Relatrice di minoranza per la XI Commissione
Data: 
Lunedì, 30 Luglio, 2018
Nome: 
Debora Serracchiani

AC 924

 

Grazie, signora Presidente. La ringrazio, Ministro per la sua presenza, credo importante, grazie al Governo ed anche ad alcuni di voi con cui abbiamo avuto occasione di collaborare durante i giorni del lavoro della Commissione. Permettetemi di ringraziare anche i due presidenti delle Commissioni, il presidente Giaccone e la presidente Ruocco, perché credo davvero che l'impegno di tutti sia stato molto positivo, anche se in ruoli diversi e non sempre ovviamente con le stesse opinioni, ma questo fa parte del lavoro parlamentare.

Parto proprio dal lavoro parlamentare perché alcuni avvocati raccontano, tra le prime cose con cui spiegano il lavoro della pratica ai propri assistenti, che esistono in genere due verità: c'è la verità vera e c'è la verità processuale, che quasi mai coincidono.

Beh, io devo dire che, in questi miei giorni di esame del provvedimento nella Commissione lavoro, sono arrivata alla conclusione che esistono almeno due verità: allora, intanto alcune verità che sono state acquisite, lo ricordava la mia collega Silvia Fregolent e lo dico anch'io: intanto siamo arrivati alla conclusione che manina non v'è stata, la relazione è stata una relazione che fin dall'inizio conteneva quanto tutti poi abbiamo appreso, non soltanto dall'intervento del presidente Boeri, ma anche da quelle che sono state le indicazioni che ci sono fornite nei pareri delle varie Commissioni, a partire dalla già citata Commissione bilancio.

Si tratta di un provvedimento - questa è un'altra verità - che è profondamente cambiato rispetto a quella che era probabilmente l'idea del Ministro e a quello che poi è stato l'esame del Consiglio dei ministri e quello che è stato pubblicato è addirittura ora completamente, o molto diverso, anche grazie al lavoro della Commissione, lo ricordava la presidente Polverini. Si tratta di un provvedimento sul quale, in linea di principio, nessuno di noi può essere contrario; se chiedete a ognuno di questi parlamentari oggi presenti: siete contro il precariato? Siete contro le delocalizzazioni selvagge? Volete stabilizzare i rapporti di lavoro? Volete sistemare alcune regole incerte che riguardano la scuola? Volete combattere contro la ludopatia? Beh, tutti noi vi diremmo di sì, perché, in linea di principio, sono tutti principi che condividiamo. Quello sul quale ci stiamo dividendo e ci siamo divisi è il contenuto, il modo, la forma con cui si ritiene di poter dire di sì a questi principi fondamentali.

Noi pensiamo, ad esempio, il Partito Democratico pensa che, se vogliamo creare posti di lavoro, se vogliamo garantire stabilizzazione, dobbiamo far costare di meno il contratto a tempo indeterminato. Se invece facciamo costare di più soltanto il contratto a termine e non ci sono previsioni certe sul costo del lavoro, io credo oggettivamente che sia vero quello che dicono in molti e che già oggi ci dicono alcune imprese, e penso alla Nestlé di Benevento, ma penso a tanti altri casi che stanno emergendo all'onore della cronaca: noi così rischiamo di non creare occupazione, noi così rischiamo di creare disoccupazione.

Questo è un decreto che si occupa di lavoro, è vero, non di tutto il lavoro così come ci è stato raccontato nell'altra verità, quella del Ministro Di Maio, che avremmo dovuto trovare qualcosa sui raider, avremmo dovuto trovare qualcosa sulle cooperative spurie, avremmo dovuto trovare qualcosa sulla chiusura domenicale dei negozi, non c'è nulla di tutto questo che ci è stato raccontato, c'è altro. Ci sono, ad esempio, i contratti a termine: sui contratti a termine c'è la riduzione della durata, su questo non ci siamo divisi in Commissione, da 36 a 24 mesi; anche per il Partito Democratico è stata un'opinione che si era espressa già alla fine della scorsa legislatura. Ricordo soltanto che noi siamo intervenuti sui rapporti a termine prima ancora del Jobs Act perché siamo intervenuti in un momento di fortissima crisi occupazionale, economica e finanziaria, e in quel momento l'intervento più semplice è stato quello appunto di intervenire sui rapporti a termine, per poi fare un intervento più organico che si è chiamato successivamente Jobs Act.

Si è intervenuto, dunque, sulla durata dei contratti, da 36 a 24 mesi, ma si è intervenuto anche sulla reintroduzione delle causali. Lo dico alla Presidente e per il suo tramite al Governo: io penso che, se si interviene sulle causali, laddove si riduce anche il termine del contratto, lo si debba fare con grande chiarezza, invece sono causali molto generiche, sono causali che non aiutano a comprendere quali sono i limiti, i termini e il recinto entro il quale l'imprenditore e il lavoratore possono concludere un contratto a termine. Sono causali che, tra l'altro, vengono estese a tipologie contrattuali, penso alla somministrazione, che è di per sé, per sua natura, “acausale”, e che rischia - quello sì - di creare disoccupati: disoccupati tra i lavoratori e le lavoratrici che sono dipendenti delle agenzie di somministrazione e disoccupati tra coloro che, grazie al contratto di somministrazione, comunque avevano un rapporto di lavoro, un rapporto di lavoro che si dice flessibile, non precario, perché è una tipologia diversa.

Poi siamo d'accordo che tutti gli strumenti, se utilizzati male, sono degli strumenti abusati, ma vede, Presidente, e vedete, membri del Governo, è un po' come dire che un treno arriva sempre tardi e la soluzione non è sopprimerlo, la soluzione è trovare tutte le condizioni perché quel treno inizi ad essere puntuale.

Noi abbiamo l'impressione, invece, che sia stato un intervento piuttosto violento, d'urto, quello sulle causali del contratto a termine, di cui si è aumentato anche il costo: rinnovare un contratto a termine costerà di più, lo 0,5 per cento, e qui voglio ringraziare tutto il Partito Democratico e anche le altre opposizioni, poi si è estesa la firma ai componenti della Commissione lavoro e della Commissione finanze presenti fino a venerdì scorso nel corso dei lavori, beh sono veramente soddisfatta che la battaglia che abbiamo fatto fin dall'inizio ad evitare che il costo potesse gravare sulle famiglie italiane e che, quindi, venisse esentato dall'applicazione del decreto tutto il lavoro domestico, sia una vittoria che abbiamo portato a casa e di cui siamo molto soddisfatti. Perché, vedete, non esistono solo le lobby a cui spesso fate riferimento, a meno che di lobby non si parli quando si parla delle famiglie italiane, perché, purtroppo, sono molte le famiglie italiane e non tutte ricche o abitanti in chissà quali bei quartieri della capitale, come qualcuno dei colleghi ha voluto ricordare, che sono costrette a rivolgersi ad un assistente familiare o a rivolgersi a un collaboratore domestico o, comunque, ad avere un rapporto di lavoro domestico per sopperire a delle difficoltà, difficoltà che sono di tutti e di ogni giorno; ebbene, siamo molto contenti, molto soddisfatti che, almeno, in questa parte, il decreto sia stato migliorato; non ci è riuscito su tutto, ma almeno questo è un punto sul quale il Partito Democratico si è battuto dall'inizio e che rivendichiamo.

Quindi, come dicevo, si riduce la durata del contratto a termine, se ne aumenta il costo, si reintroducono le causali, si estende la normativa del contratto a termine anche alla somministrazione. Ebbene, tutto questo può ingenerare più lavoro? Probabilmente, no; ma non perché lo dice il Partito Democratico o lo dice il relatore di minoranza, ce lo dicono anche le imprese e lo vorrei dire al relatore di maggioranza, quando si dice che ci sono tante imprese oneste che nulla dicono rispetto a questo decreto, non vorrei che si intendesse che le imprese del nord est sono tutte disoneste, perché sono quelle che la voce l'hanno alzata, che hanno detto che non erano contente, che hanno chiesto delle modifiche, che hanno chiesto degli interventi profondi e a quella voce si è unita anche la voce di presidenti di regione che non certo fanno parte della mia forza politica, penso a Luca Zaia, penso a Massimiliano Fedriga; ebbene, voglio augurarmi che almeno quelle voci le si voglia sentire e che almeno quelle voci non le si considerino in quanto voci che disturbano, perché penso, invece, che abbiano sollevato una questione importante.

Anche qui, la verità dei lavori parlamentari è che sono stati presentati dalle opposizioni - perché ho sentito, anche oggi, la parola ostruzionismo - migliaia di emendamenti; non è vero, gli emendamenti che sono arrivati in Commissione erano 670, gli emendamenti che sono stati discussi ed esaminati 250 e tutti nel merito, perché tutte le opposizioni hanno avuto un enorme senso di responsabilità nel tentativo di discutere nel merito e nel tentativo di far migliorare un decreto che appariva scritto male fin dall'inizio e che aveva molte criticità.

E mi perdoni, lo dico alla Presidente e per suo tramite al Governo, io non riesco a capire quali sono i casi di straordinaria necessità ed urgenza, laddove proprio la disciplina più importante, a detta del Ministro del lavoro, e cioè quella sul termine, viene rinviata nella sua applicazione al 31 ottobre 2018. Non riesco a capire, quindi, perché ci siamo occupati di un decreto-legge, perché non l'abbiamo fatto con una iniziativa di legge diversa; non riesco a capire dov'è l'urgenza, perché se questa lotta alla precarietà la vogliamo soddisfare in questo modo, credo, intanto, che ci sia un allungamento dei termini che, probabilmente, non era previsto, visto com'era scritto all'inizio il decreto, ma, in secondo luogo, credo anche che questo intervento sul lavoro a termine tutto sia tranne che urgente, ma che sia anche piuttosto dannoso, visto quello che ricordavo finora.

Per quanto riguarda l'indennità di licenziamento, anche qui, sull'indennità di licenziamento illegittimo, rivendico quella che è stata una battaglia fatta dal Partito Democratico fin dall'inizio. Nella stesura del decreto non ci si era accorti, ad esempio, che l'indennità di licenziamento illegittimo veniva ampliata nel suo minimo e nel suo massimo 4 e 24 o 6 e 36, ma non ci si era avveduti che ciò non era stato fatto nel caso della conciliazione. Per fare un esempio pratico, oggi o, meglio, con le norme precedentemente in vigore prima del 14 luglio, un lavoratore avrebbe potuto auspicabilmente ricevere anche in conciliazione un massimo di 24 mensilità, se vi erano ovviamente le condizioni, con la promessa del Ministro Di Maio, 36. Di fatto, il datore di lavoro poteva staccare un assegno in sede di conciliazione di 18 mensilità, lo abbiamo fatto notare con forza, perché questa è diventata una delle battaglie del Partito Democratico e ringrazio il Governo e la maggioranza per aver compreso qual era il pericolo di fronte al quale ci stavamo dirigendo tutti allegramente.

Quindi, se oggi quell'indennità di licenziamento, anche in sede di conciliazione, è stata aumentata è un dato di fatto positivo, poi, però, c'è l'altra verità: oggi, anche l'indennità di conciliazione può arrivare fino al 50 per cento in più e, quindi, a 27 mensilità; bisogna, però, raccontare a un lavoratore che, siccome non si è intervenuti sui coefficienti fissi, sulla base dei quali si calcola l'indennità di licenziamento, cioè due mensilità per ogni anno di lavoro, il lavoratore potrà auspicabilmente prendere più di 24 mensilità dal tredicesimo anno di lavoro in poi, il che significa che gli stiamo promettendo 36 mensilità dal 2033. Io vorrei che venisse detto con chiarezza ai lavoratori, perché un conto è la verità e un conto è l'altra verità e, quindi, che questa emerga, emerga in tutta la sua chiarezza, perché se non si toccano quei coefficienti, allora semplicemente si sta dicendo che nel 2033 forse avrai 36 mensilità; bene diciamolo ai lavoratori e alle lavoratrici italiane.

Altra cosa importante e sulla quale ringrazio per aver capito quanto fosse importante, noi diciamo che questo decreto avrà degli effetti che, dal nostro punto di vista, saranno degli effetti molto probabilmente negativi, che non auspichiamo, sia chiaro e che non vogliamo, ma può darsi ci siano. Bene, quindi, e non per gentile concessione, che il Ministro venga qui a riferire annualmente su quello che è l'impatto del decreto rispetto a quelli che sono poi i risultati e le conseguenze sul lavoro e sul mercato del lavoro. Anche qui, però, con dati alla mano, perché dire genericamente, senza dire qual è la fonte, che nell'ultimo anno il 90 per cento dei contratti di lavoro sono stati a termine, a parte che non è vero, non tiene conto di un piccolo particolare, che nelle modifiche che sono state introdotte in precedenza sono sparite delle forme contrattuali come le collaborazioni coordinate e continuative, come le collaborazioni coordinate professionali, addirittura meno 60 per cento nell'ultimo anno, che, appunto, si sono trasformate in lavoro dipendente e che in alcuni casi sono diventati lavoro a termine, in altri casi lavoro a tempo indeterminato. Allora, se dobbiamo dire i numeri, diciamoli completi e diciamo che laddove c'erano delle forme contrattuali precarie, queste sono state sostituite da altre forme precarie, se le si vuole definire precarie, ma certamente più stabili, rispetto ad altre forme che erano addirittura definite “parasubordinate”, proprio perché non avevano quasi nulla a che fare con il lavoro dipendente.

Sui benefici occupazionali, io, Ministro, anzi, Presidente, per suo tramite al Governo chiedo: ma se lei ha capito, ad un certo punto, ed ha cambiato rotta - e io l'ho apprezzato - cioè ha capito che bisognava ridurre anche il costo del contratto a tempo indeterminato, allora mi chiedo perché avete detto di “no” a tutte le proposte fatte dal Partito Democratico e dalle opposizioni che tendevano proprio a ridurre il costo del lavoro a tempo indeterminato, 4 punti percentuali in quattro anni del costo del lavoro? Sono arrivata a leggere, in alcuni giornali, che la riduzione che sarebbe stata fatta con il decreto Di Maio era di 10 punti percentuali, nulla di più falso. L'unica norma che c'è è una norma, e lo dico perché la voglio leggere testualmente, che dice: esonero contributivo per favorire l'occupazione giovanile, le disposizioni in materia di contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a tutele crescenti, quindi, non solo non abbiamo modificato il Jobs Act, ma utilizziamo il Jobs Act, estendendo ai lavoratori e alle lavoratrici under 35, quindi, qualche anno in più rispetto agli under 30 dove già era prevista, per i prossimi due anni, la riduzione del 50 per cento dei contributi previdenziali per le assunzioni. Mi sembra poco, poco, poco e addirittura non sono sufficienti neppure i soldi che sono stati messi a copertura finanziaria di questa previsione. Quindi, io francamente credo che l'impegno che doveva essere principale era l'impegno a ridurre quel lavoro che piace di più, quel lavoro che vale di più e il lavoro che vale di più e che deve costare di meno è il lavoro a tempo indeterminato; in questo senso, nulla fa il decreto o laddove fa, fa molto poco, riprendendo, tra l'altro, previsioni che erano già state previste appunto dai Governi precedenti.

L'altra questione di cui voglio brevemente parlare è relativa al fatto che io credo che delle due verità ce ne debba essere una, alla fine dell'esame e del voto in Aula di questo decreto; intanto, e su questo siamo d'accordo, non è il decreto che crea lavoro, ma il decreto può creare molti problemi al lavoro, molti problemi ai lavoratori e alle lavoratrici, molti problemi alle imprese, e allora mi domando e chiedo: perché ad esempio laddove si trattava di indicare le causali non avete ascoltato la voce delle opposizioni?

Il Partito Democratico lo ha detto fin dall'inizio: perché modificare le fotografie già esistenti? L'80 per cento dei contratti collettivi nazionali non prevedono apposizioni di causali al lavoro a termine, ai contratti a termine: l'80 per cento dei contratti collettivi nazionali non lo prevedono! Ma allora perché reintrodurle con una norma di legge, perché farlo con norme così generiche? Creare lavoro, questo sì, ma c'è una categoria che lavorerà più degli altri, quella degli avvocati, perché se c'era un risultato che era stato ottenuto con la precedente disciplina era la riduzione drastica delle controversie di lavoro.

Ora, se si vuole dire agli italiani che la prospettiva del lavoro stabile è la causa di lavoro (perché adesso posso fare la causa di lavoro e quindi questo significa darmi una prospettiva di lavoro), ebbene, allora abbiamo un'opinione completamente diversa. Se noi siamo al di qua del tavolo, se siamo qui, se siamo opposizione è perché abbiamo un'idea profondamente diversa del lavoro e abbiamo un'idea profondamente diversa del Paese. Quella che è stata fatta finora è una verità, sì, ma di propaganda; poi la verità vera è quella che sconteremo nei prossimi mesi e nei prossimi anni, rispetto a quali l'opposizione sarà molto dura – Ministro e Governo tutto – e sarà molto dura non tanto per opinioni diverse dal punto di vista politico, ma perché abbiamo un'idea completamente diversa di come si affrontano i bisogni del Paese.

Purtroppo, un conto è raccontarla quella verità, un conto è viverla quella verità e saranno molti i lavoratori a cui dovrete raccontare che, grazie a questo provvedimento, il lavoro lo hanno perso.