commercio di dettaglio. Il pane, prodotto tipico della tradizione alimentare nazionale, rappresenta la straordinaria sintesi del combinarsi di numerosi saperi che assommano in un tutt'uno la conoscenza della terra e dei metodi di coltivazione, dalla raccolta del grano alla sua lavorazione per la produzione della farina, dalla preparazione dell'impasto alla cottura. Non si hanno notizie precise su dove e quando l'uomo abbia cominciato a produrre e consumare pane, ma studi e ritrovamenti testimoniano come la panificazione si antica di millenni, egizi e babilonesi producevano pane lievitato.

È inoltre fuori discussione il fatto che per le società occidentali il pane abbia rappresentato un alimento di base coevolutosi con esse nei secoli, espressione delle alternanti sorti economiche degli Stati. In tempi di carestia si produceva e si consumava soprattutto pane nero, al contrario dei periodi più ricchi, caratterizzati viceversa da una maggiore disponibilità di pane bianco. Nel corso del tempo si sono avvicendate diverse varietà coltivate frutto di un lungo lavoro di domesticazione e di breading che ha portato il nostro Paese nella favorevole condizione di avere varietà adatte alla coltivazione nei differenti microclimi che lo caratterizzano. Il lavoro di miglioramento genetico del frumento ha avuto prioritariamente gli obiettivi di ridurre la taglia delle piante, aumentare la grandezza della spiga e quindi il numero di cariossidi. Le varietà migliorate, il triticum aestivum, cioè il grano tenero che rappresenta il 95 per cento della produzione mondiale di frumento e il triticum durum, il grano duro, che rappresenta il restante 5 per cento, hanno anche un contenuto in glutine significativamente maggiore dei grandi predecessori e di qualità che ne permette una rapida e migliore panificazione o la produzione della pasta. Studi degli ultimi decenni, tuttavia, stabiliscono una correlazione negativa spesso tra le proprietà tecnologiche dovute al glutine e le qualità nutrizionali; dall'eccesso di glutine e dalla qualità dello stesso infatti dipendono le numerose forme di intolleranza e l'affezione nota con il termine di celiachia. Questo, unitamente alla crisi economica che ha costretto anche l'agricoltura a riflessioni sul modello di sviluppo e sulla sua sostenibilità, ha portato alla riscoperta dei cosiddetti grani antichi che ben si adattano a metodi di coltivazione a bassi input chimici per le loro proprietà riconducibili ad una maggiore rusticità e alla resistenza alle avversità, nonché al possesso di qualità nutritive più equilibrate, e all'utilizzo delle farine da essi derivate per la produzione di pane apprezzato per le proprie caratteristiche nutrizionali e organolettiche.

Le competenze specifiche nella produzione del pane, in molti casi tramandate nei territori e tra le generazioni, possono oggi essere espresse al meglio grazie alle innovazioni tecnologiche che negli anni sono state acquisite dal settore, che hanno riguardato sia i metodi di coltivazione appunto, che quelli della panificazione. Tuttavia, è stata salvaguardata la specificità peculiare che si riflette nelle tante diversificate modalità di produrre tante differenti tipologie di pane proprie del nostro Paese.

Se le innovazioni e le nuove tecnologie hanno portato ad una evoluzione delle modalità di produzione e vendita del pane, le tecniche di conservazione del freddo hanno reso l'offerta di questo prodotto estremamente variegata. Accanto a quello tradizionale, ottenuto con un impasto di acqua, farina e lievito, e con la giunta eventuale di altri ingredienti come, ad esempio, l'olio, cotto e venduto nell'arco di poche ore, oggi è possibile trovare sul mercato pane ottenuto per completamento di cottura effettuata nel punto vendita anche a partire da basi congelate. Le possibilità di scelta del consumatore quindi sono considerevolmente aumentate. È possibile scegliere tra pane fresco, confezionato e presurgelato, altri prodotti da forno similari. Quella che fino ad oggi è mancata è la possibilità per i consumatori di accedere a informazioni corrette sulla qualità del pane posto in commercio. Si tratta, quindi, di allineare la normativa in vigore alle mutate opportunità di produzione e di commercializzazione da un lato, e di consumo dall'altro, di un prodotto che è e deve restare tipico della tradizione italiana. Già dieci anni fa, è stato ricordato, nel 2006, il legislatore si pose il problema di regolamentare la liberalizzazione dell'attività di produzione di pane, rinviando all'adozione di un decreto ministeriale la specificazione in particolare delle denominazioni di panificio, di pane fresco e di pane conservato. Il decreto che doveva essere adottato entro i 12 mesi non è stato mai emanato, anche in ragione di alcuni rilievi opposti in sede comunitaria e, nonostante nel settembre 2015, con quasi dieci anni di ritardo, si fosse sancita un'intesa in Conferenza Stato-regioni.

In sostanza, ad oggi, la legge non garantisce il consumatore nel riconoscere il pane fresco artigianale dal pane conservato, da quello prodotto con base surgelata magari confezionata altrove, anche fuori dall'UE. Le differenze sono sostanziali: per il pane artigianale - lo ripetiamo - serve acqua, farina, sale e la lievitazione di una notte, per il pane industriale si possono avere tempi di preparazione più ridotti e ingredienti aggiuntivi, fra cui conservanti, utili per una più lunga resistenza all'invecchiamento. La presente legge si propone di colmare tale vuoto normativo, applicando per il pane quanto accade già per il latte, definendo cioè la denominazione di pane fresco per il prodotto che non ha subito congelazione o altri metodi di conservazione, mentre tutti gli altri tipi di pane vengono annoverati sotto la definizione di pane conservato, indicando anche il metodo di produzione e le modalità di conservazione e consumo. L'obiettivo finale è, quindi, tutelare tipicità e specificità del pane artigianale italiano, un patrimonio inestimabile, che conta circa 200 specialità di cui 95 già iscritte nell'elenco del MIPAAF, un settore del valore di 7 miliardi di euro, con 400 mila addetti, in 25 mila imprese, in gran parte di dimensioni familiari, che sfornano in media 100 chili di pane al giorno ciascuna.

La proposta di legge di cui stiamo discutendo definisce, pertanto, il pane come prodotto ottenuto dalla cottura totale o parziale di una pasta convenientemente lievitata, preparata con sfarinati di grano o di altri cereali, acqua e lievito, con o senza aggiunto di cloruro di sodio o sale comune, spezie o erbe aromatiche, definendo chiaramente e specificatamente il concetto di pane fresco ovvero preparato secondo un processo di produzione continuo, privo di interruzioni finalizzate al congelamento, alla surgelazione di impasti e ad altri trattamenti con effetto conservante, vietando conseguentemente l'utilizzo di denominazioni quali pane di giornata, pane appena sfornato e pane caldo, che possono indurre in inganno il consumatore.

Per la stessa ragione, si dispone che la commercializzazione di pane ottenuto dalla lievitazione e dalla cottura ovvero dalla sola cottura di un prodotto intermedio di panificazione avvenga su scaffali distinti e separati dal pane fresco, recanti sia le indicazioni previste dalle norme in materia di etichettatura che la dicitura “pane ottenuto da cottura di impasti” seguita dall'indicazione del metodo di conservazione utilizzato; definisce “panificio”, così come è già stato riportato.

Quindi, un provvedimento completo, che risponde alle istanze di un settore che qualifica la tradizione italiana e accoglie le richieste di sempre maggiori informazioni e chiarezza, che i consumatori, in ogni rilevazione demoscopica, hanno sempre posto al centro delle loro aspettative. L'approvazione di questa legge qualificherà ancor più l'impegno della legislatura che ci apprestiamo concludere nei confronti dell'agroalimentare e del made in Italy. La finalità ultima è quella di consentire a chi produce di valorizzare al meglio il frutto del proprio lavoro, dando piena e completa informazione a chi acquista il prodotto - il pane, in questo caso - rispetto ai caratteri di unicità, qualità e genuinità intrinseche nelle produzioni artigianali, che la proposta di cui stiamo discutendo pone al centro. Qualità, competenza e trasparenza sono i criteri che hanno ispirato questa iniziativa legislativa e il lavoro della Commissione agricoltura, che ha istruito in sede referente il provvedimento, con la speranza che con la sua approvazione diventino patrimonio condiviso per il settore e auspicio di continua implementazione per tutto l'agroalimentare nazionale.