Data: 
Giovedì, 25 Ottobre, 2018
Nome: 
Roberto Morassut

A.C. 1209-A

 

Grazie, Presidente. C'è naturalmente grande attenzione e attesa a riguardo l'approvazione del provvedimento che discutiamo oggi. Il crollo del ponte Morandi, a Ferragosto, è una ferita aperta per Genova e per tutta l'Italia, quasi la rappresentazione di una nazione in bilico, sospesa sulla sua fragilità e precarietà. Rappresenta una rottura che ogni giorno produce conseguenze pratiche, materiali, enormi perché colpisce uno dei centri vitali dell'economia nazionale come la città di Genova, punto di forza della portualità italiana, tra le tante sue qualità, che molto dipendeva e dipende dal supporto del sistema infrastrutturale dell'entroterra ligure, di cui il viadotto era parte integrante e determinante. Colpisce Genova in un punto identitario, un viadotto, un'opera pubblica che, pur con le contraddizioni che esprimeva, era ormai parte dello stesso paesaggio urbano, oltre che arteria essenziale del quotidiano uso della mobilità urbana e commerciale, un elemento identitario quindi che, venendo meno, mette in discussione la già critica condizione di una città che attraversava ormai da anni una complessa transizione, dalla sua storia e identità di grande centro industriale verso una diversa funzione e missione, una transizione nel corso della quale Genova ha perso più di 200 mila abitanti - non lo ricordiamo mai troppo spesso questo dato - in vent'anni, enormi apparati produttivi e vive una condizione di incertezza che coinvolge il complesso dell'organismo urbano nei quartieri di periferia, ma anche nel centro storico. L'evento drammatico di questa estate ha inciso quindi tanto nel corpo che nella coscienza della città di Genova e dell'intero Paese, suscitando un'ondata emotiva generata dai lutti e dalle distruzioni, dagli sgomberi, dalle interruzioni di vite e di abitudini che chiama in causa una riflessione più generale sullo stato del Paese.

Il Governo e la sua maggioranza hanno ritenuto di cavalcare i sentimenti e le passioni suscitate dai fatti e di usarli come un propellente per un'operazione di presunto allargamento del proprio consenso elettorale, sempre questo incubo elettorale che sottende a ogni scelta e a ogni manifestazione politica. Lo hanno fatto alimentando gli elementi di divisione, di lacerazione e di rabbia, necessariamente presenti in questa vicenda per scagliarli contro dei nemici, alla ricerca sommaria di responsabili. E lo hanno fatto alimentando aspettative, con promesse, con un approccio più inquisitorio che risolutivo dei problemi fin dal primo giorno, anche in occasione dei funerali delle vittime. Ricordiamo gli interventi del Ministro Toninelli in quest'Aula, nelle audizioni nelle Commissioni e le stesse parole del Presidente del Consiglio, cariche di annunci, ma soprattutto di strumentale e cinico opportunismo. È stata una scelta sbagliata, lo abbiamo detto subito, quella di sovrapporre, usando tutto questo come un ariete verso gli avversari politici, la ricerca dei responsabili con l'azione per la ricostruzione, perché la prima spetta agli organi della magistratura e a tutti coloro che in sede penale, civile, amministrativa, contabile hanno ed avranno il compito di accertare le responsabilità, mentre la seconda è il compito della politica, e di chi amministra e ha bisogno, in un momento come questo, della massima condivisione, dalla massima collaborazione e dello sforzo di tutta la comunità nazionale, per arrivare, presto e bene, a decisioni e azioni rapide che diano una risposta alle domande, alle attese, e ai bisogni immediati generati dalle tragedia e che riguardano famiglie, persone concrete, imprese, lavoratori.

In questa ottica di concretezza e di sforzo propositivo, noi abbiamo collocato il nostro ruolo, come Partito Democratico, nella discussione che si è svolta nelle Commissioni e che inizia oggi in Aula sul testo di un decreto che è stato presentato dal Governo. Abbiamo lavorato per garantire tempi certi e rapidi, senza mai scadere in un uso inopportuno delle prerogative più estreme che il Regolamento consente all'opposizione parlamentare. Siamo stati al merito dei problemi, per correggere, emendare e migliorare un testo che esprime pienamente le contraddizioni e gli errori di impostazione che sono stati commessi, fin dall'inizio, dal Governo. Il testo del decreto che oggi discutiamo, come è stato ricordato dalla collega Chiara Braga, capogruppo del Partito Democratico in Commissione Ambiente e lavori pubblici, nel suo intervento di questa mattina, giunge in Aula modificato in molte parti rispetto al testo originario. Hanno inciso, le nostre proposte emendative ed i nostri richiami, su molti punti che all'inizio avevano suscitato, per la loro inadeguatezza e per le gravi carenze, le proteste dei cittadini genovesi e le critiche di quasi tutti i protagonisti del tessuto sociale e civile ed economico della città di Genova, a partire dei sindacati, dagli imprenditori, dai professionisti, dal mondo dell'associazionismo e del volontariato. Critiche sono venute dall'Associazione nazionale dei comuni e da importanti soggetti istituzionali, da organi dello Stato come l'ANAC. Il Governo è stato costretto, alla fine, a modificare molte cose e ad accogliere la sostanza di varie proposte dell'opposizione, anche se non ha voluto riconoscerne la titolarità, ma ha preferito fare spesso un copia-incolla venendo meno ad un elemento di stile e anche di clima che avrebbe potuto, invece, concorrere a ricucire le condizioni, per dare il senso di uno sforzo concorde che andasse oltre le divisioni e le contrapposizioni politiche. Si è preferito restare sul terreno della divisione e della demarcazione politica, ma conta la sostanza e la sostanza dice, in modo documentabile e non contestabile, che all'inizio, nel testo del decreto non era previsto nulla per gli sfollati che hanno perso la casa, per gli operatori economici, per il sostegno al reddito dei lavoratori e delle imprese compromesse dal crollo e dalle sue conseguenze, che ancora oggi i locatari non proprietari degli alloggi sgomberati non hanno certezze, che le cifre e le modalità di erogazione degli indennizzi per le attività e per le famiglie colpite fossero, e restino ancora oggi, insufficienti.

La prima critica che abbiamo rivolto è stata, però, quella di aver ampliato il perimetro del provvedimento, includendovi temi e questioni che nulla avevano, e hanno, a che fare con l'emergenza di Genova, ma che sono stati inseriti come vagoni in un treno speciale per fare operazioni di potere o di consenso, il cui esito è tutto da vedere, ma che avranno, se approvati, conseguenze negative sullo sviluppo e sul futuro del Paese. Mi riferisco ad alcune scelte sulla riorganizzazione del sistema delle reti delle infrastrutture e dei trasporti e alle norme sui condoni per Ischia e le altre realtà colpite dal terremoto del 2016 e del 2017 e ad altre misure ancora molto discutibili nel merito e anche, in fin dei conti, estranee al carattere di urgenza che è alla base di questo provvedimento. Tutti ricordano, per esempio, le dichiarazioni rese fin dei primi giorni da numerosi esponenti del Governo e della maggioranza sulla necessità di rivedere o, addirittura, ribaltare il regime delle concessioni autostradali e ripristinare il diretto ruolo dello Stato nella realizzazione e nella gestione delle opere pubbliche e, in particolare della rete autostradale, e il sistema dell'organizzazione dei controlli, della manutenzione e della sicurezza.

Si sono sollevati enormi polveroni, cercando ovunque connivenze e complicità, ma, alla resa dei conti, non solo tutto questo è risuonato come inutile propaganda, buona per poche settimane, ma nei fatti nulla resta, negli atti, di quelle presunte, annunciate svolte. Non solo nel provvedimento in discussione non si interviene minimamente nella rivisitazione del regime delle attuali concessioni autostradali: tema del resto delicato, che chiunque dotato di buon senso non avrebbe nemmeno pensato di poter affrontare in modo così rozzo; ma per quello che riguarda la demolizione, la ricostruzione del ponte crollato e le attività propedeutiche si configura un procedimento opaco sotto diversi aspetti, che restituisce al concessionario un ruolo imprevisto proprio mentre si annuncia a parole l'apertura di un percorso di revoca delle concessioni nei confronti dello stesso concessionario. La possibilità, infatti, di agire, attraverso i poteri del commissario e le cosiddette attività propedeutiche, utilizzando il concessionario, in un clima di perdurante conflitto tra quest'ultimo e lo Stato, non rafforza di certo la certezza e la stabilità di un buon percorso del processo di ricostruzione.

Non avendo il coraggio di decidere in un senso o nell'altro, rispetto al ruolo anche potenziale di Autostrade in questa vicenda, il Governo ha ritenuto di scaricare sul commissario il potere di avvalersi del concessionario. La domanda è dunque: come si può pensare in un simile gioco di ambiguità, di opacità, di strumentalità di allestire un meccanismo efficiente, e in primo luogo che si basi sulla piena collaborazione di tutti gli enti pubblici e privati coinvolti nel processo di ricostruzione?

Ma andiamo avanti. Nel corso delle audizioni svolte in Commissione sono state sollevate numerose critiche e segnalate preoccupazioni sul profilo dei poteri assegnati al commissario in materia di appalti per la ricostruzione, in particolare per le deroghe previste al codice degli appalti e per le normative antimafia. Il presidente di Anac ha segnalato i rischi di infiltrazioni mafiose, che possono derivare da questa decisione originaria del Governo, e conseguentemente delle conseguenze che un regolare e rapido svolgimento delle procedure, che prevedono la realizzazione delle opere, potrebbe subire. Abbiamo già sperimentato in Italia le follie della contrapposizione tra la trasparenza e la determinazione di poteri speciali nelle situazioni di emergenza, quando, in occasione del terremoto di Abruzzo e di altri successivi eventi calamitosi, la creazione delle indispensabili sovrastrutture commissariali per le ricostruzioni sono state sovraccaricate di poteri e competenze derogatorie, tali da oscurare ben presto trasparenza, compromettere l'efficienza dei risultati e fare contenti solo coloro che proliferavano sugli affari, brindando cinicamente sui lutti e sulle sofferenze. In una vicenda come questa rapidità delle decisioni e trasparenza devono andare insieme, ed è sbagliato contrapporle, come si è spesso dimostrato, soprattutto quando si parla di rischi di infiltrazioni mafiose. Si può invece operare bene, rapidamente e con efficienza, in un sistema di garanzie e di regolarità delle procedure, seppure con le indispensabili accelerazioni e straordinarietà amministrative.

Nella discussione che c'è stata in Commissione abbiamo aspramente criticato questa scelta iniziale del Governo; ed alla fine è stato costretto a cedere (ed è un risultato che rivendichiamo a gran voce), pur senza accettare il dato politico di un contributo critico e propositivo da parte dell'opposizione. La norma è stata infatti ritirata solo attraverso l'acquisizione di un parere contrario della Commissione Affari costituzionali; ma, come nelle macchie più ostinate, questo esito, in sé positivo, non cancella il vizio di origine, e trasmette al Paese un messaggio negativo, rafforzando la sensazione che, per fare le cose, bisogna svellere le procedure, che semplificare e velocizzare è il contrario della partecipazione e della trasparenza, che per fare bisogna derogare sempre e comunque. Questo è un vecchio dogma populista e di destra, nel quale l'autoritarismo e la scorciatoia per fare bene, e che in mille occasioni si è dimostrata di fatto produttrice di disastri, è la scusa per cambiare le carte in tavola. In questo comportamento, che è stato messo in atto dal Governo in questa vicenda populista e decisionista a parole, in questo approccio rozzo, il Governo e la maggioranza hanno confermato di essere espressione delle peggiori tradizioni italiche, antiche e più recenti.

Del resto, proprio in questi giorni in cui si è discusso di Genova è tornato a galla anche un dibattito sul codice degli appalti: con la consueta semplificazione e rozzezza, condita dall'ignoranza di fatti e di numeri, molti esponenti della maggioranza, a partire dal Vicepremier Di Maio, sono tornati a criticare il codice degli appalti come un groviglio di norme paralizzanti, che deve essere buttato all'aria in nome di non si sa bene quale semplificazione.

Sono le solite chiacchiere di chi non comprende che ben oltre le norme, oltre i codici c'è sempre la condotta retta e competente delle donne e degli uomini che sono chiamati ad amministrare, a decidere, a prendersi le responsabilità anche per gli altri e sul destino degli altri; e che rapidità e trasparenza possono e debbono andare insieme solo sulla base di un buon agire e di una buona responsabilità. In molti casi una sana gestione ordinaria, se pur rafforzata, risulta più efficace, più efficiente e più trasparente di una derogatoria, se applicata con correttezza, competenza e con coscienza.

Sul codice degli appalti, sugli effetti della sua applicazione valgano i numeri del Rapporto sullo stato di attuazione delle infrastrutture strategiche e prioritarie, valga il rapporto annuale presentato in Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici dal CRESM e dall'Anac, che dimostra la netta inversione di tendenza per quello che riguarda il volume degli investimenti, delle opere, degli affidamenti negli ultimi anni dopo il crollo del 2011-2012, e che dimostra, per esempio, come un contesto centralizzato e di finta efficienza, come è stato quello del general contractor, funzioni assai meno bene di un buon quadro codificato di regole di trasparenza ben applicato.

Ma torno rapidamente al decreto-legge. Perché sempre su Genova, nonostante il decreto-legge ed i parziali miglioramenti apportati, non emerge ancora un quadro chiaro sulla strategia per la ricostruzione, e questo ci preoccupa: c'è un senso di precarietà e di incertezza generale che domina le relazioni tra i vari soggetti competenti e l'intero provvedimento, che è caratterizzato da una settorialità di approcci su vari aspetti e da questioni irrisolte. Ad oggi per esempio - abbiamo appurato nelle audizioni con le amministrazioni espressioni dei poteri locali territoriali - non c'è ancora un chiaro iter progettuale ed operativo per la demolizione del relitto Morandi, così come per la ricostruzione del ponte si è fermi ad annunci, con tempistiche ipotetiche e assolutamente non credibili. Come si fa a dire che il ponte sarà ricostruito in un anno e mezzo? Come restano sullo sfondo e senza chiaro indirizzo la scelte strategiche legate allo sviluppo del sistema delle infrastrutture dell'entroterra genovese, che sono essenziali anche rispetto alla ricostruzione del Morandi: mi riferisco alla questione della Gronda. Temi e scelte che ruotano intorno al contenuto del decreto-legge, ma non sembrano trovare alcuna relazione organica con le scelte in esso contenute. Non si coglie nemmeno, di conseguenza, il quadro d'insieme, di intervento di una logica di effettiva rigenerazione urbana, che tenga conto della necessità di ricostruire non solo un viadotto, ma un pezzo di città, in un contesto paesaggistico e ambientale delicato, in presenza di insediamenti produttivi e abitativi e di grandi infrastrutture.

La tragedia di Genova poteva essere l'occasione per un vero Governo del cambiamento, per sperimentare un nuovo approccio alle politiche urbane che integrasse i vari aspetti del problema: opere pubbliche, pianificazione urbanistica, servizi, risorse, fiscalità, partecipazione e concertazione istituzionale tra pubblico e privato. Poteva essere un'occasione per sperimentare una riforma urbanistica che questo Paese non ha mai conosciuto, e che per la prima volta abortì proprio negli anni della costruzione del viadotto Morandi tra il 1964 ed il 1967, e di cui il contesto del Valpolcevera in quel tratto è figlio. Si è, invece, ripartiti dai vecchi vizi italiani, dalla parzialità, dalla settorialità, spesso dall'improvvisazione, dalle procedure per segmenti, per approssimazioni successive nel corpo della città.

Vecchi vizi, che caratterizzano un Governo del tradimento, anziché del cambiamento. Questi vecchi vizi li troviamo nelle altre parti del decreto-legge che riguardano questioni che non hanno a che fare con l'emergenza di Genova, e che però sovrastano per quantità e complessità il testo del provvedimento, che per un quarto, 10 articoli su 40, riguarda Genova, e per tre quarti tutt'altro. Mi riferisco tra le varie questioni al tema dei condoni, e alle parti del decreto-legge su Ischia e sui territori investiti dai terremoti del 2016 e del 2017 in Centro Italia. Sui rischi è stato chiaro che cosa è successo: c'è stato il tentativo di uno scambio, una spinta per un condono tombale ad Ischia, come c'è sempre in momenti periodici e successivi della storia italiana, cavalcato in maniera neanche troppo nascosta dal MoVimento 5 Stelle, che ha cercato di raccogliere questa spinta, una bulimia di consenso senza visione. Voi che eravate quelli dell'onestà e della trasparenza avete raccolto questa spinta. Ma andare verso il popolo non coincide con l'assecondarne le pulsioni più elementari, bensì col raccoglierne i bisogni e trasferirli in riforme sociali e civili.

Voi proponete in questo testo un condono tombale, ai sensi della legge n. 47 del 1985, la prima delle tre leggi del condono, quella che ha meno prerogative di tutela del paesaggio e della qualità ambientale e territoriale dei contesti urbani, delle campagne e dei territori per gli edifici danneggiati o compromessi dal sisma, riportando sotto i criteri della legge n. 47 anche tutte le altre domande - ad Ischia sono 27.000, una buona parte delle quali sono quelle interessate dai danni del sisma - che sono state a suo tempo presentate ai sensi delle successive leggi, la n. 724 del 1994 e la n. 326 del 2003, in deroga alle prescrizioni della legge n. 326 sulle aree vincolate, perché avete recuperato soltanto un comma di un articolo di quella legge, per quanto riguarda la parte dei vincoli idrogeologici ambientali e del paesaggio. E le norme proposte sono state sottoposte ad una manipolazione. Infatti, la legge n. 724 è quella che contiene il maggior numero di domande. Se noi facessimo una statistica della casistica delle domande presentate per le concessioni in sanatoria dei condoni in tutte le amministrazioni d'Italia, scopriremmo che la polpa è rimasta concentrata per quello che riguarda la seconda legge del condono, che è quella dove ci sono il maggior numero di domande inevase, per le complessità di quella legge e per le caratteristiche delle altre due. Per Ischia voi proponete nel decreto di riportare tutte le domande della legge n. 724 sotto la giurisdizione e sotto le prerogative di valutazione della legge n. 47 del 1985, la più lasca, la più larga di criteri. In questo c'è stato uno scambio, ed una escalation. Lo scambio è fin troppo noto, c'è stato con la Lega sulla questione del condono fiscale, alla quale poi è seguita la pantomima delle finte o vere scintille nella maggioranza alla vigilia del raduno dei Cinquestelle al Circo Massimo.

Ora però resta la proposta di un condono tombale a Ischia e anche nel Centro Italia, dove c'è stato uno sviluppo, un'amplificazione del principio che si è introdotto di manipolazione degli interventi sull'edilizia abusiva a Ischia, perché si è poi pensato bene di estendere questo principio anche alle regioni del Centro Italia colpite dal terremoto, inventandosi una nuova forma di condono che sostanzialmente elude le norme contenute nel Testo unico dell'edilizia, il DPR n. 380 del 2001, consentendo condoni non per piccole difformità, cioè per quelle piccole discrasie tra il costruito e i progetti depositati, che caratterizzano larghe parti del nostro territorio e dello stock edilizio costruito, ma per le parti strutturali, cioè per le parti che riguardano il modo con cui interi edifici, intere abitazioni sono state realizzate senza SCIA, senza permesso di costruire, senza autorizzazione e senza controlli, in deroga a ogni tipo di regolarità di progetti, che adesso si vogliono condonare nella loro interezza e sottoporle anche, avvantaggiandole, ad un contributo economico, quindi con un doppio premio.

In questa follia che avete messo in campo c'è tutta l'ipocrisia della vostra propaganda di essere un Governo del cambiamento. Sono misure che premiano l'arbitrio e non fanno giustizia. Sono misure che incoraggiano l'abuso e non l'onestà. Sono misure che decretano l'eterno trionfo della furbizia a danno delle regole concordate tra tutti i cittadini. Contro queste decisioni che noi contestiamo e che avete inserito nel treno speciale per Genova, e che noi speriamo di poter ulteriormente cancellare dal testo, stiamo conducendo una battaglia che vale per tutti gli italiani, che è una battaglia di civiltà contro la politica che voi riportate a galla dell'Italia delle scorciatoie, della politica debole e furba che liscia il pelo al popolo ma non risolve i problemi che sono alla base di ataviche storture e di contraddizioni nazionali. Ecco perché in questo decreto c'è un messaggio al Paese che va oltre il merito delle questioni, ed è un messaggio politico di valore generale, che dimostra ancora una volta, se ve ne fosse ancora il bisogno di dimostrarlo, che non bisogna fidarsi dei parolai, che troppo spesso chi annuncia tradisce, che le rivoluzioni verbali ed estetiche sono la premessa delle peggiori reazioni che producono più ingiustizia e più povertà. La nostra battaglia per cambiare questo decreto continuerà in quest'Aula dopo il lavoro svolto in Commissione, per dare un senso ed una prospettiva ai cittadini di Genova, ma anche per dimostrare che il vero cambiamento non deriva dalle parole ma si misura sempre sui fatti